In ricordo di Paolo D’Orazio. Artista, professore d’accademia e organizzatore culturale

Ripercorriamo vita e carriera dell’artista e docente Paolo D’Orazio, morto a Roma a 78 anni cadendo da una scala mentre montava una mostra

Paolo D’Orazio ha avuto una carriera interessante nell’astrattismo italiano degli ultimi cinquant’anni, soffrendo forse un po’ troppo l’ombra del suo illustre zio Piero (Dorazio, lui senz’apostrofo) dal quale venne introdotto giovanissimo nel mondo dell’arte, un mondo di cui poi fece sempre parte col distacco irridente e insieme sofferto del ribelle che viene da buona famiglia.

Paolo D'Orazio, Il volo della tortora

Paolo D’Orazio, Il volo della tortora

VITA E ARTE DI PAOLO D’ORAZIO

Nato a Chieti ma trasferitosi presto nella capitale, Paolo, oltre a dedicarsi con passione e rigore a sviluppare la propria opera – soprattutto come pittore, ma con incursioni notevoli nelle arti applicate, fino alle soglie dell’architettura – è stato molto attivo sulla scena artistica romana, sostenendo per più di due decenni, dagli anni Novanta del Novecento ai Dieci del Duemila, una via dell’arte a quel tempo poco battuta: quella di un razionalismo lirico, per usare un’ottima definizione di Nathalie Vernizzi, che ha le sue origini nelle esperienze dell’immediato Dopoguerra, in primo luogo Forma 1, ma a ben vedere affonda in una luminosità e una misura compositiva atemporalmente meridiane. L’ha fatto soprattutto attraverso la Liart, un’associazione di artisti dotata di una microscopica galleria, ospitata in una casina seicentesca nel cuore di Villa Borghese, che Paolo aveva fondato insieme a Lucilla Caporilli Ferro, altra artista di fermissima fede astratta e sua storica compagna. Per anni, in quel rifugio appartato dietro piazzale Flaminio, io ci sono andato a colpo sicuro. Si poteva ammirare una mostra di Achille Perilli o Ennio Tamburi, disegni di Max Bill, sculture di Nito Contreras, rassegne di astrattisti più o meno noti di mezzo mondo, fare la conoscenza di giovani promesse romane, discutere animosamente con critici e aspiranti tali, non di rado finendo le serate ubriachi sotto le piante del parco.

GLI ULTIMI ANNI DI PAOLO D’ORAZIO

Verso la metà degli anni Dieci il Comune di Roma, proprietario dell’edificio, s’è ripreso la sede: quel posto magico faceva gola a molti. Ma la magia l’avevano sempre messa Paolo, Lucilla, i loro amici. E infatti, dopo esperimenti vari legati a soggetti eventuali, la casina è finita abbandonata. L’ultima volta che ci sono passato c’era intorno il nastro che adorna gli edifici pericolanti – il che rende bene l’idea della politica culturale istituzionale a sostegno degli artisti che d’arte intendono vivere in questa faticosissima, opaca città. Negli ultimi anni avevo perso un po’ di vista Paolo (la vita, per citare il sommo Piero Ciampi, è una cosa che prende, porta e spedisce, e per qualche tempo i nostri indirizzi di consegna sono rimasti troppo distanti tra loro). Poi un paio di mesi fa mi ha cercato lui perché, a quasi ottant’anni, aveva deciso di togliersi uno sfizio, come mi disse. S’era comprato una piccola galleria a via Margutta, dove, col suo solito entusiasmo travolgente, mi raccontò che aveva intenzione di organizzare grandi cose per riprendere il filo interrotto, contro la sua volontà, delle mostre alla Liart.
Paolo è morto per le conseguenze di un trauma cranico dopo essere caduto da una scala, un paio di settimane fa, mentre montava la mostra che intendeva dedicare alla memoria della sua amata Lucilla. Una fine terribilmente romantica, di cui tutti avremmo fatto volentieri a meno ancora per tanto tempo, godendoci di nuovo la compagnia di quest’uomo intelligente, divertente, generoso.

Luca Arnaudo

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