Neon a Modica. La storia della gloriosa galleria bolognese in mostra a LaVeronica

Abbiamo intervistato Gino Gianuizzi che ci ha raccontato la storia di Neon, spazio inaugurato nel 1981 a Bologna, chiuso poi nel 2011. Il 30 dicembre la Galleria LaVeronica di Modica inaugura una mostra summa che ripercorre le fila di quell’esperienza.

C’era una volta a Bologna uno spazio non profit che si chiamava Neon. Fucina di artisti e di intellettuali, laboratorio del presente nato nel 1981 in via Solferino a Bologna per volontà di un gruppo di amici e studenti del DAMS. Tra questi, ovviamente, Gino Gianuizzi che è stato l’anima dello spazio per ben 30 anni. Si dice che la storia di Neon sia nata nel corso di una vacanza a Salina. Poi il primo opening nel luglio 1981. Successivamente il progetto si trasferisce prima in via Avesella, poi in via Bersaglieri, infine in via Zanardi, venue che chiuderà nel 2011 questa gloriosa storia. Abbiamo intervistato Gianuizzi che ce l’ha raccontata, non senza regalarci qualche anticipazione per il futuro. Nel frattempo, nell’ambito del progetto Proloco indetto dalla galleria LaVeronica di Modica inaugura il 30 dicembre una mostra summa della storia di Neon, per dirla con Gianuizzi, “un archivio disordinato. Alcune opere selezionate dal magazzino della galleria”.

Come nasce il progetto Proloco#2? Con quali obiettivi?
La paternità del progetto Proloco non appartiene a me. Io, o meglio neon – e qui comincia l’ambiguità Gino-Neon -. Sono stato invitato a prendere parte al progetto. Il progetto Proloco nasce dalla galleria La Veronica, da Corrado Gugliotta e da Sveva D’Antonio. Proloco#2 è la seconda delle quattro fasi in cui si articola il progetto. Credo che l’approccio che caratterizza il lavoro della galleria sia una chiave di lettura che permette di giustificare l’invito. Conosco Corrado – e poi Sveva – da qualche anno, incontri avvenuti sempre nei loro stand fieristici; come sai la galleria La Veronica è molto presente nelle fiere d’arte.

E tu?
Io sono assai meno presente, dico come visitatore; le fiere sono un ambiente in cui mi sento sempre un po’ a disagio. Mi sentivo a disagio anche come Gino-Neon, ma in quella veste le trovavo più divertenti. È stato Corrado a propormi il progetto: Neon è un’esperienza che ha segnato i percorsi di tante persone, evidentemente; anche a distanza, sia geografica che temporale. Leggendo il testo scritto da Paolo Zani, il titolare galleria Zero, che Corrado ha avuto la bella idea di coinvolgere, questo fatto è evidente.

Che rapporto c’è con Zani?
Paolo era un giovane visitatore della galleria, fino dalla sede di via Solferino 41/a, quella dove la galleria era nata nel 1981 e che aveva visto l’incontro con Francesca Alinovi e la meteora dell’Enfatismo; e poi a cavallo fra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90 le mostre di Eva Marisaldi, Alessandro Pessoli, Luca Vitone, Cesare Viel, Maurizio Cattelan, Tommaso Tozzi, Leonardo Pivi, Francesco Bernardi… Non so se l’esperienza di Neon possa essere stata contagiosa, non riesco a considerarla come un esempio da seguire; ma certo l’entusiasmo ingenuo con cui si lavorava e il clima di condivisione e di collaborazione che si respirava hanno avuto un effetto che si è fatto sentire intorno. Poi le cose si ammantano di un velo leggendario e credo che a distanza Neon sia stata vista e sentita un po’ come a distanza è stata vista e sentita Bologna, che ancora oggi vive dell’eco di anni oramai lontani.

L’esperienza di Neon è stata una delle più significative nella città di Bologna…
Non dovrei essere io a dirlo, ma credo che l’esperienza di Neon sia stata significativa, nella città di Bologna ma anche in Italia. Neon è nata senza un progetto predefinito, è (stata) un’azione dadaista/situazionista/anarchica. Post ’77, post-punk, in un momento di passaggio delle nostre esistenze, Neon si è trovata a raccontare il lavoro di una generazione di artisti giovani in anticipo sul momento in cui il mercato ha deciso di dare una definizione e una collocazione alla categoria “giovane artista”.

