La Biennale multicellulare, una ricchezza di cui si è dubitato 

Se la Biennale di Venezia si è salvata dalla sua obsolescenza è stato grazie ai padiglioni nazionali e a ciò cui hanno dato origine. Ecco perché, in questo editoriale di Angela Vettese

La Biennale di Venezia è una di quelle mostre che si rifiutano di morire”, scriveva un commentatore su Artforum dopo l’edizione del 19781. In particolare, suggeriva che “quei pittoreschi padiglioni venissero rasi al suolo” e non era il primo a pensarla così. Dieci anni prima di lui, Lawrence Alloway aveva definito la mostra “una bolla da pesce rosso2, la cui struttura multicellulare era ormai incapace di dar conto della cosiddetta avanguardia3

La Biennale multicellulare

Oggi possiamo dire che, se la Biennale si è salvata dalla sua obsolescenza, se resta la rassegna a cui gli artisti desiderano maggiormente partecipare, con tutti i suoi difetti strutturali ed effetti celebrativi, è anche grazie ai padiglioni e a ciò cui hanno dato origine: mostre collaterali, eventi speciali, persino un numero crescente di istituzioni permanenti che non sarebbero nate né resisterebbero nella Venezia spopolata di oggi se non per il traino della Mostra Internazionale d’Arte. 
Qual è il vantaggio che arrecano? Anzitutto, evitano che il punto di vista rappresentato dalla mostra sia unitario. Con un sistema basato sulle forti autonomie di quasi cento padiglioni e quasi altrettante mostre a latere, allestite in grandi palazzi o in bettole, ristoranti, cantine e centri controculturali, se è vero che non tutte le edizioni hanno avuto direttori artistici autorevoli, per ciascuna è rimasto qualcosa da ricordare. Inoltre, la pluralità degli sguardi non va sottovalutata in un momento in cui i medesimi curatori saltano da un incarico all’altro in una giostra non necessariamente salutare: da Sidney a Kassel, da Istanbul a Sharjah e Riyad, da Venezia ai maggiori musei del mondo e viceversa: è evidente il rischio che si consolidi un canone artistico internazionale, a dispetto delle dichiarazioni di attenzione per i singoli territori. È interessante vedere anche l’arte fatta da chi non fa parte di alcun mainstream, perché concettualmente distante da ogni parola d’ordine o perché troppo nascosto nel suo contesto locale. Il Padiglione della Cina Popolare, per fare l’esempio di una realtà gigantesca e solo apparentemente conoscibile, è bene che lo curi un cinese che conosce almeno la lingua degli artisti che sceglie, anche se ciò non ne garantisce la qualità. 

La Biennale di Venezia
La Biennale di Venezia

La storia della Biennale di Venezia

È chiaro che la proliferazione di voci crea un coro vagamente stonato, considerando che è andata persa la norma per cui il direttore artistico dovrebbe dettare un tema generale: impossibile farsi dare retta quando non si controllano i fondi: la Biennale paga solo la mostra centrale, il resto è in capo ai Paesi singoli, con fondi di gallerie, musei, altri donors che hanno opinioni loro. Inoltre, ognuno ha un sogno da fare uscire dal cassetto o un’occasione espositiva che potrebbe non ripetersi: gli artisti sono volubili, le sedi sono transitorie, gli sponsor vanno afferrati quando appaiono… Impossibile dunque avere uno statement estetico o etico che salga come un monito da tutta intera la manifestazione, la quale è condannata ad avere mille sapori e nessun tono dominante.
Tuttavia, ne deriva che la mostra più ingessata del mondo è anche quella più libera. E da tempo. Nel 1966, per esempio, Lucio Fontana pagò la produzione delle sfere riflettenti che una giovane Yayoi Kusama si mise a vendere per due dollari in mezzo ai Giardini, di fronte al Padiglione Olanda, vestita con un kimono argentato e senza che nessuno l’avesse invitata; è vero che fu rapidamente mandata via, ma i globi del suo Narcissus Garden non autorizzato rimasero ancora un po’.  
Se le maglie non fossero così larghe, del resto, chi ci avrebbe dato un “Padiglione Clandestino” costituito da Sisley Xhafache dava calci a un pallone (1997)? Come sarebbe stato possibile vedere un grande palazzo veneziano vuoto, col pavimento lavato e rilavato da parenti di vittime di scontri a fuoco e con grandi tappezzerie impregnate di sangue, alludendo a quello versato dalle vittime dei conflitti per droga in Messico, così come fu allestito da Teresa Margolles nel 2009? Come avremmo potuto vedere, anche se per poche ore, installazioni poi censurate come quella di Pipilotti Rist sul soffitto della chiesa di San Stae (2005) o alla Misericordia, trasformata in moschea dal padiglione islandese (2015)? Chi avrebbe voluto, tollerato, pagato installazioni potenti ma pericolose come quella di Anne Imhof al Padiglione Germania del 2017? 

