Perle e riflessi. Bruna Esposito a Milano

Galleria San Fedele, Milano – fino al 20 novembre. Riflessi in una perla, i volti delle persone amate da Bruna Esposito animano la mostra in corso nella sede milanese.

È notte fonda. Sulla scrivania fogli, disegni, appunti, post-it. Un filo di fumo traccia una linea che dal posacenere si leva al soffitto. L’unica luce che taglia il buio è il cono della lampada da tavolo. Le notti insonni, sveglia a lavorare, si sono susseguite a ritmo serrato. Ma è solo in quel momento, quell’unico momento, che Bruna Esposito (Roma, 1960) ha l’intuizione. L’epifania che la folgora è un riflesso nato dalla profondità del quotidiano. Da una ciotolina piena di cianfrusaglie affiora la perla di un orecchino spaiato. L’artista vede se stessa riflessa ma non si riconosce. “Ho pensato a un miraggio. Ho preso la lente, ho riguardato con attenzione e mi sono accorta che ero proprio io riflessa nella perla, così ho detto ‘ecco è questo che cercavo’. In quel momento ho avvertito una grande serenità”.
È il 2004, Esposito è invitata alla Biennale di Gwangju, in Corea del Sud. Il titolo della rassegna è A grain of dust – a drop of water, un granello di polvere – una goccia d’acqua. Dal momento dell’invito, la polvere diventa il suo pensiero fisso. Ma lo è ancor di più la perla, perché un granello di polvere che penetra in una conchiglia, come corpo estraneo, viene immediatamente isolato dal mollusco e reso inoffensivo attraverso una stratificazione di madreperla autoprodotta.

PERLE RARE

Dopo una ricerca compulsiva di filmati sulle pescatrici di perle, l’artista si accorge ‒ quella notte ‒ che la soluzione è lì, davanti a lei, in un vecchio orecchino della madre. Si accorge che la perla, che vive chiusa in un’esistenza segreta, è una metafora ed è un oggetto dai magici riflessi: lo specchio della perfezione di ogni vita. È così che nasce ‒ con un autoritratto e con il ritratto all’amica Annie Ratti fatti per la biennale coreana ‒ il ciclo Perle Rare (2004-19) attualmente in mostra alla Galleria San Fedele per la cura di Andrea Dall’Asta, in collaborazione con la FL Gallery di Milano. Si tratta di un lavoro che ha implicato tempi lunghi, relazioni profonde, sentimenti consolidati e iniziali problemi tecnici. La prima difficoltà – risolta dal fotografo Agostino Osio che costruì un particolare obiettivo affinché l’artista potesse realizzare il progetto – era di fotografare i volti riflessi sulla piccola superficie convessa della perla. Una volta iniziato, Esposito, in una fitta collaborazione con Osio, ha ritratto per anni le persone che appaiono in mostra e che non riusciamo a identificare se non attraverso i nomi scritti sulla pianta della galleria o con una certa confidenza.

Bruna Esposito. Galleria San Fedele, Milano 2019. Photo Alto Piano

Bruna Esposito. Galleria San Fedele, Milano 2019. Photo Alto Piano

I RITRATTI

La prima condizione per l’esistenza del ritratto è che vi sia un legame affettivo tra l’artista e il soggetto – “sono persone alle quali voglio bene” ‒ poi che questi venga fotografato in un luogo a lui caro e infine che non si usi luce artificiale di studio ma solo naturale o domestica. Ogni opera è un dittico formato dalla foto dei volti riflessi su una perla bianca e una nera, entrambe sono incassate e distanziate in cornici nere. I due aspetti della persona in oggetto rimandano alla dualità indivisibile degli opposti: luce/ombra, giorno/notte, maschile/femminile, destra/sinistra. E se ogni soggetto ha le due versioni di sé, le coppie affiatate compongono un unico dittico con un solo scatto per ciascuno. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la perla nera restituisce i contorni più netti, vividi e luminosi della persona e del contesto. La bianca è invece opaca come una patina lattea. I volti sono distorti ma l’anima e i colori di ciascuno piuttosto inequivocabili. “Ogni ritratto è stata un’avventura verso l’ignoto. Ci siamo messi in viaggio verso l’imprevedibile”. La magia del lavoro così umanistico non è la rappresentazione ma la rivelazione operata dalla perla. È lei che, poggiata sul suo piccolo treppiede, cattura e restituisce l’essenza. Capta frammenti di realtà, rare tessere di un mosaico nel flusso vitale dei protagonisti e di chi li guarda. La pastosità dei colori delle foto rimanda al dipinto, a uno strano ibrido iper-contemporaneo tra tela e lastra. Non si tratta delle perle di illustri predecessori come quella della fanciulla del Vermeer o la Venere del Botticelli nella conchiglia, ma di una storia minuta di amicizia e quotidianità. La serie, che occupa tutte le pareti della galleria in orizzontale, è una collana di perle rare, una piccola comunità o forse un inconsapevole autoritratto alla maniera di Carla Lonzi.

OCCHI E ORO

Ogni perla ha un carattere, un colore, un segno unico. Ciascuna è un pianeta fragile nello spazio dell’Universo. Perle rare ha a che vedere con il mare e rimanda ad altre opere dell’artista romana che creano un cortocircuito tra la preziosità della luce dei materiali e la drammaticità fisica della materia vivente. È un capitolo che si lega all’occhio ingigantito dei pesci, della serie Occhi (2016), con il loro sguardo ipnotico su di noi. E si lega all’oro delle opere lucenti realizzate con i drappi di coperte isotermiche. Quelle coperte che vengono buttate addosso ai migranti dopo un naufragio e che l’artista usa per rivestire oggetti domestici che divengono astratti. Anche in questo caso – come nella bandiera bianca a rovescio sotto il mare (Velo, 2014) – l’artista si immerge nel mondo liquido primigenio.

Manuela Gandini

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Manuela Gandini

Manuela Gandini

Manuela Gandini è critica d’arte contemporanea, curatrice e docente alla NABA di Milano. Scrive per “La Stampa” e “Il Manifesto” ed è responsabile della sezione Forme della rivista “Machina”. E’ autrice del volume “Ileana Sonnabend. The queen of art” (Castelvecchi…

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