Il film Tobby, una jam session esistenziale nella Berlino delle rovine. L’intervista al cast

Il regista Hans Jurgen Pohland cogli le rovine rinascenti di una città disastrata, la capitale tedesca degli anni Sessanta, tra monconi di pietra fumanti e bettole caricate di un’aura misteriosa

Tobby è il ritratto in bianco e nero (restauro della Modern Art Film Archive e Deutsche Kinemathek) di un musicista di talento che si nega ad un tour importante pur di suonare a modo suo. La famiglia e la comunità di squinternati attorno. La bicicletta e i bonghi sulla canna. E la cornetta del telefono Siemens laccato nero che penzola giù dal termosifone in ghisa. Il regista Hans Jurgen Pohland coglie, con grana poetica, le rovine rinascenti di una Berlino degli anni Sessanta che sembra ancora una Palermo del Nord, tra monconi di pietra fumanti (suonate dal protagonista) e bettole caricate di un’aura misteriosa. Abbiamo incontriamo alla Berlinale edizione 74 Gudi e Danny Fichelscher, entrambi nel cast e parte della sua famiglia.

L’intervista a Gudi e Danny Fichelscher, nel cast di Tobby

Cosa significava per lei quell’epoca e quello stile di vita, i tedeschi sapevano e scoprivano come fare jazz?
GF: Certo! Noi non avevamo una lira, lavoravamo giorno e notte, Tobby alle poste e io in un’azienda tessile, come babysitter e come factotum per poi suonare di notte. Due lavori. Vivevamo il nostro amore a casa mia o in case di fortuna. Sua moglie e i suoi tre figli Ed, Anik, Danny Fichelscher.

Circa a metà film una giustapposizione di varie angolature velocizza il ritmo e apre ad uno sguardo multiplo nella stanza e lei domanda a Tobby come fa a vivere con la sua ex moglie: con un languido sguardo esistenzialista lui replica: io preparo la colazione, lei il pranzo. Cosa pensa ricordando quel momento?
GF: Era strano per l’epoca, non potevo credere come si potesse vivere con una persona che non si amasse più, ma Tobby improvvisava anche in questo… 

DF: Sai, a quell’epoca non c’era niente, non avevamo molto, mio padre rischiava forte con la musica ed ebbe comunque la fortuna di una buona educazione, era introdotto nella scena intellettuale, conosceva medici e professori e un nugolo di musicisti disperati. Non c’era nulla tranne una tribù, lui e i suoi amici erano uniti e c’era il rispetto per le capacità altrui.. 

Quali erano i sogni della vostra generazione e di quella di suo padre. e come si riflettono nel film?
DF: I ragazzi “normali” desideravano le vacanze in Italia a Rimini o in Sicilia, la Vespa e comprarsi una casa era un sogno a cui molti aspiravano. Mio padre, Tobby, voleva la musica e basta.

GF: Non avevamo neanche i soldi per i mezzi pubblici, per questo girava in bici, notte e giorno. Tra le rovine dei bombardamenti (proprio quelle “sculture” di pietra che Tobby suona sul finale)  ci siamo costruiti un mondo. Io ero della Germania dell’Est, non potevo uscire per partecipare alla Jam a meno che di non avere andata e ritorno in aereo. Allora lui metteva tutto il suo cachet per farmi volare con lui!  

Che effetto vi ha fatto rivedervi, su grande schermo, assieme ad un pubblico internazionale al Kino International? 
DF e GF, concordando: Noi uscivamo dall’oscurità crepuscolare della vecchia Germania, del totale bombardamento del tempo. Oggi è tutto diverso, ogni generazione cerca sé stessa alla sua maniera. 

g. olmo stuppia

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g. olmo stuppia

g. olmo stuppia

g. olmo stuppia (Milano, 1991) è artista contemporaneo, autore e speaker radio. Nel 2017 fonda Cassata Drone Expanded Archive a Palermo. Vive in Italia e in Francia.

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