I padiglioni nazionali a Venezia

I padiglioni e le mostre rincorrono oltretutto l’attualità più bruciante. All’inaugurazione dell’edizione 2022 si era da poco verificata l’invasione dell’Ucraina e il padiglione del paese divenne un’occasione di dibattito anche prima che fosse ufficialmente aiutato dalla direzione della Biennale; quest’anno, qualsiasi cosa se ne pensi, sono state raccolte entro il 15 marzo 14.500 firme perché Israele non possa aprire il suo. Il Padiglione Russia e un’eventuale presenza palestinese, al di là degli eventi già varati, potrebbero rivelare sorprese
Sapendo quanto sono state incisive nel permettere questi sviluppi le presidenze di Paolo Baratta e Roberto Cicutto e, in altri tempi, quella di Carlo Ripa di Meana, c’è da sperare che il nuovo presidente Pietrangelo Buttafuoco desideri supportare tanta poliedricità di voci, spesso improntate a franche provocazioni e a un impegno che tocca corde sensibili anche sul piano politico.

Angela Vettese 

Note:
[1] Jan Van Der Marck, The Venice Biennale: Can It Rise Again?, “Artforum”, september 1978, vol. 17, no 1, pp 74-77, p. 74  
Lawrence Alloway,  The Venice Biennale, 1895-1968; from salon to goldfish bowl, Greenwich, Connecticut: New York Graphic Society, 1968
3 ivi, p.  149

INFOGRAFICA

Le affluenze delle ultime dieci edizioni della Biennale Arte di Venezia
2003 – Sogni e Conflitti – La dittatura dello spettatore (a cura di Francesco Bonami): 260.000 visitatori
2005 – L’esperienza dell’arte (a cura di María de Corral) / Sempre un po’ più lontano (a cura di Rosa Martínez): 265.000 visitatori
2007 – Pensa con i sensi – Senti con la mente. L’arte al presente (a cura di Robert Storr): 320.000 visitatori
2009 – Fare Mondi (a cura di Daniel Birnbaum): 375.000 visitatori
2011 – ILLUMInazioni (a cura di Bice Curiger): 440.000 visitatori
2013 – Il Palazzo Enciclopedico (a cura di Massimiliano Gioni): 475.000 visitatori
2015 – All the World’s Futures (a cura di Okwui Enwezor): 501.000 visitatori
2017 – Viva Arte Viva (a cura di Christine Macel): 615.000 visitatori
2019 – May You Live In Interesting Times (a cura di Ralph Rugoff): 593.000 visitatori
2022 – Il latte dei sogni (a cura di Cecilia Alemani): 800.000 visitatori

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Angela Vettese

Angela Vettese

Angela Vettese è direttore del corso di laurea magistrale di arti visive e moda presso il dipartimento di culture del progetto, dove insegna come professore associato teoria e critica dell'arte contemporanea così come, presso il triennio, fondamenti delle pratiche artistiche.…

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