Lo scrittore Antonio Monda e la “sua” America raccontata in un nuovo libro
Da Marina Abramovič a Tom Wolfe. Lo scrittore, regista e presentatore televisivo Antonio Monda racconta la sua patria d’adozione attraverso 150 ritratti di registi, scrittori e artisti incontrati in oltre trent’anni di lavoro culturale

“Quando andai a trovare per la prima volta Isaac Bashevis Singer al Belnord sull’86° strada, ero piuttosto giovane, la donna di servizio mi fece accomodare in salone ed ebbi modo di ascoltare la scenata famigliare, tutta in yiddish di cui non comprendevo una parola, che era in corso nella camera accanto fra lo scrittore e sua moglie. Fu poi la stessa cameriera, con un sorriso, a dirmi in inglese che Singer era arrabbiatissimo con la moglie per avergli perso l’attestato del premio Nobel”. È uno degli episodi più divertenti che Antonio Monda racconta a margine della presentazione al Salone Internazionale del libro di Torino del suo ultimo libro Incontri ravvicinati (La Nave di Teseo, 2024). La pubblicazione raccoglie centocinquanta ritratti di grandi personaggi della letteratura, del cinema, dell’arte frutto di conversazioni e frequentazioni che in alcuni casi sono diventate amicizie. “Trentun anni di vita americana attraverso gli uomini e le donne che mi hanno fatto diventare quello che sono” precisa Monda, quasi un’autobiografia scritta per interposte persone. La carrellata è davvero impressionante, si incontrano Marina Abramovič e Lauren Bacall, Saul Bellow e Anthony Burgess, Leo Castelli e Francis Ford Coppola compresa sua figlia Sofia, Robert De Niro e Allen Ginsberg, Erica Jong e Roy Lichtenstein, Arthur Penn e Quentin Tarantino. Potremmo continuare con molti altri nomi che vanno a comporre un incredibile affresco. Personaggi che si raccontano o vengono raccontati da Antonio Monda: scrittore, organizzatore culturale, giornalista (molti di questi ritratti sono stati pubblicati sul quotidiano La Stampa), insegnante e svariate altre cose, ormai da più di trent’anni con base a New York, la città che l’ha folgorato fin da ragazzo, quando la madre gli offrì un viaggio premio dopo la maturità. Il suo appartamento su Central Park West è diventato, con la complicità della moglie Jacqueline Greaves, uno dei più noti indirizzi culturali newyorkesi, frequentato da tante delle personalità ritratte nell’ultimo libro. Un luogo che, oltre a dare il nome a una rubrica in onda su RaiNews 24, è stato raccontato dal New York Times come “il più vitale, se non ultimo salotto culturale di New York”.

Intervista ad Antonio Monda
Monda, proviamo a partire da un regista che in questi giorni ha presentato a Cannes il suo ultimo film La trama fenicia.
Wes Anderson frequenta casa mia, è un amico, ci conosciamo da 25 anni, da quando aveva terminato il suo secondo film Rushmore e stava preparando I Tenenbaum. Mi ricordo in particolare di quella volta che venne da me e mi studiava in modo strano, senza che io capissi perché. Aveva già intenzione di utilizzarmi come attore, cosa che poi successe nelle Avventure acquatiche di Steve Zissou.
Che tipo è Wes Anderson?
È un uomo del Sud, texano, anche se ama molto l’Europa dove trascorre parte del suo tempo. Raffinato, colto, elegante, molto attento allo stile, forse troppo attento nei momenti meno felici, quando la forma domina su tutto il resto. Ma rimane una persona molto spiritosa e divertente, piena di tenerezza.
Philip Roth è uno scrittore che lei ha conosciuto molto bene e di cui si sta riparlando in questi giorni. Adelphi ha deciso di ritradurre e ripubblicare le sue opere. Portnoy è già nelle librerie.
