Critica viva (III). Umiltà autentica

Esiste una cultura altra, che spinge dal basso e che trova nell’umiltà, quella vera, la sua ragion d’essere. Dove cercarla? Per strada, ad esempio, e in tutte le forme di ingenuità primitiva che spaventano così tanto gli assetti sociali di oggi.

“… O, se rondini volano, alte
vanno a stridere su tetti
di grandi case dove l’arte
straripante dei secoli eletti
scolora come in vecchie carte”.
Pier Paolo Pasolini, L’umile Italia, 1954 (da Le Ceneri di Gramsci, 1957)

La strana ribellione prefigurata nel 1993 da David Foster Wallace è una proposta valida e attuale forse ancor più adesso rispetto a vent’anni fa: “I veri futuri ‘ribelli’ letterari in questo paese potrebbero benissimo emergere come uno strano gruppo di antiribelli, guardoni nati che osano in qualche modo rifiutare il ruolo di spettatori ironici e che abbiano l’infantile faccia tosta di essere sostenitori e rappresentanti di una serie di principi privi di doppi sensi. Che semplicemente si occupino dei problemi e delle emozioni poco trendy della vita quotidiana americana con rispetto e convinzione. Che rifuggano dall’artificiosità, da quella forma di stanchezza annoiata che fa tanto ‘in’. Questi antiribelli sarebbero fuori moda, sarebbero sorpassati, chiaramente, ancor prima dell’inizio. Morti in partenza. Troppo sinceri. Palesemente repressi. Retrogradi, antiquati, ingenui, anacronistici. Forse sarà proprio quello il punto. Forse è proprio questa la ragione per cui saranno i veri ribelli del futuro” (in E Unibus Pluram: Television and U.S. Fiction, “Review of Contemporary Fiction”, 13:2, Summer 1993, cit. in Luca Briasco, Americana. Libri, autori e storie dell’America contemporanea, minimum fax 2016, p. 33).

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Philip Guston, Pantheon, 1973

Philip Guston, Pantheon, 1973

L’arte italiana profonda ha a che fare con uno spazio interiore, con una dimensione scavata sotterranea nascosta di intimità. E con l’umiltà: il lato umile, “antiretorico”, non ufficiale né istituzionale della realtà. Una realtà intesa sia come dimensione storica che come dimensione esistenziale, umana, di vita.
(Esempi? Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Caravaggio, Boccioni, la pittura metafisica, Sironi, Morandi, Burri, Rossellini, Antonioni, Fellini, Pasolini, Ghirri.)
Quali sono le “cose” più umili – e non viste, non riconosciute – dell’Italia di oggi?
– i negozi degli extracomunitari, con i loro scaffali improvvisati, i loro colori, le loro scatole e i prodotti sconosciuti;
– l’architettura “brutalista” e vernacolare di oggi: lamiere, piani inclinati, ferro, vetro, plexiglas, cemento armato e superfici ruvide, calce;
– l’architettura e le insegne delle sale da gioco contemporanee, sparse per tutto il Paese;
– le case dei poveri nuovi e vecchi, amorevolmente costruite e arredate con le proprie mani, bianche e oro, con capitelli stucchi angeli e divani sconsiderati, ma cronicamente prive di libri;
– le famiglie vestite con i piumini del mercato, con i loro smartphone e le app e il loro uso smodato dei social network e dei messaggi vocali;
– i “kebabbari”, con le grafiche scadenti e coloratissime esposte all’esterno e all’interno, stampate su enormi pannelli in pvc (verde acido giallo fosforescente arancione), senza raffinatezza ma piene di “grazia”: lingue straniere e pensieri semoventi;
– le bancarelle piene di prodotti scrausi e commoventi;
– la portentosa invenzione usata regolarmente dal pescivendolo di fronte agli scogli di S. Giorgio (Bari) per consentire un veloce e comodo trasporto dei frutti di mare: ostriche, noci e cozze sono posizionati accuratamente dentro i contenitori di plastica per la pizza. Con un po’ di ghiaccio sopra, sigillato con un altro ingegnoso sistema di contenitori, è un esempio di design economico, essenziale, efficacissimo – e anche bello. La nuova funzione del contenitore ‘adattato’ è anche migliore rispetto a quella tradizionale, normale: “La civiltà è per i gruppi ciò che l’intelligenza è per gli individui. È un modo per combinare l’intelligenza di molti e raggiungere un costante adattamento di gruppo” (Octavia E. Butler, La parabola del seminatore [1993], Fanucci 2000, p. 113).

Kurt Schwitters, Merz 352 (Signora in rosso), 1921

Kurt Schwitters, Merz 352 (Signora in rosso), 1921

L’elenco naturalmente può – e deve – continuare.
Umile è popolare, vernacolare, aculturale (fuori cioè dalla cultura, ma all’origine di un’altra, più viva cultura). Barbaro, incivile, pericoloso & sporco.
Umiltà è verità, autenticità, spontaneità (soprattutto oggi, in un periodo in cui l’inautentico pervade e innerva il tessuto sociale e l’immaginario collettivo).
Umile è ciò in cui si possono riconoscere i tratti selvaggi e irresponsabili di una nuova cultura ai suoi albori, che ignora allegramente non solo gli oggetti che appartengono alla cultura precedente, ma anche e soprattutto i suoi obblighi convenzionali e le sue “posture sociali”.
Una cultura spinta dal basso, prodotta dalle esigenze profonde e elementari di questo basso; le cui forme rudimentali preannunciano nuovi testi e nuove visioni.
Primitivo.
Quindi, che cos’è il primitivo, l’umile, il selvaggio (l’Estraneo come possibile exit strategy) oggi? Dove va cercato, riconosciuto e trovato? Per strada, intanto, nella realtà fisica e concreta – come sempre. E in una forma cocciuta di ingenuità, “fuori moda, sorpassata, chiaramente, ancor prima dell’inizio. (…) Retrograda, antiquata, ingenua, anacronistica”.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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