Personne, la nuova personale di Maria Adele Del Vecchio (Caserta, 1976) organizzata negli spazi della galleria Tiziana Di Caro, è un percorso tra la voce delle cose e il silenzio delle parole: binario mediante il quale la narrazione oscilla, scivola, deraglia per conquistare una logica del senso dove il pensiero sembra tenere insieme gli oggetti (strettamente connessi, chiasmaticamente collegati) nello spazio. Sedicente (2017), Are we not drawn onward to new era (2017), Drowning (2011-2019), Papapaparola (il fuoco e il racconto) (2019), Senza titolo (notturno) 2 (2004), Personne (2019) – ovvero una parola serigrafata su specchio, una tecnica mista su carta che sembra riarsa, la fotografia di una piscina dismessa, i ritagli di un libro che compongono un nostalgico collage, una pistola a salve sul cui lato è disciolto un moccolo d’emergenza e un neon – sono infatti uniti dal filo sottile del vissuto, dell’interferenza costruttiva.
Finemente impaginate e incorniciate in teche preziose, tre pagine di diario (Una madre, Una strega, Una peripatetica), come opere tra le opere, cadenzano nel percorso un tempo intimo, denso di rimandi autobiografici, di suggestioni che sottolineano la perdita (data da un potente slittamento semiotico) di ogni diaframma tra soggetto e mondo, che si dà innanzitutto come apertura di nostalgica possibilità e progettualità.
‒ Antonello Tolve