L’India tra mito e realtà. A Lugano

LAC, Lugano ‒ fino al 21 gennaio 2018. Dal Romanticismo alle atmosfere pop, un percorso che rende conto di secoli di interesse per la cultura indiana da parte del mondo occidentale. Arti visive, letteratura, reportage, architettura, tra sguardi fedeli e derive di colonialismo culturale.

Fin dal sottotitolo, la mostra del LAC di Lugano denota la sua onestà intellettuale: a un suggestivo Le vie dell’illuminazione segue infatti, come una precisazione, Il mito dell’India nella cultura occidentale. Non siamo di fronte, dunque, a un’improbabile esplorazione onnicomprensiva dell’India e della sua cultura, ma a una rilettura dello sguardo che l’Occidente getta da secoli su un Paese, una cultura e le sue infinite diramazioni. Compresi i sottintesi meno gradevoli, come l’imperialismo e lo sfruttamento delle risorse. Il punto di partenza è fissato nel 1808, data del volume Sulla lingua e la sapienza degli indiani di Friedrich Schlegel. Si inizia quindi dal Romanticismo per poi toccare stagioni come l’Orientalismo e approdare alle esperienze libertarie della controcultura novecentesca e all’appropriazionismo della cultura pop. Il percorso è lungo e stimolante: un’impresa difficile, che genera un allestimento non del tutto scorrevole e un po’ appesantito dalle troppe fotografie. Ma l’interesse degli argomenti, l’approccio rigoroso e la qualità dei pezzi esposti restano notevoli.

UN’ESPLOSIONE DI RIFERIMENTI

Le prime sale forniscono un efficace colpo d’occhio con rappresentazioni più o meno fedeli della realtà indiana: le vedute di Thomas Daniell; i primi reportage fotografici tra oggettività e pittoresco; i dipinti di autori come Moreau e Redon – qui la carica immaginifica del Simbolismo trova una sponda naturale nella fascinazione per l’Oriente. Il Novecento, poi, vede una vera e propria esplosione (e dispersione) dei riferimenti. Le affiche pubblicitarie, la letteratura alta e popolare, gli incroci con la razionalità della psicoanalisi. E la grande arte di Kirchner, Kokoschka, Brancusi e altri, che screziano di Oriente il loro primitivismo.

Max Pechstein, Weib mit Inder auf Teppich, 1910 © Sammlung Hinterfeldt. Photo AUTENRIETH Werbefotografie

Max Pechstein, Weib mit Inder auf Teppich, 1910 © Sammlung Hinterfeldt. Photo AUTENRIETH Werbefotografie

METICCIATO, IRONIA, DECADENTISMO

L’architettura vede protagonisti progetti di meticciato culturale come quelli che trasportano in India il Modernismo di Le Corbusier; la sezione sulla controcultura e la cultura pop accumula i disegni lisergici di Matteo Guarnaccia, le esplorazioni libertarie della cultura indiana dei poeti Beat, l’“orientalismo” dei Beatles, i vasi ironicamente orientaleggianti di Sottsass… Un intero piano, poi, è dedicato agli incroci tra India e arte contemporanea. Con gli Stone circles di Richard Long, una sorprendente scultura di Frank Stella, il sensuale post-orientalismo decadente di Ontani, fino a Schnabel e Kiefer.
La mostra, ultima dell’ottima direzione di Marco Franciolli, è parte del Focus India, fitto programma di musica, danza e cinema.

Stefano Castelli

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #7

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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