Pittori e pittrici dell’Informale nella Casa Museo di Arezzo

Nel raffinato contesto della dimora di un collezionista aretino, una selezione di opere provenienti dai caveau di Intesa Sanpaolo illustra il lavoro di diversi artisti italiani. Tra questi, due donne piene di talento tutte da riscoprire

Cosa ci fa una selezione di opere della Collezione Intesa Sanpaolo in una Casa Museo di Arezzo? Per comprendere l’operazione è necessario riavvolgere il nastro della storia fino alla primavera 2021, quando l’istituto di credito che ha sede a Torino si fuse con Ubi Banca, quest’ultima allora incaricata di amministrare la Fondazione Ivan Bruschi, gestore dell’omonima Casa. 
Di conseguenza, entrambe sono divenute oggi parte del patrimonio culturale di Intesa Sanpaolo. Fin dallo scorso giugno, le sale storiche della dimora del collezionista Bruschi, nonché promotore della Fiera Antiquaria di Arezzo, hanno accolto in via permanente una serie di dipinti antichi – tra gli autori, Bronzino, Pontormo, poi esponenti dell’Ottocento come Fattori, Lega, Signorini – provenienti dai caveau di Intesa Sanpaolo. 

La mostra La libera maniera alla Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo

Attualmente, negli spazi della Casa dedicati alle mostre temporanee, è ospitata La libera maniera, un progetto curato da Marco Bazzini che – attraverso una selezione di trentaquattro dipinti – vuole riflettere sulla nascita dell’arte astratta e informale nell’Italia del Dopoguerra. “Ho avuto la fortuna di poter scegliere delle opere di indiscussa qualità artistica all’interno di un grande tesoro, per poi esporle in uno scrigno qual è la Casa Museo Ivan Bruschi, dove si possono creare interessanti sinergie”, commenta il curatore. Il titolo dell’esposizione richiama una formula usata da Vasari, che non a caso era aretino. “L’idea è stata quella di costruire una narrazione capace di accompagnare il visitatore nella dimensione dell’informale” – racconta sempre Bazzini – “a partire dalle prime prove dei protagonisti degli anni Trenta, come Alberto Magnelli e Corrado Cagli, per poi addentrarsi negli sviluppi degli anni Cinquanta e giungere fino agli esiti degli anni Sessanta”. Si evidenzia così la diversificata e multiforme azione di quegli artisti che scelsero di abbandonare la figura per un linguaggio basato su colori, linee e materia e le cui opere rivestono anche il ruolo di documento “di un periodo fecondo e libero, capace di immaginare e costruire una nuova nazione”.

Enrico Baj, Vedeteci quel che vi pare, 1951, Collezione Intesa Sanpaolo, Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo. Photo Paolo Vandrasch, Milano
Enrico Baj, Vedeteci quel che vi pare, 1951, Collezione Intesa Sanpaolo, Archivio Patrimonio Artistico Intesa Sanpaolo. Photo Paolo Vandrasch, Milano

Le artiste e gli artisti in mostra alla Casa Museo di Arezzo

La mostra – che, pur basandosi su un piccolo nucleo di opere, vede rappresentati i maggiori pittori dell’epoca, da Accardi a Burri, da Castellani a Fontana, da Vedova a Munari – presenta delle punte di diamante che vale la pena evidenziare. In primis, un focus sulle donne artiste che scelsero la via dell’Informale, tra cui, precisa Bazzini, “va senz’altro riscoperta Paola Levi-Montalcini, sorella della più celebre Rita e artista di grande qualità”. Si deve anche ricordare Renata Boero, l’unica ancora viva di quel gruppo. 
Colpisce poi un dipinto al limite dell’informale di Enrico Bai, che riesce a far sorridere anche senza l’uso delle sue buffe figure. Il titolo recita, infatti, Vedeteci quel che vi pare e, passato il momento di ilarità, rivela l’essenza profonda della sua ricerca. 
La presenza di Afro, infine, con un suo dipinto astratto del 1957, si ricollega alle fila dei progetti culturali di tutta la città di Arezzo, che aveva dedicato nel 2023 al pittore di Udine una notevolissima rassegna. 
Dopo la tappa aretina, il progetto si sposterà a Jesi grazie alla partnership con la Fondazione Cassa di Risparmio omonima.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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