Moderno, contemporaneo, postmoderno. La periodizzazione di Renato Barilli

Dove finisce l’arte moderna e inizia quella contemporanea? E perché? Il critico militante Renato Barilli descrive il suo sistema di periodizzazione e le ragioni che lo muovono.

Leggo su Artribune una lunga intervista a Gianfranco Maraniello su una questione cruciale quale i rapporti tra arte moderna e arte contemporanea. Comincio col compiacermi con lui perché dimostra di essere reattivo, e non schiacciato sotto il gravoso congedo impostogli dall’arrogante Vittorio Sgarbi, che si impadronisce di ogni istituzione di luoghi dove al potere sia la destra, dal Mart di Rovereto e dalla Fondazione Canova fino al Comune di Ferrara e relativo Palazzo dei Diamanti. C’è in Vittorio senza dubbio qualche lume di intelligenza, ma sopraffatto dall’uomo di spettacolo, mestiere che ha imparato da Federico Zeri e portato a eccessi incredibili. Ma tornando a Maraniello, fattigli tutti gli auguri e i riconoscimenti che merita il suo ragionamento, devo però anche dire che nella sua lunga permanenza a Bologna ci siamo sempre guardati in cagnesco. E pensare che il padre Giuseppe era stato inserito da me nella pattuglia dei Nuovi-nuovi, al punto che, quando nei tempi scorsi lo incrociavo, pronunciavo il classico “stai sereno, dato che le colpe dei figli non ricadono sui padri”.
Prendo atto che appunto nel suo lungo soggiorno bolognese Gianfranco non ha trovato il tempo di dare una sbirciatina alle mie numerose pubblicazioni su questa materia, o le ha considerate roba minore, da non meritare alcuna attenzione, e neppure di una citazione polemica.

Certo, Duchamp, Fontana, Burri sono grandi protagonisti, ma bisogna metterli in una giusta sequenza di precedenti”.

Mi sento quindi obbligato, per il pubblico di questa rassegna che è anche il mio alimento quotidiano, di snocciolare per l’ennesima volta la sequenza dei punti base del mio modo di ragionare in proposito. Che parte prima di tutto dall’ossequio della periodizzazione dei manuali, l’ho appresa fin dalle elementari, poi l’ho ripetuta ai miei allievi nei molti anni di insegnamento in tutti i tipi di scuola, fino all’università. Dunque, dicono i manuali, il moderno, in tutti i settori, arriva fino al 1789, data della Rivoluzione francese, dopodiché ha inizio il contemporaneo, in cui siamo immersi tuttora. Tutto risolto? No, perché in nome del metodo che mi sono costruito negli anni, di materialismo storico culturale, o tecnologico, respingo i parametri dati da eventi politici. La Rivoluzione francese non è un inizio, bensì un atto finale, la conquista del potere politico da parte della borghesia, che già aveva quello economico. E allora, dove trovare l’autentica novità? Appunto nella tecnologia, o quanto meno nelle conquiste scientifiche che l’alimentano, per cui, udite udite! I fatti davvero innovativi, al giro di secolo tra Settecento e Ottocento, sono due esperimenti condotti da nostri scienziati, le famose rane di Luigi Galvani, che per quanto morte generano a contatto con una ringhiera metallica un guizzo, che è già una corrente elettrica, quella stessa che nello stesso momento Alessandro Volta riesce a produrre, in modo più sicuro, con la sua famosa pila. Ho scritto saggi a bizzeffe per affermare l’omologia tra quei primi palpiti della novissima energia e gli esiti diversamente inspiegabili dell’arte di Fuseli e di Blake, e anche in parte di Goya, David, Canova, cioè degli autentici apripista del contemporaneo.

E IL POSTMODERNO?

Le cose sono complicate, infatti per gran parte dell’Ottocento c’è un ampio sviluppo della vecchia meccanica, sotto il cui segno si compie la prima rivoluzione industriale, ma poi, dopo la metà del secolo, arriva l’anello di Pacinotti, perfetto commutatore tra energia termica ed energia elettromagnetica, e qui di nuovo si dà la corrispondenza con Cézanne, e così via con tutti i passi successi previsti da un buon manuale di storia dell’arte contemporanea, quello di cui Maraniello dà una lettura riduttiva, essendo legato a parametri  alla maniera di Celant. Certo, Duchamp, Fontana, Burri sono grandi protagonisti, ma bisogna metterli in una giusta sequenza di precedenti. Accenno per finire a una variante che mi sta a cuore, anche se può risultare ancor più temeraria rispetto alle asserzioni di cui sopra. Mi rendo conto di quanto sia debole il termine di “contemporaneo”, scarsamente usato, preferito da un “moderno” asso pigliatutto. Mi permetto allora di sostituire il primo con il nuovo, o penultimo nato, il postmoderno, tanto per riconoscere che esso risponde al trionfo finale dell’elettronica in tutti i suoi molteplici aspetti.

‒ Renato Barilli

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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