Il volto svela, l’artista cela. I ritratti impossibili di Gideon Rubin a Milano

La Galleria Monica De Cardenas presenta nella sua sede milanese la prima mostra personale in Italia di Gideon Rubin, artista israeliano di base a Londra.

Nella mostra da Monica De Cardenas sono presentate opere recenti di vario formato.
Gideon Rubin, classe 1973, è un pittore che si distingue per l’esecuzione di ritratti in cui i volti vengono cancellati e privati di qualsiasi tratto somatico. Il processo creativo di Rubin parte solitamente dalla raccolta di materiale proveniente da pubblicità, vecchie riviste o fotografie e, in generale, da immagini che l’artista colleziona meticolosamente e instancabilmente. Rubin archivia le immagini per poi trasporle e tradurle in pittura. Talvolta, invece, se ne appropria e vi dipinge direttamente sopra, partendo dalla cancellazione del volto attraverso la pittura, in contrasto con l’immagine fotografica del supporto originale sottostante.
Colpisce tuttavia come i volti, nonostante siano ricoperti dalla pittura a olio e di conseguenza teoricamente da questa neutralizzati, continuino a risultare enormemente espressivi. L’attenzione dell’osservatore, inaspettatamente, non trovando un primo riscontro sul volto, si rivolge dunque agli altri elementi del quadro: le pose, lo sfondo, i tratti del pennello, i colori. Poiché a mancare è proprio l’elemento chiave del volto, ogni altro dettaglio assume un’importanza fondamentale, e questa mancanza ci porta a indagare il quadro, a chiederci chi rappresenti, cosa stia succedendo, e a volerne cogliere l’aspetto più intimo ed emotivo, sicuramente meno esplicito di una espressione. Il volto svela, l’artista cela.

I DIPINTI DI GIDEON RUBIN

Nonostante l’omissione di qualsiasi particolare del viso, la psicologia dei personaggi trasuda dalle figure. Gli ovali vuoti diventano specchio o proiezione. In un procedimento similare ai famosi quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto, dove specchiandoci entriamo nell’opera, con Rubin indugiamo e indaghiamo partendo dai volti, ma stavolta sono il vuoto e l’assenza che ci risucchiano dentro al quadro, trasportandoci in atmosfere senza tempo. Il rapporto spazio-tempo risulta così azzerato e l’empatia con l’opera è prima spiazzante, poi totale. Il quadro appare essenziale. Le figure che prendono vita nello spazio pittorico, ben lontane dai grandi ritratti storici, sono colte in momenti casuali della quotidianità, talvolta intimi. I paesaggi sono ambigui, ridotti al minimo, quasi astratti. Nonostante la fisionomia del volto sia omessa, o, meglio, cancellata, nelle tele c’è un aspetto fortemente evocativo. L’atmosfera è densa, pesante, le poche pennellate sono anch’esse colme di materiale pittorico. La cancellatura del volto su vecchie immagini, inoltre, certo non può non far pensare alle leggi razziali emanate in Italia nel 1938, con le quali gli umani venivano considerati al pari degli animali (in molti luoghi si vietava l’ingresso ai cani e agli ebrei), annullandone l’identità e la dignità. I volti nelle opere di Rubin vengono così anch’essi annullati: ammutiti e mutilati dei loro tratti somatici, non possono più esprimersi attraverso le espressioni facciali o l’uso della parola.

Gideon Rubin, Pink, 2019, courtesy Monica De Cardenas

Gideon Rubin, Pink, 2019, courtesy Monica De Cardenas

STORIA, MEMORIA E PRESENTE NELLA PITTURA DI RUBIN

Da Monica De Cardenas, oltre alle svariate figure umane, che si potrebbero chiamare “i ritratti impossibili”, alcune tele presentano solamente frammenti del corpo o di ambienti, dettagli ingranditi, zoomed and cropped dalla fonte originale. In qualche modo l’artista si allontana dal volto, come un elemento non più necessario, tanta ed equiparabile può essere la forza di un altro dettaglio una volta che ha catturato la nostra attenzione. Le dimensioni più contenute di queste opere aumentano l’intimità dei momenti colti. In alcune di esse non può non colpire la registrazione da parte dell’artista di un elemento attuale come la mascherina dipinta sul volto, ormai simbolo di un’altra guerra da combattere.
Abbiamo detto che le fonti delle opere di Rubin sono spesso immagini trovate, fotografie che appartengono a un passato personale ma anonimo, personaggi prelevati da riviste o giornali. I soggetti dei suoi quadri sono i più variegati: talvolta icone popolari britanniche, come la famiglia reale inglese, oppure persone a lui vicine come i componenti della sua stessa famiglia. L’artista crea così un archivio di immagini per i suoi quadri, una sorta di atto di riappropriazione di storie e memorie personali, passando anche da quelle negate dall’Olocausto fino a personaggi ormai scomparsi o che ha conosciuto solamente attraverso le pagine di libri e riviste. All’interno dello spazio pittorico, tutti vivono sullo stesso piano, il piano dell’esistenza, dello stare al mondo, della condizione umana, non una condizione sociale, ma una condizione di solitudine. Nasce così una costellazione infinita di persone che ruotano attorno a lui.

DALL’OLOCAUSTO A OGGI

Le sue opere, così come i personaggi che le abitano, esistono in una dimensione atemporale, non un tempo storico, ma quello interiore della memoria e dell’inconscio. Esse, inoltre, portano alla luce anche una parte mancante nella storia personale dell’artista il cui nonno, rinomato pittore, fu uno di dodici fratelli ma solo uno dei tre che sopravvissero all’Olocausto. Nonostante l’artista non abbia potuto incontrare di persona parte della sua famiglia e quindi non ne conservi ricordi, essi esistono e sono presenze ingombranti, che in questa costellazione silenziosa emanano un’eco assordante.
Essendo tematiche come la memoria così rilevanti nel suo lavoro, non è casuale che nel 2018 Gideon Rubin abbia realizzato una nella casa-museo di Freud a Londra (a cura di James Putnam), col quale condivide le origini ebraiche. Freud aveva dovuto lasciare Vienna nel 1938 per rifugiarsi a Londra, nel quartiere di Hampstead. L’anno successivo Mein Kampf veniva pubblicato in inglese e diffuso in Inghilterra. Il paradosso è che, mentre da un lato Freud godeva di una libertà ritrovata, dall’altro si insinuava la minaccia nazista. Rubin si riappropria di questo oggetto mefistofelico e vi cancella parti di testo e immagini, creando delle pagine monocrome e astratte; li potremmo definire “atti creativi esorcizzanti”.
La domanda finale è dunque questa: perché coprire il volto? Nel processo di cancellazione (erasing) e dunque sottrazione, da un lato si perde ma, dall’altro, in direzione opposta, si guadagna, riportando alla superficie del presente la memoria di un individuo o di un momento, dandogli vita eterna, come solo la pittura sa fare.

Rubina Romanelli

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Rubina Romanelli

Rubina Romanelli

Rubina Romanelli (Fiesole, 1981) discende dalla dinastia di scultori fiorentini Romanelli. Completati gli studi, nel 2004 si trasferisce a Londra dove per quattro anni è Gallery Manager della galleria Sprovieri e lavora tra gli altri con Ilya e Emilia Kabakov,…

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