A Modena lo spettacolo ispirato al brano-icona di John Lennon

L’ultimo spettacolo del regista polacco, nel cartellone di Vie Festival, sceglie “Imagine” di John Lennon come sintesi di quell’utopico mondo ideale immaginato tra gli Anni Sessanta e Settanta. Mescolando idee rivoluzionarie e trip psichedelici

Cinque ore di spettacolo, due atti diversi e complementari, citazioni e rimandi innumerevoli, improvvisazioni incistate in un copione stringente, pieni e vuoti sul palco, video artistici e scenografia naturalistica. Una densità di codici, linguaggi e motivi che impedisce una recensione organica, una forzatura per uno spettacolo-monstre che proprio coesione e organicità programmaticamente rifugge a favore, nondimeno, di una coerenza identificata nella riflessione sul destino di quella utopia tardo novecentesca che elesse John Lennon quale propria occhialuta divinità.
Partendo dalla propria esperienza di vita – agli inizi degli Anni Settanta Krystian Lupa (Jastrzębie Zdrój, 1943) era un hippie, fondatore e frequentatore di comuni –, il settantanovenne regista polacco articola una visionaria eppure serrata indagine sulle ragioni dell’“irrimediabile” atrofia della fiducia in una prossima trasformazione dell’umanità all’insegna di quella serie di NO sinteticamente ed efficacemente elencati da Lennon in ImagineNO war, NO religion, ecc. – e fatti propri da una generazione che si riconobbe nella cosiddetta New Age.

Imagine, foto di Natalia Kabanow

Imagine, foto di Natalia Kabanow

IMAGINE DI KRYSTIAN LUPA

Un monolocale ingombro e trasandato – divani malandati e un letto di ferro, una sedia a rotelle e una libreria di legno, una vecchia cavallina per esercizi ginnici – è la casa di Antonin [Artaud]. Un luogo attraversato da fantasmi di varia consistenza – lo spettro magrissimo del doppio del protagonista e i più carnali ectoplasmi di, fra gli altri, Janis Joplin e Susan Sontag – e sovrastato, sul muro di mattoni sul fondo del palcoscenico, dalla scritta, quasi causalmente tracciata, Lennon never dies.
Antonin, malato e forse morente, avrebbe inviato una lettera a coloro che con lui avevano condiviso l’utopia di un pacifismo possibile ma pure l’esperienza esoterico-conoscitiva degli allucinogeni all’insegna di una sincera e radicata convinzione nelle potenzialità fecondamente trasformative dell’uomo. Ma la droga ha strappato la vita ad alcuni di loro – Janis protesta con il suo ospite, colpevole di averla sottratta ai suoi eterni 27 anni, età a cui morì di overdose – e odio e guerra ancora bruciano le città, anche quelle europee.
Né le poesie di Ginsberg, né tantomeno le canzoni dei Beatles sono riuscite a strappare al destino di fallimento i disegni trasformativi di quel gruppo – forse un po’ elitario – di giovani che non seppe rendere tridimensionalmente reali quei progetti. Una disillusione amara narrata in scena da dialoghi febbrili e a tratti autoironici, monologhi disperanti ovvero rabbiosi, azioni ora esagitate ora rituali, interventi del regista affiancato da un’interprete – su un palco del modenese Teatro Storchi– e i corpi nudi degli attori, accalcati l’uno sull’altra, nel finale dell’atto, reminiscenze di analoghe performance realizzate in quegli anni di controculture e pacifiche rivoluzioni – quest’ultimo quasi un ossimoro –, di uso smodato di droghe e sincero anelito al cambiamento.

Imagine, foto di Natalia Kabanow

Imagine, foto di Natalia Kabanow

LO SPETTACOLO DI KRYSTIAN LUPA A MODENA

Nella prima parte dello spettacolo sono proiettate per alcuni minuti sequenze di Stalker e proprio al film di Tarkovskij implicitamente rimanda l’inizio del secondo atto: sul palcoscenico spoglio giunge Antonin, dopo che il video proiettato sulla parete di fondo ce l’ha mostrato mentre scendeva da un’auto che aveva attraversato una desolata area industriale. Immagine cinematografica e concreta azione sul palco da questo momento si compenetrano senza soluzione di continuità, coniando un linguaggio inventivo e in sé coerente, capace di oggettivare il trip psichedelico compiuto dal protagonista. Uomini auto-isolatisi nel deserto per fuggire un’epidemia – fra di essi una donna incinta – e creature trasvolate dal primo atto, quale Janis; rituali arcaici celebrati in un’oscura grotta e due salvifici extraterrestri; una farfalla che è astronave ma pure pupa che rigenera a nuova vita; agguerrite attiviste a seno nudo e paesaggi di distruzione.
La guerra del Vietnam e quella attuale in Ucraina, una rinnovata ansia di utopia “realizzabile” che convive con un’invincibile attrazione per i paradisi artificiali, passato e presente, urgenza e riflessione coesistono in uno spettacolo denso e certo non privo di inevitabili fragilità ed esso stesso classificabile quale esperimento utopico.
L’utopia di un teatro che non soltanto mira a essere specchio della realtà, ma pare arrogarsi il diritto/dovere di essere agente concreto di una sua positiva trasformazione, ancora fiducioso in quella razionale e lucidissima follia che mosse il protagonista, l’evocato, redivivo Artaud.

Laura Bevione

https://2022.viefestival.com/

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Laura Bevione

Laura Bevione

Laura Bevione è dottore di ricerca in Storia dello Spettacolo. Insegnante di Lettere e giornalista pubblicista, è da molti anni critico teatrale. Ha progettato e condotto incontri di formazione teatrale rivolti al pubblico. Ha curato il volume “Una storia. Dal…

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