Un trionfo di luce razionale. Dan Flavin a Milano
Cardi Gallery, Milano ‒ fino al 28 giugno 2019. Una mostra che attraversa tutta la carriera di Dan Flavin, rispettandone la poetica. Dal bianco al colore, una progressione che si imprime nell'occhio di chi guarda, ma ne sollecita anche l'intelletto.
Al piano terra il bianco predomina, libero di diffondersi, mentre il colore è protagonista al piano superiore, in spazi più raccolti: la mostra su Dan Flavin (New York, 1933-1996) alla Cardi Gallery si divide in due momenti complementari. Le celeberrime sculture al neon interagiscono con l’ambiente e tra di loro in modo suggestivo e spettacolare, ma rispettoso della filosofia dell’artista.
In effetti, l’ormai incontestabile fama di opere tanto caratteristiche porta con sé una serie di equivoci che una mostra corretta deve evitare, come in effetti questa riesce a fare. In primis l’idea di spiritualità, attributo ormai regolarmente evocato quando si parla di Flavin, che invece nulla c’entra con un’opera di stampo intellettuale, minimalista, libertario, addirittura pop, per alcuni versi. Una poetica quanto mai concreta nonostante la sua dimensione “atmosferica”.
IL GESTO DI ROTTURA DI DAN FLAVIN
Bisogna pensare infatti all’epoca in cui il gesto di Flavin si compì. A inizio Anni Sessanta utilizzare un tubo al neon (o più precisamente di luce fluorescente) come materia scultorea, ovvero un materiale non solo inconsueto ma di produzione industriale, tipico del nuovo panorama visivo della società di massa, era un gesto di rottura assoluto.
Certo, in questo schema concettuale si inserisce la luce, che spariglia le carte e reintroduce la sensazione, ma non come puro effetto. L’opera modifica il luogo espositivo aprendolo alla presenza dello spettatore, sollecitandolo e spingendolo a un'”autodeterminazione”.
La mostra da Cardi rispetta dunque queste caratteristiche, ovviando alla particolarità dello spazio con scelte discrete e rigorose ‒ la mostra è costruita insieme all’Estate Dan Flavin.
La porta d’ingresso rimane aperta, cosicché il bianco della prima opera si percepisce sin dall’esterno, in una progressione di avvicinamento che porta pian piano a scoprire le altre tinte, dapprima inglobate dal nitore.
DAL BIANCO AL COLORE
Lo spazio aperto interrotto solo dalle colonne della sala grande al pianterreno comprende cinque opere che dialogano ma rimangono autonome. Ecco gli omaggi a Tatlin, dove la struttura del Monumento alla terza Internazionale viene evocata ma traslata in orizzontale, e gli omaggi solo apparentemente impersonali agli amici dell’artista. Le eccezioni al bianco si fanno strada man mano nell’occhio del visitatore, che diventa così parte integrante dello spazio, subendo in prima persona le alterazioni apportate dalle opere.
E il primo seme di colore gettato nell’occhio germoglia poi in dose massiccia al primo piano, dove si susseguono in prospettiva altre nove opere più calde, tra cui l’omaggio a Josef Albers. L’arco di tempo complessivo delle opere va dal 1968 al 1995, dando un’idea attendibile di costanza e variazioni nella poetica di Flavin.
‒ Stefano Castelli
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