Natura e artificialità. Intervista ad Andrea Francolino

È uno dei protagonisti della mostra allestita presso la Galleria Frittelli Arte Contemporanea di Firenze, insieme a personalità del calibro di Mimmo Rotella e Paolo Masi. In questa chiacchierata Andrea Francolino racconta il suo lungo percorso di ricerca. Tra rispetto per la natura e attenzione all’artificio.

Nell’ambito della mostra Urban papers, ospite di Frittelli Arte Contemporanea a Firenze, fino al 12 febbraio 2017, abbiamo raccolto una lunga intervista con il più giovane dei tre protagonisti della rassegna. Classe 1979, Andrea Francolino ha presentato la sua opera e ripercorso la sua ricerca degli ultimi anni – dall’indagine delle forme di comunicazione visiva della società di massa all’informalità della polvere di cemento e della crepa. Margini ambigui fra natura e artificalità.

Ti piace la mostra allestita da Frittelli Arte Contemporanea?
Sì! Non molti spazi e pareti sono adatti al lavoro che presento qui, l’opera From 12 Mar 2015 to 12 Mar 2016. Un anno di lavoro è grande per il tempo che ci è voluto a realizzarlo e lo spazio che occupa nell’allestirlo. La parete dedicata in galleria riesce a farne la sintesi senza ridurla, anzi, ne restituisce l’imponenza. In un colpo d’occhio il fruitore coglie il tempo di realizzazione dell’opera e l’ampio raggio di azione, senza che la sua leggibilità ne risulti soffocata. Un allestimento di ventuno metri lineari avrebbe anche potuto disperdere l’opera nella sua maestosità frammentata, ma al primo sguardo ho capito che sarebbe andata bene. E seguendo l’istinto sono stato ripagato.

La galleria ha una bella disposizione, sembra una basilica con una navata centrale e due laterali, con un fondale, dove si trova la tua opera, sul quale si proietta il punto centrale della prospettiva. Non poteva che essere così, trovandoci a Firenze…
È vero, lo spazio è interessante e ha permesso a me di non rimanere schiacciato fra i lavori di maestri come Mimmo Rotella con i Retro d’affiches e l’installazione dei cartoni degli Anni Settanta di Paolo Masi. C’è un equilibrio delle parti fra di noi. Senza che nessuno sia ombra dell’altro.

Andrea Francolino, 7 meraviglie del mondo moderno, 2013 (a parete) e A-Biotic, 2016 (a terra). Installation view at Kristin Hjelleghjerde Gallery, Londra 2016

Andrea Francolino, 7 meraviglie del mondo moderno, 2013 (a parete) e A-Biotic, 2016 (a terra). Installation view at Kristin Hjelleghjerde Gallery, Londra 2016

Sei soddisfatto della mostra andata in scena a Londra, alla Kristin Hjellegjerde Gallery, durante Frieze?
Molto. Anche in questo caso ho lavorato su un allestimento simmetrico, che ha restituito una grande leggibilità e linearità a un tema così incerto e sregolato come la crepa. Una mostra tribolata: in principio ho ricevuto un invito entusiasta a inaugurare durante il momento più importante per Londra, Frieze. Poi mi ha raggiunto un “non ce la sentiamo”, proprio dopo i risultati della Brexit, perché il mio lavoro non è stato immediatamente percepito. A quel punto non volevo più farla io, col risultato, invece, che la Galleria si è decisa ad avermi a tutti i costi. Infine all’opening sono stato notato, fra altri, dallo studio di architettura Foster and Partners, che mi ha chiesto un lavoro per un progetto a New York del costruttore Scott Resnik.

Rispetto alla mostra di Firenze, a Londra hai proposto una riflessione su artificio e natura, dal titolo From I to, dove la materialità del cemento e calcestruzzo mostra la fragilità attraverso le rotture, le crepe, le polveri, in dialogo con la terra organica e la clorofilla.
Il cemento è presente, ma smaterializzato, passando dalla sua pesantezza, presenza, forza, alla sua leggerezza effimera, traccia. Ho messo in relazione un metro quadro di polvere di cemento con un metro quadro di terra organica, o un mazzo di tondini di ferro immersi nel calcestruzzo, che imitano una diffusissima pianta da appartamento, nota per le sue qualità antinquinamento: la Sansevieria. L’esistenza dell’uomo sta all’interno di queste dicotomie. Dopo le riproduzioni delle grandi piantine dei Mall del mondo prima come impronta sul cemento e poi sulla polvere di cemento, sono arrivato a individuare la crepa.

