Learning from Elisa Sighicelli. Lettera a un giovane artista

Gianluigi Ricuperati indirizza una lettera a un ipotetico/a giovane artista, spronandolo/a a trarre esempio da Elisa Sighicelli, ora in mostra a Napoli, al Museo di Villa Pignatelli.

Caro Leo, o forse ti chiamerò Lea, ti voglio scrivere perché non ho nulla da insegnarti, e perciò mi sembra bello e vero dirti che non puoi imparare da me, ma potresti imparare qualcosa da uno degli artisti più segreti e coerenti della scena europea degli ultimi quindici anni ‒ come fecero gli architetti degli Anni Settanta da Denise Scott Brown e Robert Venturi, che dissero “impara da Las Vegas”, ma in realtà stavano trasmettendo un sapere per interposta persona.
È ora di essere seri, di andare all’anagrafe e farsi cancellare quella parola ‒ artista, curatore ‒dalla carta d’identità, e ricominciare da capo, diventare una scuola vivente, aprirsi alla curiosità infinita, pronunciare il SÌ che ti hanno tante volte illuso fosse sintomo di debolezza, rinuncia, collusione. Ma il nostro lavoro ‒ la nostra opera senza confini chiari ‒ ha bisogno di intrattenere conversazioni aldilà dei cinquemila amici, aldilà della rugiada che compare nel mattino in cui il cool lascia spazio al cold, e quando fa freddo bisogna guardare alla sostanza e all’abbondanza.
Elisa Sighicelli (Torino, 1968) incarna questi valori come un’icona carsica nell’arte italiana così debole, così deprivata di scuole e spazio seminariale: fotografa, cercatrice d’oro nei margini sporchi di lastre chimiche, stampatrice sperimentale su ogni possibile superficie.
Car* Le*, prendi un biglietto notturno per Napoli e vai al Museo di Villa Pignatelli, una gemma aragonese sul lungomare del golfo, e impara da Elisa Sighicelli quattro punti cardinali del processo che separa l’inventario dall’invenzione.

Elisa Sighicelli, Untitled (6928), 2018, 92 x 68 x 4 cm, stampa UV su travertino

Elisa Sighicelli, Untitled (6928), 2018, 92 x 68 x 4 cm, stampa UV su travertino

QUATTRO PUNTI CARDINALI

‒ Gli artisti come Elisa Sighicelli lavorano su riserve invisibili di domande classiche.
Elisa Sighicelli si concentra da anni su una miniera di questioni aperte piuttosto classiche: cosa distingue un’immagine fotografica da un’immagine, in un cosmo di un milione di immagini ribattute da schermi, in un cosmo fisico che fondamentalmente si è ridotto a uno schermo? Perché l’illusione è così importante quando ci troviamo di fronte un’opera? Cosa succede quando la pelle delle cose ospita un’icona? Moltiplicare, ridurre, amplificare il recinto in cui si muove l’anima della rappresentazione.
Se non ti poni domande del genere, o non te le poni con sufficiente radice quadrata, forse devi imparare da Elisa Sighicelli.

‒ Gli artisti coltivano i dubbi sul proprio percorso, e anche per questo hanno un percorso e non una carriera.
Fino a qualche tempo fa Elisa lavorava con Gagosian, che per molti sarebbe un punto di arrivo o un plateau di comoda rassegnazione: si produce per un mercato, anziché lottare ai margini del mercato per dire qualcosa di necessario. Se non hai la forza mentale di lasciare Gagosian per ripartire da capo, per trovare nuove strade, forse devi imparare da Elisa Sighicelli.

Elisa Sighicelli, Untitled (9178), 2018, 214 x 143 cm, fotografia stampata su raso

Elisa Sighicelli, Untitled (9178), 2018, 214 x 143 cm, fotografia stampata su raso

‒ Gli artisti cercano di infondere problemi di linguaggio nello spazio alla bellezza, che nonostante tutto esiste ancora.
Le opere di Storie di Pietrofori e Rasomanti, nella loro secca distanza da ogni tema politico, identitario, comunitario, sono quanto di meno ‘notiziabile’ esista nella stagione hyper-correct del biennio 2018-2020 (poi la moda cambierà…). Ma ci consegnano la novità più cruciale. Elisa, come il teologo Ferdinando Tartaglia, è una donna della novità, ma una novità che non necessariamente squilla come ‘innovazione’. Il suo messaggio è che nel testo frastagliato e complesso, policentrico e sfasato della ricerca contemporanea, esiste spazio per la gioia del vedere. Che è sempre una fase sublimata della gioia del toccare. Osserva, car* Le*, questi scatti stampati su travertino e marmo, antichi muscoli romani rapiti come cerbiatti erotici ‒ e pensa a quanto sia eccitante e stancante la vita negli istanti erotici, nelle lunghe estati d’amore, nelle labbra e nei muscoli tesi come memorie di un’estasi possibile.
Se non parli d’amore, se non affronti il ‘vedersi vedere’ (scriveva Valerio Magrelli in un bellissimo saggio sul ‘visibile’ in Paul Valéry), forse devi imparare da Elisa Sighicelli.

‒ Gli artisti devono saper barcollare nello spazio fisico. Se non soffrono una passione spaziale, perdono una parte fondante della loro vocazione.
La mostra a Villa Pignatelli è un intenso esempio di come un artista coltivato e ambizioso oggi riesca a pensare come un curatore, come l’architetto nascosto nel cuore segreto del curatore. L’infilata di stanze si sussegue con una potenza di camminata pensante che va aldilà della qualità di una villa ottocentesca stupenda. Se non pensi l’installazione come una coreografia, forse potresti imparare qualcosa dalla quieta esperienza di Elisa Sighicelli.

Gianluigi Ricuperati

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati