Dare un nuovo significato a convegni e talk culturali

L’economista della cultura Stefano Monti avanza qualche ipotesi per rendere convegni, incontri e talk delle utili occasioni di confronto e di risoluzione dei problemi.

A quanti convegni assistiamo o partecipiamo all’anno? Quante tavole rotonde, quanti incontri, quanti talk? Da quanti di questi convegni nasce veramente qualcosa? Pochi. Perché dunque non immaginare, oltre alla solita modalità del convegno, anche dei tavoli tecnici di problem solving aperti al pubblico?
Si sceglie un tema di “difficile” soluzione, per il quale non tutti hanno “idee condivise”, e ai partecipanti, mesi prima, viene assegnato il compito di arrivare all’incontro con una proposta, che dovranno presentare e difendere pubblicamente, con un contraddittorio condiviso. Una tale modalità di coinvolgimento dei migliori professionisti potrebbe risultare estremamente utile soprattutto per i temi nei quali, come spesso accade, il confine tra posizione tecnica e posizione politica risulta spesso labile. E quando il tema centrale è la cultura, il confine diviene ancora meno visibile.

I TEMI DA AFFRONTARE

Facciamo un esempio: la gestione delle immagini dei musei. Per quale motivo tali immagini non sono libere per fini commerciali? Sulla base di quale principio tecnico e/o politico non è possibile utilizzarle in Italia mentre nel contesto internazionale questo utilizzo non solo è concesso, ma addirittura auspicato? Oppure: è giusto o errato che i musei vendano le proprie opere? Quali tipologie di benefici e costi potrebbe causare la liberalizzazione della vendita di opere d’arte da parte dei musei? Infine: è lecito immaginare che un museo possa essere affidato alla gestione di una SpA e che questa si quoti in borsa? Quali sono gli aspetti tecnici cui bisogna sottostare, e quali sono le potenzialità e i limiti di una strategia basata sulla quotazione dei musei?
Chi conosce, anche solo in modo superficiale, il mondo culturale nostrano sa benissimo che temi del genere possono scatenare le ire di molti, come sa benissimo che la quotazione di un museo è uno scenario irrealistico sia nel presente sia nel futuro del nostro Paese. Ed è qui che entra in gioco il convegno-confronto: fin quando non si conoscono i limiti tra il detto e il non detto, tra le convinzioni personali e le evidenze, sarà sempre difficile immaginare qualcosa di diverso. Non solo: un convegno-confronto potrebbe fare emergere, nelle elaborazioni dei vari gruppi partecipanti, spunti che, altrimenti, potrebbero non nascere. Studiando in modo approfondito un sistema, potrebbero nascere idee nuove, e questo non potrebbe far altro che arricchire il nostro scenario. Infine, mediante questa tipologia di incontri, potrebbe essere possibile creare una connessione tra differenti gruppi di professionisti, che si troverebbero a cooperare per giungere a una visione condivisa su un determinato tema da presentare.

Perché non immaginare, oltre alla solita modalità del convegno, anche dei tavoli tecnici di problem solving aperti al pubblico?

Un esempio concreto di tale incontro potrebbe seguire questo schema: con un anno di anticipo, un comitato scientifico stabilisce una tematica e invita i principali professionisti del settore a prendervi parte. Selezionati i professionisti che parteciperanno, gli stessi saranno chiamati a definire gruppi di lavoro e a individuare, tra professionisti e volontari, anche soggetti terzi rispetto ai professionisti della cultura, come ad esempio professionisti di altri settori, investitori, studenti, da includere nella definizione del piano. Con un mese di anticipo, ciascun gruppo di lavoro dovrebbe inviare agli altri partecipanti il proprio piano operativo, o il proprio parere, di modo che gli altri possano, preventivamente, inviare domande di approfondimento e muovere le obiezioni che saranno poi presentate pubblicamente.
Alla data, il referente di ciascun gruppo di lavoro potrà presentare il proprio elaborato e rispondere alle domande e alle obiezioni che erano state avanzate mesi prima (non è una gara a squadre, l’obiettivo è produrre nuova conoscenza), alla presenza di decisori politici che abbiano le adeguate competenze per adottare decisioni sulla materia in esame.

I BENEFICI DEI CONVEGNI-CONFRONTO

Il risultato? In primo luogo personale: finalmente un convegno cui valga davvero la pena partecipare a tutti i costi. In secondo luogo politico: essendo il settore culturale tra i più segmentati internamente, questo tipo di convegno potrebbe sopperire all’assenza di un soggetto realmente rappresentativo del settore, che impedisce che questo tipo di confronto tra specialisti e amministratori avvenga mediante, ad esempio, le pubblicazioni dei Centri Studi, come accade con Confindustria. Il terzo: la creazione di conoscenza e la messa in discussione di alcuni pregiudizi o postulati ideologici. O quantomeno, e questo sarebbe già molto, la possibilità di riconoscere le ideologie per quello che sono. E capire se poi tali ideologie siano realmente rappresentative del nostro tempo, o forse rappresentative di un mondo ormai non più contemporaneo, come non contemporanei sono forse molti professionisti che, oggi, governano il settore culturale.
Non esiste giusto o sbagliato: esiste ciò che una società ritiene giusto e ciò che una società ritiene sbagliato. In questo modo potremmo almeno capire se governanti e governati condividono le stesse premesse e se, tali premesse, sono il preludio di soluzioni positive o negative per lo sviluppo culturale, umano, sociale ed economico del nostro Paese.

Stefano Monti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più