Pensavo ai tuoi passati lavori della serie Spamming e Packaging, dove hai indagato le forme del consumo e della società di massa, e anche al grande Scaffale bianco del 2012, che hai portato con Testoni nello stand di Arte Fiera a Bologna nel 2013.
La sintesi, dopo un lungo percorso, è quello che mi interessa, senza togliere significato agli errori, che considero parte di un percorso utile ad arrivare alle opere migliori. Lo scaffale, nonostante sia stato mostrato all’interno di una fiera commerciale e non in un museo, era un progetto artistico di ricerca. Sembra un paradosso, dato che riproduceva gli scaffali dei supermercati!! Ma quello che ha evocato si ricorda dopo anni, nonostante la fruizione caotica della fiera, tanto che mi ha permesso di entrare nella collezione della famiglia Servais di Bruxelles con più opere legate alla stessa ricerca, ma di minore imponenza.

Andrea Francolino, Cracks, 44.321411_11.894776

Andrea Francolino, Cracks, 44.321411_11.894776

Da allora hai vissuto un graduale passaggio verso la smaterializzazione. Prima eri più esposto, anche più fisico e scenografico. Oggi sei regista dietro le quinte e rifletti sull’informale, dando grande libertà al giudizio.
Ti sembra che oggi sia meno esposto di un tempo: prima mi sono calato nell’evoluzione consumistica per toccarla con mano lavorando su immaginari e linguaggi più espliciti; oggi cerco di raggiungere un legame più oggettivo, meno personale e forse più universale tra il senso della vita e il senso delle cose, perché ho un approccio più consapevole. Analizzando la contemporaneità massificata, l’evoluzione consumistica dell’uomo e rapportandole all’universo, all’esistenza, al senso della vita e delle cose, alla natura, non può che emergere, inequivocabile, la vulnerabilità materiale dell’essere umano e delle sue “creazioni”. Ecco perché la polvere e la crepa mi interessano maggiormente ora. Si tratta di una constatazione di fatto, né negativa né positiva, su cui oriento evoluzioni, riflessioni, ricerche, intenti, sperimentazioni. Prima era celata dietro strati più diretti, popolari e ironici. Tieni conto che la polvere e la crepa appartengono sia all’artificio che alla natura e questa permeabilità di ambiti mi dà molto spazio di espressione.

Perché il cemento?
Un materiale come il cemento, emblema dell’evo contemporaneo, manifesta attraverso se stesso l’oggettiva vulnerabilità delle cose e dell’uomo, associato alla vita diventa l’emblema contemporaneo della COSA. Ho ricevuto un bellissimo apprezzamento da un noto collezionista in visita da Frittelli, che ha sottolineato come io usi il cemento in una maniera così autonoma e innovativa da non dovere temere la diretta associazione, per via del materiale, al maestro Uncini. Ne sono lusingato, perché vengo rapportato a un artista di profonda levatura, pur venendo riconosciuto per la mia personale soluzione artistica.

Mentre la crepa?
La crepa emerge come la sintesi della vulnerabilità umana. Una sintesi che lascia però elucubrare oltre, al punto dove ognuno tende a perdersi. La scelta di questo soggetto sospende il giudizio lasciando spazio all’inevitabile scatenarsi di opinioni, visioni, evoluzioni da parte di chiunque. È lo stimolo verso la presa di consapevolezza che riporta all’origine, un cerchio chiuso ma che continua a girare all’infinito, come l’ovvietà dell’esistenza.  Molti calchi di crepe che realizzo sono strappati via dal manto stradale. Non li ricreo io artificiosamente: in questo modo il senso evolve anche in altre direzioni, come il tentativo illusorio di fermare il trascorrere e divenire delle cose, i pieni che circoscrivono i vuoti, i vuoti che si riempiono della vita, la dimensione temporale, quella fisica, materiale ed esistenziale. Per questo sintetizzo in una frase: “Guardare una crepa è come guardare l’universo, rifletto sul senso della vita e sul senso delle cose”.

