Facebook, Napalm51 e il Fù Turismo. Riflessioni sul presente della cultura

A furia di finanziare pseudocultura per aumentare i flussi turistici abbiamo creato un popolo di attendisti che aspettano il denaro degli altri per tirare a campare. Lo diciamo da almeno 25 anni: la questione culturale è cruciale. Nessuna delle parti politiche, purtroppo, ha la voglia e la preparazione adeguata a comprendere di cosa parliamo esattamente.

Tra turismo di massa, cul_turismo e fù_turismo la classe politica e dirigente, quelli che dovrebbero occuparsi del vero bene pubblico, l’intelligenza e l’economia neuronale degli italiani, straparlano di forma ma hanno svenduto il contenuto del Made in Italy, la nostra creatività funzionale derivante dall’arte di massima serie, producendo masse informi di visitors che fanno selfie con i piccioni di piazza San Marco e lo sfondo dei transatlantici.
Non sanno nemmeno a cosa servisse una piazza, quali valenze aggregative avesse, che simboli sono stati usati per arricchire i nostri luoghi di identità locali e globali da artisti di massima fama; opere d’arte e di architettura che erano state pensate per essere abitate e generare armonia, e che oggi servono solo al posizionamento di svariati venditori di esperienze digitali che non servono a nulla, se non a svilire il pensiero altissimo e prezioso degli autori. Per non parlare delle città d’arte costruite senza artisti riconosciuti; è il caso di Matera, vera opera abitabile immaginata e realizzata dalla collettività, animata da spirito di comunità e in_formata in modalità sensoriale dalla generosa natura della Murgia in cui hanno vissuto per migliaia di anni.

FACEBOOK E L’IGNORANZA

Insomma il gioco al ribasso favorisce da un lato la politichetta improvvisata, quelli che altrimenti dovrebbero andare a lavorare e invece si garantiscono stipendi, pensioni e vecchiaia non avendo idee, ingegno, capacità, competenze e soprattutto valori, e dall’altro favorisce i venditori di niente spacciato per tutto. L’illusione di Facebook, ad esempio, dove virtualmente trovi l’universo, la sorpresa, la fortuna, e concretamente trovi il nulla cosmico, calza perfettamente con il degrado intellettuale e l’impoverimento culturale pilotato dalle mafie e usato dalla politica negli ultimi trent’anni. Inutile dilungarsi sui casi di manipolazione delle coscienze che hanno portato all’elezione di Trump o altre amenità che i lettori di Artribune conoscono bene; chi sa come si usino immagine e ignoranza sa bene anche che si fa da millenni, e Facebook si presta facilmente a questi giochi della politica incapace di generare sano consenso.
Il tema invece qui è più grave e scottante; i Social hanno preso il posto della Televisione per milioni di persone, quindi la responsabilità culturale che la TV ha sempre tradito, per poi morire per questo, sarebbe compito e dovere dei Network digitali. Invece no. Sospendono il profilo di operatori culturali per nudi d’artista senza tener conto che metà della storia dell’arte è fatta di nudi, mentre i loro algoritmi tarati (in ogni senso) su parametri da Napalm51 lasciano online ogni tipo di svendita del corpo femminile, immagini comprese. Perché il male del secolo è esattamente questo, e sui mali del mondo i Social guadagnano: la materialità svuota la mente e l’anima, il sesso fine a sé stesso serve solo a rimandare la morte e a coprirne la paura, genera soddisfazioni momentanee e, soprattutto, produce buchi enormi in quella zona delle persone che, non avendo nome né forma, gli ignoranti ignorano.

Nan Goldin, Cody in the Dressing Bar, New York City, 1991, cm 70x102

Nan Goldin, Cody in the Dressing Bar, New York City, 1991, cm 70×102

L’ARTE E IL SESSO CRITICO

Solo l’arte sa dar forma all’invisibile, ed è l’invisibile che ci tiene in vita. Dagli artisti impariamo di cosa siamo veramente fatti, cosa ci fa alzare al mattino e correre verso la vita: il riconoscimento come cuori pensanti, l’identità, l’intelligenza, la gioia del confronto, dell’incontro, della pelle usata per informarsi delle proprie e delle altrui interiorità, senza complessi di inferiorità. Solo l’arte ti spiega senza parlare e usa i dispositivi neurobiologici che abbiamo in dotazione: la mente ragiona per immagini, suoni e profumi. Se si fa umiliare dalla materia è perché vincono il male e l’ignoranza, altrimenti la tendenza naturale è quella di vivere, non sopravvivere.
Chi si abitua alla propria inferiorità, condotto per mano da pubblicità e manipolazioni, ignoranza e sottomissioni, degrado generale e disarmonie vendute per leggerezza, diventa preda facile di seduzioni effimere e dannose. “Nessun superficiale è libero” dicono i francesi.
Il sesso è la cosa più bella che esista, ti collega alle geometrie universali e soprattutto rinnova la tua energia vitale. Peccato che necessita di coinvolgimento emotivo, empatia, scambio reale, somiglianze inesplorate ma percepite. Lo usano da un secolo per venderci reggiseni e mutandine e, nel frattempo, sin dai due anni di vita subiamo l’invadenza bieca e strumentale del sesso vissuto come scopo della vita sui cartelloni delle nostre città, quindi siamo totalmente esposti a questa comunicazione subliminale inevitabile che ci trasforma in oggetti, soprattutto le donne ma anche gli uomini.
L’unico antidoto è passare dal sesso stupido al senso critico, la capacità di osservare e comprendere noi stessi, i nostri bisogni, le nostre vere necessità collegate ai desideri e alla realizzazione dei sogni. L’unico dispositivo in gradi di ridarci la vista critica è l’arte, perché gli artisti maggiori hanno studiato questi fenomeni interiori e sono in grado di ricollegare intelligenza emotiva a mondi inesplorati.

Solo l’arte sa dar forma all’invisibile, ed è l’invisibile che ci tiene in vita. Dagli artisti impariamo di cosa siamo veramente fatti, cosa ci fa alzare al mattino e correre verso la vita”.

Per questo Facebook muore, lo dicono tutti gli esperti da anni; quelli intelligenti non si confrontano con la superficialità impreparata. In effetti è pieno di gente che cerca conferme alle proprie balzane teorie fondate sul nulla o, spesso, sulla menzogna, la manipolazione per sempliciotti, la circuizione di incapaci. Fossi un dirigente di Facebook mi vergognerei di bannare gli artisti per i loro nudi, che sono indagini intelligenti sul corpo ‒ a proposito di sesso usato per vendere pentole usate a poveri creduloni ‒ e lasciare online i saluti romani, le camicie nere, gli stalinisti impuniti, le donne che vendono parti inanimate del proprio corpo, i centri massaggi con happy ending e altre amenità che non risolvono le solitudini delle moltitudini pur promettendo il contrario.
In effetti le relazioni migliori si fanno su LinkedIn, dove il filtro del valore è altissimo e la qualità di professionisti e imprenditori è di quelle con track record verificabile. Per quanto a volte non si tiene conto che essere troppo professional e poco umanistici porta all’abbassamento della matrice unica che nutre la qualità del processo e del prodotto, cioè la cultura. E la cultura si alimenta di umanesimo, non di accademia. In ogni caso resta il social più serio e prezioso. Instagram è un discorso a parte, diverte e identifica anime sognanti, per ora il gioco più intelligente della rete dove la miserabile censura medioevale non esiste, guarda caso.

Massimo Vitali, Coney Water (#2313), 2006. Courtesy Phillips

Massimo Vitali, Coney Water (#2313), 2006. Courtesy Phillips

VELOCITÀ VS FRETTA

Con questi social basati sull’immagine puoi fare il turista senza muoverti dal divano, nessuno verifica più niente, troppo faticoso. Se avessimo compreso davvero la lezione dei futuristi, invece di relegarli troppo semplicisticamente alla nicchia maleodorante del fascismo e farceli distanziare dalla sottocultura censoria, polverosa e invidiosa dei comunisti, avremmo compreso, noi italiani prima degli altri, che la velocità è un valore, la fretta no. Che la tecnologia intelligente è fisiologicamente legata alla nostra immaginazione e al nostro sviluppo, invece lo schermo che ci separa dalla realtà olfattiva e sensoriale no. Avremmo imparato a discernere il sottile dal grossolano, senza la fretta di dividere tutto in bianco o nero come fanno i luoghi comuni buoni per le campagne elettorali degli Anni Duemila.
E di fretta, sintesi, presentazioni, agende e smart working oggi si muore. Perché lo schermo è bello quando dura poco.

Francesco Cascino

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Francesco Cascino

Francesco Cascino

Francesco Cascino (Matera 1965), ha una laurea in Scienze Politiche e un percorso professionale di Direttore delle Risorse Umane dal 1990 al 1999 in tre primarie aziende multinazionali (Montedison – SNIA BPD – ACE Int.l). Dal 2000 è Contemporary Art…

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