La mostra si apre con una grande opera murale: incastonate in una ragnatela di rami bluastri e rischiarate da luci ultraviolette, le pitture di Avish Khebrehzadeh (Teheran, 1969), denunciano l’ipocrisia di una libertà romantica attraverso la resa ispida e granulosa delle figure umane. Nella stanza limitrofa una successione di “gong” scandisce una corsa di cavalli sbrigliati, che, proiettata sull’intera superficie del muro e riprodotta incessantemente, trasforma l’ideale selvaggio di libertà in conformismo.
Al piano superiore disegni, pitture e installazioni raccontano la violenza fine a se stessa della rivoluzione guidata dall’Ayatollah Khomeyni che, approfittando dell’odio di classe verso la monarchia di Scià Mohammad Reza Pahlavi, instaura una Repubblica altrettanto repressiva finanziata dagli Stati Uniti in cambio della prelazione sulle materie prime del territorio. Carri armati disegnati su carta si interfacciano a dipinti rosso sangue in cui i tratti dei volti coincidono con le lacerazioni della tela stessa, mentre sul pavimento è proiettato un mandala di immagini cosmiche che narra la fuga di Avish dal regime sciita.
‒ Arianna Cavigioli