Andrea Francolino, White, 2012. Courtesy l'artista

Andrea Francolino, White, 2012. Courtesy l’artista

Quale significato hanno l’arte e le opere oggi?
Che cos’è l’arte può essere detto in tanti modi, tanti quanti i modi di spiegare il senso della vita. Sento che l’arte ha perso la poesia, ovvero quel modo di essere allusiva, ambigua, stratificata, aperta, irraggiungibile, schiacciata dai tecnicismi che assecondano dinamiche generate dal sistema stesso. Penso che l’opera d’arte sia quella che non passa mai di moda e che la sua contemporaneità non dipenda dal materiale usato. Gli errori sono attraenti quanto le opere riuscite. Senza di loro la scalata verso la cima, alta o bassa che sia, è fasulla. La sintesi si raggiunge dopo un lungo percorso che racchiude un big bang, mentre dove non c’è processo, siamo di fronte a scorciatoie prive di energia e probabilmente meteore che non sopravvivranno ai prossimi due anni. Quando l’uomo non contempla e rispetta o mette al primo posto la Natura, il Creato o l’Universo, modificandoli così tanto da renderli controproducenti per se stesso, assistiamo a una dichiarazione di colpevolezza, ovvero di stupidità.

L’opera esposta da Frittelli, From 12 Mar 2015 to 12 Mar 2016, è un anno di lavoro nel quale ti sei raccontato come un diario attraverso il rilevamento di crepe nei luoghi più diversi: luoghi violentati dall’artificio umano oppure paesaggi naturali dove ti sei ritrovato. Tanti viaggi anche sulle rotte dell’arte, puntualmente tracciati grazie ad altri strumenti come il rilevamento satellitare. Una sorta di nuovo gran tour in cerca del senso dell’arte nell’epoca post-moderna…
…O del senso della vita, che poi siano accomunate o no questo prevede altre riflessioni da cui mi astengo. A un certo punto ho odiato questo lavoro, ma dovevo finirlo! È una scelta folle tenere in scacco un anno per un solo lavoro, per me e per chi crede in me. Se consideri i tempi deliranti di oggi e le regole del mercato, stare su un solo lavoro per un anno intero è davvero troppo rischioso e ne pago le conseguenze. I ritmi di vita incombono, mentre questa pratica è lenta e costante. Certo, inizi giocando, poi sudando, infine ti preoccupi se non lo finisci, ma soprattutto se verrà capito, parlerà. Un salto nel buio. Ogni calco di crepa è tracciato e memorizzato. Infatti un libro fotografico accompagna la sua progressione a testimoniare quanto reale sia ogni pratica eseguita per ogni singola crepa in ogni singolo momento. Un diario di un diario.

Vedo tanti elementi stilistici articolati nella tua ricerca.
Sì, sono d’accordo. Pratico questo remixaggio ordinato dove trovo stimoli dalla Land Art, ma anche dall’Informale, dal Minimalismo, dalla performance, con uno sguardo alle nuove tecnologie.

Cosa pensi dell’esperienza di The Open Box a Milano?
Una grande idea, uno spazio incredibile, un format itinerante, un luogo di sperimentazione. Un’ottima opportunità per le buone idee che sta crescendo con una fitta programmazione. Fra queste non posso dimenticare l’Open box realizzato durante ArtVerona 2015, dove uno dei miei lavori, a cui sono ancora molto affezionato, è stato notato e poi acquisito in quella che ritengo a oggi tra le collezioni d’arte privata più lungimiranti, la Collezione Giorgio e Anna Fasol.

Neve Mazzoleni

www.francolinoandrea.com

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Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni

Neve Mazzoleni. Background di storica dell’arte e filosofa, perfezionata in management dell’arte e della cultura e anche in innovazione sociale, business sociale e project innovation. Per anni è stata curatrice ed exhibition manager della collezione corporate internazionale di UniCredit all’interno…

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