Ad esempio?
Nelle mostre Nuova Officina Bolognese, a cura di Nino Castagnoli, Roberto Daolio, Walter Guadagnini, Dario Trento (GAM, Bologna 1990) e Soggetto/soggetto. Una nuova relazione nell’arte di oggi, a cura di Francesca Pasini, Giorgio Verzotti, Antonella Russo (Castello di Rivoli, Torino 1994) molti degli artisti presenti erano artisti che avevano avuto le loro prime esperienze alla galleria Neon. Quella che oggi il marketing culturale definirebbe un’eccellenza.

Che tipo di eredità pensi di avere lasciato in città?
Credo sia soprattutto uno spazio vuoto che non è stato riempito da altre iniziative. È vero che viviamo in un contesto diverso, dunque non è possibile replicare un’esperienza come Neon, ma è anche vero che Neon nel corso della sua parabola ha affrontato trasformazioni continue, tentando esperimenti forse impossibili, come quello di coniugare la vocazione non profit con una presenza forte nel contesto ufficiale di quello che chiamiamo sistema dell’arte, senza escludere la partecipazione alle fiere (Art Basel, Artissima, Arte Fiera, ArtFrankfurt…) e la competizione con le grandi gallerie di mercato. Ora ci sono gallerie che fanno un lavoro di nicchia, c’è stata l’esperienza importante di Nosadella II, ci sono quelli che ora si definiscono artist’s run space. Forse l’eredità è questa, ma sembrano essere tutte voci sommesse.

Dunque, non pensi che oggi a Bologna manchi uno spazio come Neon?
Io lo penso, anche perché Neon è parte della mia esperienza-esistenza, perché per anni sono stato Gino-Neon (e quando si è concluso il ciclo Neon è stato bello recuperare la mia esistenza di individuo autonoma da quello). Ma non sono soltanto io a pensarlo, mi capita spesso che mi si chieda perché non riprendi, c’è bisogno ancora di uno spazio come Neon, Neon manca alla città. È strano, e forse si cade subito nei discorsi da vecchio, ma quando abbiamo deciso di iniziare Neon non sapevamo davvero che cosa avremmo voluto fare; non avevamo risorse economiche. Lo abbiamo fatto perché farlo rispondeva a un desiderio: abbiamo voglia, ci piace, abbiamo bisogno di fare. E lo abbiamo fatto, e poteva finire dopo sei mesi, un anno o dieci; ha avuto un arco di esistenza di trent’anni.

E ora, invece?
Ora mi sembra che tutto sia più controllato, che ci si preoccupi di budget e di obiettivi e di alleanze e di strategie; che si impostino i progetti avendo davanti delle scadenze e il timore del fallimento: con il risultato che o non si fa perché non ci sono le condizioni per fare o si fa qualcosa che fin dalla nascita ha un percorso segnato da seguire. Neon è stato dissipazione di energie e di denaro non avendo l’obiettivo di raggiungere un risultato utile (profitto, fama, riconoscimento…). Mi pare un bel consuntivo. E mi piacerebbe riprendere, anche.

Come giudichi il mondo dell’arte oggi?
Non giudico, guardo, osservo. Vedo che ci sono dati accettati universalmente: la finanziarizzazione del sistema, il dispotismo del circuito delle grandi fiere internazionali, lo spostamento del focus sulle varie mostre internazionali (vedi le biennali che si inseguono ogni sei mesi). Vedo che le grandi gallerie si comportano come Company e aprono nuove sedi nei luoghi più appetibili per il mercato internazionale, come gli artisti tendono a divenire brand, marchi che con la loro notorietà alimentano la notorietà dei curatori e garantiscono il successo della mostra.

E le mostre?
Vedo anche che le gallerie hanno oramai rinunciato a costruire un programma espositivo ma che sono principalmente degli uffici in cui si organizzano attività diverse finalizzate alla promozione dei prodotti in vendita; si pianificano le partecipazioni alle fiere, si cercano supporti economici e occasioni espositive che diano visibilità agli artisti, si attuano strategie di marketing sofisticate per garantirsi l’attenzione dei collezionisti.  Mi piacerebbe che non fosse così, ma a quel che vedo questo è, e il giudizio è implicito.

