Mark Wallinger, profeta del quotidiano. A Prato

Centro Pecci, Prato ‒ fino al 3 giugno 2018. 1988-2018: gli ultimi trent’anni di carriera condensata nelle opere più significative dell’artista britannico, nella prima mostra italiana a lui dedicata, e che coincide con il trentennale del Centro Pecci. Una mostra in collaborazione con il British Council.

Con un tocco ironico e apparentemente superficiale, Mark Wallinger (Chigwell, 1959) ha saputo raccontare, e in molti casi addirittura anticipare, la complessa realtà contemporanea, dall’identità alle migrazioni al welfare. Un artista le cui opere hanno acquisito nel tempo nuova valenza e profondità, che l’Italia impara finalmente a conoscere grazie alla mostra di Prato fortemente voluta dall’ex direttore Cavallucci. Sculture, fotografie, video, installazioni, disposti con criterio non cronologico ma concettuale, e un titolo che gioca sul doppio binario del termine Mark, insieme nome proprio e verbo traducibile come “marcare, segnare”. E Wallinger, a suo modo, marca il territorio, sancisce la sua presenza ironica, lancia messaggi e spunti di riflessione, attraverso una poetica artistica fatta di allusioni, metafore, richiami alla condizione dell’io nel presente e riflessioni sull’attualità.

IDENTITÀ E INSICUREZZE

La mostra si apre con il suggestivo Ecce Homo (1999-2000), la prima scultura di arte contemporanea aggiunta nel “pantheon” di Trafalgar Square a Londra. All’epoca era il simbolo del pellegrino vagante, ma oggi è innegabile una sua identificazione con il migrante, visto come il martire moderno, dalla valenza universale, non solo cristiana. L’opera dialoga con il video Threshold to the Kingdom, realizzato in occasione del Giubileo del 2000, e se all’epoca fu una metafora del pellegrino sospeso fra la benedizione e la dannazione, a distanza di anni è divenuto metafora della condizione di coloro che molto spesso trovano chiuse quelle porte della “terra di nessuno”, fra la discesa da un aereo o una nave e la zona di frontiera. A 18 anni dalla sua ideazione, adesso nel pieno dell’emergenza migranti, quest’opera assume un carattere fortemente attuale, così come è accaduto per Passport Control, una serie di autoritratti su fototessera risalenti addirittura al 1988, su cui l’artista è intervenuto con il pennarello disegnando caratteri etnici stereotipati. Oggi, con la sicurezza globale divenuta un’emergenza e la necessità di controlli sempre più serrati, la paura è purtroppo diventata una sensazione assai diffusa, accompagnata da pregiudizi di ogni sorta.

Mark Wallinger , Passport Control, 1988. Courtesy the artist and Hauser & Wirth. Photo © Alex Delfanne

Mark Wallinger , Passport Control, 1988. Courtesy the artist and Hauser & Wirth. Photo © Alex Delfanne

LA QUESTIONE DELL’EGO

Nell’epoca della società di massa, Wallinger riflette sulla “precarietà” dell’ego attraverso un corpus di opere concettualmente legate fra loro: in primis, ID paintings, nate dopo un periodo di terapia psicanalitica; attraverso pitture acriliche stese con le mani, l’artista crea effetti di sorprendente simmetria che rimandano ora a forme antropomorfe ora zoomorfe, ora a immagini radiografiche del corpo umano; un’identità personale, onirica e inconscia che l’artista rimarca utilizzando sulla tela le dimensioni della sua altezza sommata alla misura dell’apertura delle braccia, richiamando le proporzioni vitruviane. Più complessa la serie dei Self-portraits, dove la parola I (io in inglese) ritorna in maniera quasi ossessiva, declinata in forme e strutture differenti, dalla scultura primitiva al segno geometrico di Mondriaan al quadrato di Malevič. Un corpus di tele che, fra ironia, onirismo, inventiva formale, riflette sui mille travestimenti che assume l’ego dell’individuo contemporaneo. Il quale non rinuncia a lasciare una sua traccia personale, come fa lo stesso Wallinger scrivendo il proprio nome (vedasi il gioco di parole di cui sopra), su oltre 2mila mattoni di altrettanti edifici londinesi; un modo per “reclamare” il proprio spazio e, sull’esempio dei writer, lasciare la propria firma.
Infine Adam, componimento poetico che desume il titolo dal primo uomo apparso sulla Terra (e quindi il primo ego), formato da versi tratti da poesie di altri autori, tutti aperti dalla parola Io e ognuno dei quali descrive un’azione, una sensazione, un pensiero, a disegnare il composito universo umano.

Mark Wallinger, Construction Site, 2011. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

Mark Wallinger, Construction Site, 2011. Courtesy the artist and Hauser & Wirth

METAFISICA DEL QUOTIDIANO

Con quella leggerezza dei pensatori distratti, Wallinger lascia cadere davanti al pubblico considerazioni di ampio respiro sull’esistenza. Construction Site (2011) è un video che racchiude in due dimensioni l’infinito della terra, del mare e del cielo, che si incontrano in prospettiva. E, riecheggiando Roland Barthes, Wallinger ci ricorda come l’immagine resta bidimensionale, e di questa si serve ogni artista per raccontare il mondo. Poiché qui il soggetto è la parodia di un cantiere, emergono considerazioni di tipo sociale e politico, dal sistema del welfare per i lavoratori alla sicurezza sui luoghi di lavoro all’equità salariale. Invece, Pietre Prato è un’installazione site specific realizzata con centinaia di pietre di fiume raccolte in loco e successivamente sparse sul pavimento della sala, dopo essere state contrassegnate con un numero. Dietro questo scenografico mare di roccia si cela l’ambizione dell’uomo di conoscere e classificare ogni più minuto aspetto della realtà, retaggio delle accademie seicentesche e del Positivismo ottocentesco. Da un altro punto di vista, l’opera analizza i molteplici significati della pietra; da quella tombale, ultimo ornamento all’esistenza umana, alla pietra lanciata nelle rivolte di piazza, estremo messaggio di disagio politico.
Due opere profonde nel concetto e al contempo leggere nell’estetica, in aperta controtendenza rispetto al generale approccio di tanti artisti contemporanei.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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