Se nelle passate mostre Jonathan VanDyke aveva creato strutture lignee per poter guidare lo spettatore e dar supporto alle opere, in How to Operate in a Dark Room l’allestimento cambia e il pubblico risulta libero. Le installazioni cubiche realizzate con tubi innocenti riempiono lo spazio espositivo incastonando le opere, facendone risaltare i motivi geometrici dei tessuti tinti – ora simmetrici, ora no ‒ puntando a un accostamento cromatico ben calibrato. Sul retro le colorazioni si fanno più accese e si inseriscono ricami, che riconducono al passato intimo e familiare dell’artista, insieme a immagini di cronaca (provenienti da un archivio fotografico arricchitosi negli anni) dove la realtà americana urla, tra migranti lasciati al confine e comunità ghettizzate nella storia.
Un’esistenza inquieta che dalla dimensione privata passa a quella collettiva, manifestandosi con rigore geometrico sul fronte e in un flusso di coscienza sul retro, accompagnata da fotografie in bianco e nero che traggono ispirazione dal film L’eclisse di Antonioni.
‒ Valentina Muzi