L’omaggio di Roma a Mimmo Rotella

A cento anni dalla nascita, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma accende i riflettori sulla parabola di Mimmo Rotella. Illustrando le tappe fondamentali della sua carriera.

Una mostra allestita come la piazza di una città, incorniciata da giganteschi manifesti stradali. Questa è l’idea portante dell’antologica di Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 ‒ Milano 2003), Manifesto, curata da Germano Celant e Antonella Soldaini alla Galleria Nazionale, che celebra il centenario della nascita dell’artista con 170 opere, relative alle diverse fasi della ricerca del maestro, protagonista di primo piano dell’arte italiana della seconda metà del Ventesimo secolo. Divisa in sei giganteschi billboard, la mostra si legge come un ciclo di immagini riunite per tipologie, secondo un andamento che scorre in senso orario .Si parte con gli Assemblages, avviati da Rotella nel 1953 insieme ai Décollages (1954-1963) ed è subito capolavoro: da Naturalistico (1953) ‒ il primo intervento di questo genere ‒ a Collage 12 (1954) , da Roma capovolta (1956) a Sul muro (1958), fino a opere più note come Viva America (1963) e Marilyn Monroe (1963), esposta alla Biennale di Venezia nel 1964. Un percorso che parte da una dimensione quasi astratta per procedere via via a un affioramento della struttura iconica dell’opera, concepita in una chiave che l’avvicina alla Pop Art inglese e americana. Con una differenza, sottolineata in catalogo da Tobia Bezzola: Rotella non esercita alcuna critica al messaggio pubblicitario, come Richard Hamilton o Edoardo Paolozzi, ma ne rispetta il dettato, anzi lo amplifica.

L’artista in Piazza del Popolo, Roma 1954 © 2018 Mimmo Rotella by SIAE

L’artista in Piazza del Popolo, Roma 1954 © 2018 Mimmo Rotella by SIAE

PUNTI DI ROTTURA

La tappa successiva sono i Retro d’affiches (1953-1961), la cui componente informale è vicina alla pittura di Alberto Burri, il quale (come ma prima di Rotella) si affidava “agli umori della materia”. Le opere più riuscite sono quelle radicali, come 3000 anni avanti Cristo (1954), Velato sotto (1955) o Rosso romano (1956), dove la materia rivela la propria trama, senza la presenza di elementi figurativi riconoscibili che ne disturbino la lettura. La sezione seguente riunisce i Riporti fotografici (1963-1980) e gli Artypos (1966-1974), dove Rotella passa dal manifesto readymade a sperimentazioni realizzate attraverso proiezioni oppure utilizzando manifesti scartati dalle tipografie: i temi scelti vanno dalle immagini di cronaca (Jacqueline Kennedy, 1963) a temi politici (Italy’s Trail, 1973) fino a poster pubblicitari (Olio extra, 1966). Decisamente sorprendenti i Blanks (1980-1982): manifesti coperti da veline di carta colorata, che l’artista realizza nell’arco di due anni, dopo essersi trasferito da Parigi a Milano. Gesti estremi che costituiscono, come sottolinea Antonella Soldaini, “un punto di rottura con i vecchi codici di riferimento, con quell’accumulo di significati che lo hanno supportato per decenni”.
È la rappresentazione della fine di un’immagine”, spiega l’artista, che soffre perché avverte l’indifferenza del pubblico, abituato al lavoro precedente, davanti ai Blanks. Si tratta invece di una produzione molto innovativa, e uno dei tanti meriti di questa mostra è averne sottolineato la rilevanza, all’interno del percorso pluridecennale di Rotella.

Mimmo Rotella, Le cachet, 1960. Collezione privata. Photo Courtesy Fondazione Marconi © 2018 Mimmo Rotella by SIAE

Mimmo Rotella, Le cachet, 1960. Collezione privata. Photo Courtesy Fondazione Marconi © 2018 Mimmo Rotella by SIAE

DÉCOLLAGES E NUOVE ICONE

La mostra prosegue con altre due sezioni: la prima riunisce gli Acrilici (1984) e le Sovrapitture (1988-1995), influenzate dal clima di “ritorno alla pittura” degli Anni Ottanta, dove Rotella adotta come supporto il pannello metallico per una serie di opere caratterizzate da interventi pittorici, peraltro non particolarmente felici, su manifesti cinematografici. La conclusione è affidata ai Décollages (1992-2004) e alle Nuove Icone (2003), che costituiscono l’ultima produzione dell’artista, caratterizzata da una ripresa, in chiave nostalgica, di temi e linguaggi degli Anni Sessanta. Una serie di teche i con cataloghi e documenti d’archivio completano la rassegna, che include anche la produzione scultorea polimaterica e le ricerche dell’artista nell’ambito della poesia visiva, con il Manifesto della poesia epistaltica (1949). Particolarmente degno di nota il catalogo, pubblicato da Silvana Editoriale, ricco di contributi scientifici illuminanti.

Ludovico Pratesi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

Scopri di più