Trovarsi e perdersi nel bianco assoluto. Piergiorgio Milano a Torinodanza

A Torinodanza le tecniche dell’alpinismo e dell’arrampicata, rielaborate in linguaggio danzato dal coreografo e performer Piergiorgio Milano. Un dialogo a tre voci, in cui i personaggi condividono la pura e semplice aspirazione alla vetta.

Il “bianco assoluto”, nel linguaggio della montagna, è quando cielo e terra, nebbia e neve, in particolari condizioni meteorologiche, assumono lo stesso colore. E l’uomo, avvolto in quella cortina, si sente smarrito, sospeso nel nulla, in un tempo vuoto, senza punti di riferimento. È la più consistente rappresentazione dell’angoscia, dicono gli esperti. White out di Piergiorgio Milano (spettacolo che ha debuttato a Torinodanza 2019), si apre con un rumore crescente di vento freddo in una notte di tempesta, cui seguono il crepitio del ghiaccio e il fragore di una valanga. Una scena bianca, ricoperta di neve, rischiarata a tratti da una luce fredda, poi calda, seguita alla semioscurità. Trascinandosi a terra sbucano, uno per volta, tre personaggi, due uomini e una donna, ricoperti dei loro indumenti e con attaccati zaini, corda e una sfera specchiante. Portando uno di loro in spalla, raggiungono faticosamente uno spazio, dove troveranno rifugio installando la loro tenda. Qui, al sopraggiungere della calma, singolarmente e alternandosi in coppie o insieme, costruiscono sequenze mimiche e danzate: fulminanti sketch di ordinaria quotidianità “alpina”, tra allucinazioni visive e sonore, che altereranno e rinsalderanno i loro rapporti tra preparativi per l’arrampicata e soste forzate.

ALPINISMO E ARTE

L’ambizione dello spettacolo” – dichiara l’autore ‒ “è trasformare l’alpinismo in un linguaggio artistico, in modo che il pubblico possa vivere da vicino la neve, le tempeste, gli strapiombi verticali di roccia; ricreare in teatro il fantastico, enigmatico incanto della montagna”. E noi ne siamo rimasti pienamente affascinati. Perché White out è un viaggio ironico e drammatico, divertente, coinvolgente, non solo nel paesaggio naturale evocato in scena, ma nell’interiorità umana, un affondo in essa che apre squarci ad altri sguardi. Sfida non da poco, quindi, tradurre in coreografia, in luogo emotivo, il paesaggio alpino; portare la verticalità della montagna nell’orizzontalità del palcoscenico; trasmettere ritmo a qualcosa d’immobile che ritmo non ha; aprire alla vastità nel chiuso di un teatro. Non solo. Restituire il senso di fatica, di sfida, di coraggio; e i sentimenti, le paure, la solitudine, la passione del rischio, le aspirazioni alla vetta, le ambizioni e le contraddizioni che lo accompagnano. La montagna, quindi, quale specchio dell’uomo. E Piergiorgio Milano, coreografo e performer d’abilissima commistione fra danza, teatro e arte circense, approfondendo la letteratura sulla montagna (scritti di Walter Bonatti, Giampiero Motti, Enrico Camanni, Jon Krakuer, Joe Simpson, Mark Twight, Reinhold Messner, del sociologo David Le Breton) e la pratica esperienziale a essa inerente, ci accompagna, con la poesia del movimento, con la forza e l’estetica del gesto, con il fascino dell’immaginazione, dentro quel mondo non solamente evocato bensì segnato da storie di vita. Brani di esse si ascoltano da una voce fuori campo che scandisce, tra flashback e frammenti danzati, alcuni passaggi del racconto coreografico. “Quando ero bambino avevo paura delle montagne perché pensavo che avrebbero potuto cadermi addosso. Così chiedevo sempre se erano davvero attaccate bene e non capivo perché gli adulti ne fossero così sicuri”. E ancora: “Da bambino non sapevo che un giorno dalla cima di una vetta avrei visto le montagne come le onde della terra, ma già da piccolo, ogni volta che vedevo una montagna, sentivo nostalgia per una montagna ancora più alta”.

Torinodanza 2019. Piergiorgio Milano, White out. Photo Andrea Macchia

Torinodanza 2019. Piergiorgio Milano, White out. Photo Andrea Macchia

I PROTAGONISTI E LA TRAMA

Le brevi storie sono anche quelle che si articolano fra i tre personaggi accomunati dalla pura aspirazione alla vetta. Fuori, attorno e dentro la tenda, mentre si consuma l’attesa del tempo favorevole per incamminarsi e salire, si condividono racconti, si materializzano incubi attraverso gli oggetti, affiorano dinamiche relazionali buffe e problematiche. Nascono discussioni, contrasti e amori, e con la donna ‒figura fragile fra i due maschi e tradizionalmente “inadatta” alla dura disciplina sportiva ‒ che sarebbe un’intrusa se non per rivelarsi, infine, la più forte, in ascolto del proprio istinto creativo e vitale che vuole continuare a esistere. Sarà lei, solitaria in una danza aerea, ad arrampicarsi sulla corde-lisse – segno della parete rocciosa – improvvisamente piovuta dall’alto e illuminata da un forte fascio di luce, per salire e scomparire in alto, oltre le nuvole, “inseguendo la bellezza di un bianco infinito”. Prima avremo visto una sequenza mozzafiato durante l’infuriare di una tempesta di neve, con il terzetto prima alle prese con moschettoni, funi e imbraghi, poi avanzare e retrocedere, scivolare, risalire, spingere e lasciare andare; aiutarsi, incitarsi a proseguire, soccorrersi vicendevolmente, fino alla lotta solitaria di un unico superstite. Quella di Piergiorgio Milano – insieme ai bravissimi performer Nicola Cisternino ed Erika Bettini – è una robusta scrittura coreografica in vertiginosa progressione, ispirata all’editing cinematografico; una drammaturgia di gesti acrobatici, di movimenti assestanti, tesi e fluidi; una danza in orizzontale e in verticale attraversata da fughe e stasi, rotolamenti e slittamenti, oscillazioni e cadute libere; un teatro di posture sbilenche, di equilibri instabili, armonizzati dentro un’originale estetica espressiva. “‘White out’” – scrive l’autore – “è l’omaggio a tutti gli alpinisti che sono spariti, o che scelgono il rischio di sparire, nel bianco senza fine delle altezze. I conquistatori dell’inutile”. E la voce fuori campo ne elenca tre: “Alison Hargreaveis, incinta di sei mesi, continua ad arrampicare in solitaria e poi scompare per sempre sul K2; Danilo Galante, che non supera i suoi venti anni, sorpreso da un inverno improvviso sul Gran Manti; Tony Kurtz, che con un filo di voce grida ‘Non ne posso più!’, e si spegne appeso a trenta metri dai soccorsi sulla parete nord dell’Eiger”.
Lo spettacolo rientra nell’ambito dell’interessante progetto transfrontaliero di Torinodanza Corpo Links Cluster, teso a esplorare il rapporto fra danza e montagna, sport e ambiente.

Giuseppe Distefano

http://www.torinodanzafestival.it/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giuseppe Distefano

Giuseppe Distefano

Critico di teatro e di danza, fotogiornalista e photoeditor, fotografo di scena, ad ogni spettacolo coltiva la necessità di raccontare ciò a cui assiste, narrare ciò che accade in scena cercando di fornire il più possibile gli elementi per coinvolgere…

Scopri di più