Una meraviglia invisibile. Arte e ornamento a Reggio Emilia

Palazzo Magnani // Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia – fino all'8 marzo 2020. Arte e decorazione: due vocaboli solitamente considerati in antitesi, perché una cosa è l'arte, un'altra la decorazione. Ma è davvero così? Una mostra allestita in due sedi cerca di fare una coraggiosa ricognizione sull'ornamento, sul suo uso nei secoli e sulla sua presenza nella vita e nell'arte d'ogni epoca.

L’ornamento è tra di noi. Nelle pieghe dell’arte e della vita di tutti i giorni – fin dalle origini dell’essere umano – fanno capolino decorazioni ispirate al mondo della natura o basate su schemi astratti. Questo è il tema principale di una mostra inedita e ambiziosa, che apre spunti di ricerca e nuove letture riguardo a tutto ciò che consideriamo “ornamento”. La parola, come ben sottolinea uno dei curatori, Claudio Franzoni, è di norma associata al superfluo, al fronzolo, e spesso nemmeno ci si accorge di quanto il nostro quotidiano sia costantemente accompagnato dalla decorazione, tanto che “quest’apparente invisibilità dell’ornamento è forse la prova migliore della sua importanza”. Elaborato insieme a Pierluca Nardoni, il progetto espositivo – laddove possibile, gli oggetti provengono dalle tante collezioni reggiane, ma non mancano prestiti da musei e collezioni private, soprattutto per le opere più recenti – si sviluppa per sezioni ben allestite, ovviamente usando come sfondo per alcune pareti della carta da parati. In ogni sala si trovano accostati dipinti, sculture, oggetti etnografici, fotografie, libri antichi, tappezzerie: tutti manufatti funzionali a dimostrare i tanti ambiti in cui le decorazioni si rivelano con maggior potenza espressiva. E i punti di partenza sono ovviamente la natura, le cui manifestazioni non smettono mai di stupire (ma la natura – ne sono esempio le livree nuziali di tanti animali – si fa bella o dà solo l’impressione di farsi bella?), e il corpo umano, primo supporto che da sempre viene decorato con ornamenti, dai tatuaggi alle pitture corporali, dagli abiti ai gioielli.

NATURA E ARTIFICIO

Se ai due focus relativi al “fascino della vegetazione” e a “l’incanto dell’astrazione” – quindi tra foglie, racemi e fiori da un lato, intrecci, incroci e nodi dall’altro, destinati a trasmigrare nei secoli e nei territori – è demandato il compito di costruire un percorso nell’arte dall’epoca precristiana a oggi, la sala intitolata “la scena del ‘delitto’” porta la riflessione a concentrarsi su un passaggio epocale, quello che segna, dopo la grande stagione dell’Art Nouveau che ha fatto dell’ornamento la sua ragion d’essere, la sua demonizzazione, idealmente rappresentata dal saggio di Adolf Loos Ornamento e delitto (1913). Un testo che sembra “inaugurare una nuova era, che in architettura si esprime coi razionalismi e i funzionalismi, mentre in arte parte con il Cubismo”. E qui sta forse la più autentica sorpresa della mostra: anche nelle opere più minimali e rigorose, come ad esempio i dipinti assolutamente geometrici di Josef Albers o le ingannevoli geometrie di Victor Vasarely, l’ornamento si ripresenta sotto forma di ritmi formali e cromatici, quegli stessi ritmi usati da secoli e rivelati dagli accostamenti tra epoche lontane. Tanto che le decorazioni tornano prepotentemente in tanti linguaggi del Novecento, quando aprono la strada anche a un vocabolario desunto da mondi lontani (su tutti, bastano gli esempi di Keith Haring e di Nicola De Maria).

Victor Vasarely, Sin Dell A, 1980. Collezione Mongino. Photo © Bruno Bani

Victor Vasarely, Sin Dell A, 1980. Collezione Mongino. Photo © Bruno Bani

NE POSSIAMO FARE A MENO?

Se ne conclude allora che l’arte è sempre decorativa, come pensava Henri Matisse? E che l’ornamento è inevitabile e necessario alla vita dell’uomo? “Per secoli la sua dimora sono stati i margini, i bordi, le cornici. Sappiamo dire fino a che punto, in queste posizioni intercalari e subordinate, è vissuto a proprio agio e in libertà, o vi è stato tenuto a bada?” si chiede provocatoriamente Franzoni. Ai visitatori incantati della mostra, agli studiosi chiamati in causa per nuove ricerche, agli artisti che, anche quando lo rinnegano, fanno uso dell’ornamento nelle loro opere, il compito di cercare di dare una risposta a queste domande.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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