A Merano una mostra che riflette sul fenomeno della “traduzione”

Nel contesto multilingue dell'Alto Adige, al Kunst Meran propone la mostra di debutto della nuova curatrice Judith Waldmann. Un'indagine sul fenomeno della traduzione

La complessa realtà multilingue che contraddistingue il territorio dell’Alto Adige funge da ispirazione e strumento per Judith Waldmann, che indaga il fenomeno della traduzione in una mostra collettiva con oltre settanta lavori di artisti e artiste italiani e internazionali tra cui Annika Kahrs, Anri Sala, Babi Badalov, Ben Vautier, Carla Accardi, Cerith Wyn Evans, Christine Sun Kim & Thomas Mader, Ettore Favini, Elisabetta Gut, Franz Pichler, Irma Blank, Jorinde Voigt, Kader Attia, Katja Aufleger, Ketty La Rocca, Kinkaleri, Lawrence Abu Hamdan, Lawrence Weiner, Leander Schwazer, Lenora De Barros, Maria Stockner, Mirella Bentivoglio, Siggi Hofer, Slavs and Tatars e Tomaso Binga.

The Poetry of Translation. Exhibition view at Kunst Meran o Arte, Merano 2021. Photo Ivo Corrà

The Poetry of Translation. Exhibition view at Kunst Meran o Arte, Merano 2021. Photo Ivo Corrà

LA TRADUZIONE SECONDO KUNST MERAN

Nell’immaginario collettivo, la traduzione è immediatamente collegata all’ambito linguistico, a un processo tecnico che ha poco a che vedere con l’arte. Poetry of translation mira invece a estendere il concetto di traduzione a più domini, dimostrando come quest’ultima non sia soltanto un mero strumento di ‘passaggio’, ma al contrario un vero e proprio motore di inventiva e fantasia capace di generare molteplici sviluppi creativi.
La traduzione infatti, assumendo una prospettiva più ampia, si può considerare a tutti gli effetti un processo trasformativo, e questo processo di mutazione non si ‘riduce’ alla lingua, che rimane comunque il punto focale della mostra, ma include anche la trasposizione di altri sistemi, come la musica, il canto, la danza, la luce, i codici digitali e la pittura.
Quello che agli occhi di molti è un processo secondario diventa invece protagonista della mostra di Kunst Meran, che oltre a volerne sottolineare l’intrinseca natura geniale e artistica (come dimostra il titolo stesso, che la lega alla ‘poesia’), intende dimostrarne la primaria e cruciale importanza nella vita umana. La traduzione è un’autentica arte.

The Poetry of Translation. Exhibition view at Kunst Meran o Arte, Merano 2021. Photo Ivo Corrà

The Poetry of Translation. Exhibition view at Kunst Meran o Arte, Merano 2021. Photo Ivo Corrà

LE OPERE IN MOSTRA A MERANO

Una lingua dorata spaccata in due. L’opera Szpagat di Slavs and Tatars assume un ruolo fortemente simbolico e rappresentativo dell’intera mostra. Si potrebbe infatti considerare un emblema della traduzione, ma anche di tutte le realtà plurilingue come quella dell’Alto Adige. Curioso inoltre il fatto che ricordi una ballerina nell’atto di fare una spaccata, quasi a voler rappresentare l’arte e la bellezza celate nel poliglottismo e nella traduzione, che è poi uno degli obiettivi principali della mostra stessa. Ad accompagnare l’opera di Slavs and Tatars quelle di numerosi artisti che si sono cimentati in ‘esercizi’ di traduzione estrema. Tra questi Cerith Wyn Evans, che ha tradotto unità di codice morse in segnali luminosi, Jorinde Voigt che ha trasformato la musica di Beethoven in disegno o Katja Aufleger che, seguendo il procedimento inverso, ha tramutato in suoni e musica i cinque continenti imprimendone il disegno su un disco in vinile e, ancora, Kinkaleri, compagnia di teatro e danza, che ha creato una sorta di alfabeto della performance, traducendo così il movimento in parola.

BELLEZZA E COMPLESSITÀ DELLA TRADUZIONE

Quelle appena citate sono solo alcune delle straordinarie opere presenti in Poetry of translation, la cui eterogeneità in termini di medium artistici riflette il tema della pluralità linguistica su cui si basa il progetto e che caratterizza lo stesso territorio in cui è proposto.
Alle pratiche e ricerche contemporanee sono affiancati inoltre due excursus storici: una sala dedicata alla poesia visiva e concreta degli Anni Sessanta e Settanta (in particolare a un gruppo di artiste riunite da Mirella Bentivoglio in occasione della Biennale di Venezia del 1978) e un’altra dedicata alle lingue artificiali come l’esperanto e al desiderio di vivere in un mondo ideale dove la traduzione non sia necessaria.
Quest’ultimo esempio rivela come la mostra abbia lo scopo di raccontare non solo la bellezza, ma anche la controversia del sistema linguistico e della traduzione, ponendo interrogativi su tematiche essenziali quali l’identità, il multiculturalismo e la diversità.

Laura Coppelli

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Laura Coppelli

Laura Coppelli

Laura Coppelli (Pavullo nel Frignano, 1996) si laurea nel dicembre 2018 in Lingue e culture europee presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, concludendo il suo percorso con una tesi in letteratura angloamericana sulle arti visive con l’obiettivo…

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