Un uomo dalla profonda intelligenza. L’immanenza è la sua cifra stilistica, non c’è nulla di trascendente nella sua opera, nulla di verticale, il suo è uno sguardo orizzontale. Era un materialista, con un senso cupo dell’esistenza a cui reagiva con un formidabile senso dell’umorismo. Era molto spiritoso, contagioso nella sua risata e nelle battute che ti coinvolgevano. Inscindibile dalla cultura ebraica e trovo assurdo che non abbia ricevuto il Nobel a causa di due motivazioni insensate, quella di essere antisemita e misogino. In realtà era uno splendido rappresentante del self-deprecating Jewish humor, un ebreo che prende in giro gli ebrei, ma lo fa per amore del suo popolo. E più che misogino era un misantropo. Trovo discutibile aver riportato nelle librerie un suo capolavoro con il solo titolo Portnoy: il titolo originale Portnoy’s Complaint dice molto, con la parola complaint , sulla natura del libro.
Fra Philip Roth e Woody Allen un rapporto piuttosto conflittuale?
Direi un disprezzo profondo uno nei confronti dell’altro, ma soprattutto da parte di Roth verso Allen. Erano gli ebrei più famosi del mondo nell’ambito della letteratura e del cinema. Stessa generazione, stessa classe sociale, stesso sguardo sulla vita, materialistico e disperato, redento dall’umorismo, stesso approccio con le donne. Anzi, una donna in comune, Mia Farrow, che è stata a lungo compagna di Woody Allen e per un momento anche di Philip Roth. Uno dei tanti motivi che li ha portati ad essere rivali.
Parecchi incontri anche nel mondo dell’arte e dell’architettura. Leo Castelli, Marina Abramovič, Daniel Libeskind, Roy Lichtenstein, Renzo Piano, Cindy Sherman, John Waters.
Quello artistico non è esattamente il mio settore, però ho qualche amicizia. Leo Castelli è stato quel personaggio fondamentale per l’arte contemporanea di cui tutti siamo a conoscenza e che potrei sintetizzare con una battuta che mi fece, citando la Tosca, quando lo incontrai: “vissi d’arte”. Per Marina Abramovič provo un grande affetto, è sempre stata gentile con me e con mia moglie. Sicuramente una donna generosa e volitiva, ma di cui non conosco il lato duro e oscuro che le si attribuisce. Cindy Sherman è invece una donna timidissima, molto piacevole e umile, che probabilmente ha bisogno di nascondersi dietro altre donne, perché vuole vedersi con altri lineamenti, ama sparire dentro le sue opere.
John Waters è il re del trash e il kitsch, famoso per le provocazioni e le collaborazioni con un altro personaggio dell’eccesso come Divine. Lei riporta qualche sua battuta fulminante: “ho sempre sognato di diventare un giovane criminale, ma i miei genitori non me l’hanno permesso”.
Per inquadrare Waters le riporto un’altra sua battuta: “Non ho problemi con l’arte contemporanea è l’arte contemporanea che ha problemi con me”. Ma in realtà è anche un appassionato collezionista, con opere di Andy Wahrol, Cindy Sherman, Roy Lichtenstein e Cy Twombly e ha donato 372 quadri al Baltimore Museum of Art, a patto che i bagni del museo fossero intestati a suo nome.
C’è quell’episodio con Ingrid Bergman che lei conobbe durante il suo primo viaggio americano dopo la maturità…
Finii tutti i soldi in dieci giorni, ma avevo il volo di ritorno fissato dopo due mesi, così dovetti trovarmi un lavoro. Dopo esser stato licenziato dopo una sola giornata da imbianchino per manifesta incapacità, trovai lavoro come stock boy, il ragazzo che porta le scatole ai commessi in un negozio di scarpe. Un giorno, per l’assenza di un commesso, fui incaricato di far provare le scarpe a Ingrid Bergman che era cliente. Per esternarle goffamente la mia ammirazione parlai di Casablanca, Notorius e poi del Caso Paradine. E qui lei mi bloccò aggiungendo che forse mi confondevo perché la protagonista dell’ultimo film era Alida Valli. Avrei voluto sprofondare!
Dario Bragaglia
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