Quali sono i momenti più importanti e quelli che ricordi con più affetto? Le mostre che ti hanno segnato e che hanno fatto crescere lo spazio?
Ci sono stati momenti intensi e coinvolgenti e momenti meno importanti per me, progetti che ho amato molto e che continuo ad amare e progetti cui avrei rinunciato già nel momento in cui si cominciava a costruirli. Ma è proprio questo carattere di flusso continuo di ricerca, questo andare anche per tentativi che a distanza apprezzo maggiormente: un grafico discontinuo, con picchi acuti e con tracciati quasi piatti, ma che testimonia una vitalità permanente. Non me ne rendevo conto nel momento del fare: lì c’era un’urgenza, una necessità, sentivo di dovere dare voce e visibilità a tanti artisti, che non c’era altro criterio che quello dettato dal sentire immediato, dal condividere il progetto in quel momento. Salvo valutarne poi il valore.

Facci qualche esempio, via…
Le mostre di Eva Marisaldi, e in special modo La portata umana è nulla; la mostra L’azzurro del cielo di Alessandro Pessoli, che ricollego a Roberto Daolio riavvicinatosi alla galleria dopo la morte di Francesca Alinovi; il Torno Subito di Maurizio Cattelan e anche Strategie con Tommaso Tozzi; gli incontri e la mostra di Alessandra Tesi; le avventurose mostre con Cuoghi Corsello, a partire da La regina degli UFO, e quelle di Maurizio Mercuri; la mostra di Francesco Voltolina La porta della femmina oscura. E poi le prime collaborazioni con artisti stranieri: M+M (Marc Weis e Martin De Mattia); Doerte Meyer, Martin Hiddink, Wolfgang Weileder, il gruppo degli artisti de La Station di Nizza.

Bei momenti….
Ma davvero penso che lo spazio sia cresciuto in maniera rizomatica, non un fusto centrale forte da cui si dipartono rami verso l’alto in una progressione geometrica; piuttosto un cespuglio arruffato da cui di tanto in tanto si innalza un ramo ma che principalmente si muove sul terreno, contamina altre piante, comunica, rilascia spore che si sviluppano altrove autonomamente. E forse – lo penso ora scrivendone – questa è anche una delle ragioni della fine di Neon.

Chi sono stati i tuoi compagni di strada nella costruzione di Proloco#2?
L’intenzione era quella di rendere almeno in parte tutto quello che è passato attraverso Neon in tanti anni, rispettando quell’attitudine disordinata, senza fare una selezione qualitativa. Dunque ho cercato di comunicare il progetto a tutti quelli che hanno avuto occasione di ’toccare’ Neon in qualche modo: come artisti, come critici o curatori, come visitatori curiosi. Impresa quasi impossibile, ancora una volta. Così i miei compagni di strada sono una settantina, quelli che sono riuscito a raggiungere e che hanno avuto voglia-tempo-interesse a raccontare il loro rapporto con neon, che sia passato attraverso una mostra (il caso più frequente) o attraverso altri contatti.

Cosa troveremo in galleria?
Un archivio disordinato. Alcune opere selezionate dal magazzino della galleria. E poi documenti, manifesti, testi, locandine, video.

A prescindere da questa mostra, di quali altri progetti ti stai occupando?
Sono titolare del corso di Progettazione di interventi urbani e territoriali all’Accademia di belle arti di Bologna; traduco qui la mia ricerca focalizzata sulle pratiche artistiche nello spazio pubblico. Ma da poco più di un anno sto anche curando la programmazione di una galleria che ha sede a Monaco, e questa nuova e inattesa esperienza mi sta divertendo molto. È di nuovo la sensazione di muoversi in una casa ricca in cui si è invitati ma non si conosce nessuno, e di chiamare i propri amici a partecipare al party.

Che hai combinato lì?
Ho presentato mostre con Maurizio Mercuri, Amedeo Martegani, Stefano Boccalini, Daniela Comani, Drifters, Jasmin Reif, Giancarlo Norese, M+M, Marta Pierobon, Alessandra Andrini, Fabrizio Basso, Eva Sauer, Maurizio Vetrugno, Valentina D’Accardi, Marta Pierobon, Doerte Meyer e Gert Bendel, Cèdric Teisseire, Maurizio Bolognini, Cinzia Delnevo, Stephanie Nava, Marco Samoré, Aurelio Andrighetto, Gianluca Codeghini, Premiata Ditta, Bartolomeo Migliore, Regan Wheat, Paolo Parisi, Barbara Gurrieri, Calori&Maillard, Andrea Crociani, Cuoghi Corsello.

E poi?
E poi il desiderio di avviare un nuovo progetto Neon…

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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