Nature forever. Piero Gilardi a Roma

Museo Maxxi, Roma – fino al 15 ottobre 2017. La sede capitolina ripercorre la carriera dell’artista torinese Piero Gilardi, mettendo in evidenza i nodi tematici della sua poetica. Dalla natura alla scienza, passando attraverso la tecnologia.

Una vasta mostra retrospettiva di Piero Gilardi (Torino, 1942) si è aperta al Museo Maxxi di Roma a cura di Hou Hanrou, Bartolomeo Pietromarchi e Marco Scotini. La mostra allinea diverse componenti del lavoro di Gilardi, iniziando dai primi Anni Sessanta, quando le intuizioni concettuali sulle funzioni dell’arte si mischiano alla fascinazione del mondo della scienza, della fantascienza e della comunicazione. Una fascinazione che porta a interrogarsi sulle evoluzioni future della comunicazione e che si collegherà poi all’intervento sui new media. La Macchina per discorrere, sorta di Radio Futurista che s’illumina quando si parla, diventa una previsione sulle tematiche dell’interattività che, dai computerizzati Anni Ottanta, invaderanno il rapporto arte-scienza-società.
Ma sono le opere “pop-iperrealiste”, che usano materiali plastici morbidi e maneggevoli, a rappresentare nuove problematiche contemporanee. Come i Vestiti Natura: erba, sassi, fiori e rami indossati da modelle in gallerie d’arte nella vivace Torino degli Anni Sessanta, dove le forme espressive (unificate poi da Germano Celant nell’Arte Povera) stavano sorpassando le città di punta come Milano e Roma con soluzioni originali e aperture impreviste. E più tardi i Tappeti Natura, che diventeranno una delle immagini iconiche delle tematiche società-natura inaugurate in quegli anni dalle controculture e dalla Land Art.
I lavori di Gilardi portano un elemento diverso, il fantastico e il fiabesco, come nel Barone Rampante di Italo Calvino, dove il protagonista vive sugli alberi in mezzo alla natura per critica verso la società.

Piero Gilardi, Mare, 1967. Collezione Fondazione Gilardi. Photo Leo Gilardi

Piero Gilardi, Mare, 1967. Collezione Fondazione Gilardi. Photo Leo Gilardi

LA SVOLTA DEGLI ANNI ‘60

La leggerezza e il fantastico sono quindi i mezzi con cui affrontare tematiche impegnative. Atteggiamento che muterà in parte con il mutare degli Anni Sessanta in Italia e nel passaggio alle realtà delle lotte politiche che esplodono intorno al ‘68. La partecipazione politica, già evidente nel lavoro precedente, diventa prioritaria dal ‘69. Sono anni di scelte radicali e Gilardi sceglie di abbandonare i percorsi prettamente artistici e di portare la creatività nelle lotte politiche.
I modelli sono quelli nati in anni in cui tutto era rimesso in discussione: Stato, lavoro, scuola e sanità mentale attraverso l’antipsichiatria. Il lavoro con i collettivi di animazione culturale conduce alla partecipazione ai collettivi politici che rappresentano la base sociale dei movimenti. Molte immagini ricordano l’entusiasmo e la creatività di quegli anni, dove le maschere e le marionette di Gilardi traducono la realtà in termini visivi immediati, colti e popolari insieme, come le figure di Depero.
Negli Anni Ottanta è l’arte digitale a muovere il suo operato, che vede le nuove tecnologie come un ampliamento del binomio arte-comunicazione. Il “Meraviglioso Tecnologico” permette il reificarsi d’ipotesi quali l’interattività, vista come sviluppo della partecipazione del pubblico ai processi creativi, istanza basilare del lavoro neodada degli Anni Cinquanta e Sessanta confluito nelle pratiche concettuali e nell’arte digitale.

LA STORIA DEL PAV

Dall’arte “abitabile” all’arte “sensoriale”, così i sassi e le piante delle nature mimate e plastificate negli Anni Sessanta diventano cinetici, creano piccole o grandi narrazioni con finalità di gioco e politica ambientale. Come in Alice in Wonderland, alberi e fiori parlano, animazioni e musiche ribadiscono il passaggio dai problemi gravi dell’ambiente all’ottimismo di una natura e una società che ridiventano integre e felici.
La creazione del PAV – Parco Arte Vivente nella periferia di Torino diventa la sintesi di molte linee di ricerca del lavoro di Gilardi: la cultura come animazione culturale, la tecnologia come medium modello, la logica di una didattica estetica che agisce dalla periferia. Il risultato è una struttura di grande interesse, nata con un’architettura biologica su un’ex discarica bonificata. Alternativa alle funzioni museali (centro di ricerca e non museo), la struttura propone mostre legate all’arte, alla scienza e all’ambiente. Su questi temi sorgono attività didattiche, workshop e la partecipazione di artisti che producono in loco le loro opere, come il gigantesco trifoglio-labirinto abitabile di Gonzalez-Foerster. Oppure come il Fiore macchiato di rosso che il “bioartista” Eduardo Kac ha modificato geneticamente inserendovi il proprio DNA come fosse il proprio sangue.
Una mostra che porta a Roma un artista non abbastanza visto in città e, attraverso il suo lavoro, una rilettura importante e significativa dell’arte italiana dagli Anni Sessanta a oggi.

Lorenzo Taiuti

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Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti

Lorenzo Taiuti ha insegnato corsi su Mass media e Arte e Media presso Academie e Università (Accademia di Belle Arti di Torino e Milano, e Facoltà di Architettura Roma). È esperto delle problematiche estetiche dei nuovi media. È autore di…

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