Critica viva (IV). Creare immaginario

Quali sono vere le ragioni di un’antipatia e di un’irritazione largamente condivise, anche se troppo spesso inespresse? Che fare, insomma, per provare a uscire da un’impasse evidente? E come si fa a creare immaginario oggi, creando anche un “gusto” differente? O, detto altrimenti: come si fa a evitare l’aderenza al mainstream? Ecco qualche indicazione per iniziare a delineare un potenziale vademecum, utile cioè a “distinguere”. Tra rilevante e irrilevante; tra nuovo e vecchio-camuffato-da-nuovo; tra autentico e simulato.

Via le opere fatte di cartacce buttate per terra.
Via le opere con i neon.
Via le opere educate, perbene, accondiscendenti.
Via le opere che trattano i problemi del presente come “temi” di “attualità” o di “interesse generale”, da trattare appunto – invece che da vivere in profondità.
Via le opere didascaliche.
Via le opere ossequiose nei confronti di quelle fatte dai trentenni di cinquant’anni fa.
Via le opere ossequiose.
Via le opere che sembrano di cinquant’anni fa.
Via le opere da cui non si capisce nulla dell’esistenza dell’artista.
Via le opere da cui non si capisce nulla dell’esistenza di tutti.
Via le opere di cui non si capisce nulla.
Via le opere che non sono brutali, coraggiose, “crudeli” (nel senso di Artaud, non nel senso che pensate voi).
Via le opere animate da un agghiacciante, insopprimibile, irredimibile conformismo.
Via le opere fighette.
Via le opere nostalgiche.
Via le opere in cui sembra comparire una relazione con la “comunità” – ma in realtà non è vero.
Via le opere finte.

Via le opere ipocrite.
Via le opere classiste.
Via le opere animate da un esotismo di risulta e d’accatto.
Via le opere volgari camuffate da opere sofisticate.
Via le opere fumose.
Via le opere trombonesche.
Via le opere stupide camuffate da opere intelligenti.
Via le opere inutilmente confuse.
Via le opere piene di citazioni da libri mai letti.
Via le opere curate da curatori che non hanno mai letto i libri citati nelle opere che curano.
Via le opere che sembrano uscire dritte dritte da un presente alternativo (il presente “dell’arte contemporanea”) – e non dal presente che stiamo vivendo.
Via le opere frutto di una dissociazione fondamentale dalla realtà che ci circonda.
Via le opere obbedienti.
Via le opere sottese da quella fastidiosa posa ironica, finto-cinica, finto-annoiata, tanto in voga nell’ultimo ventennio.
Via le opere che sono pose, e via le opere fatte da poseurs.
Via le opere vecchie travestite da opere nuove.
Via le opere noiose.

Via le opere che sono simulacri di opere.
Via le opere che non sono orientate verso il futuro.
Via le opere che non si aprono costantemente al mondo.
Via le opere che non si tuffano nel mondo.
Via le opere timide.
Via le opere fighette (l’avevo già scritto, ma va bene ripeterlo).
Via le opere smaliziate.
Via le opere che non si pongono, anche, come modello esistenziale.
Via le opere che non si propongono di insegnare a vivere.
Via le opere inconsapevoli.
Via le opere fondate sul “ma-io-non-sapevo”, “non-potevo-sapere”.
Via le opere ignoranti.
Via le opere inautentiche.
Via le opere che non conoscono né praticano la sprezzatura come forma di vita.
Via le opere irrilevanti.
Via le opere accattivanti.
Via le opere morte – nate già morte.
Via le opere che sono solo e soltanto “opere”.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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