I dispositivi ottici di Umberto Bignardi in mostra a Milano

Galleria Bianconi, Milano – fino al 12 marzo 2020. Continua la riscoperta dell'artista bolognese Umberto Bignardi, negli Anni Sessanta protagonista a Roma di una stagione decisamente sperimentale. La galleria Bianconi ripropone le sue macchine per la visione, grazie alle quali il disegno si diffonde nello spazio e coinvolge lo spettatore.

Con la seconda personale nel giro di tre anni, la galleria Bianconi prosegue la riscoperta dell’opera di Umberto Bignardi (Bologna, 1935). Operazione che si può definire meritoria, perché l’artista fa parte di quel novero di nomi (troppo esteso in Italia) ingiustamente poco valorizzati ed esposti. Il fenomeno ha colpito in particolare gli artisti identificabili con una poetica pop, anche se loro stessi non amano definirsi con quel termine, a sottolineare la varietà di espressione e l’autonomia rispetto ai riferimenti americani.
Il modulo di base della poetica di Bignardi è il disegno, stilizzato in alcune icone ricorrenti e riconoscibili, ma allo stesso tempo espressive e non spersonalizzate. Sagome ipotetiche che simboleggiano alla perfezione la società di massa, ma che contengono in sé una vitalità dovuta al tratto e all’apporto del colore, discreto ma decisivo.

ASSOCIAZIONI MENTALI E FISICHE

Una sensazione di movimento, una tendenza cinetica insita già nel tratto sfocia in un riferimento all’immaginario cinematografico ‒ più come analisi “tecnica” del mezzo che come riferimento diretto all’immaginario hollywoodiano. La pittura e il disegno si espandono, insomma, come dimostra l’esposizione in corso a Milano, concentrata sulle “sperimentazioni visuali” compiute dall’artista nella Roma degli Anni Sessanta.
Vengono infatti ricostruiti due “dispositivi ottici” ideati dall’artista, macchine per la visione che puntano sì al coinvolgimento dello spazio e dello spettatore, ma soprattutto a dare all’immagine una vita espansa, che esondi dallo stereotipo.
Il Fantavisore del 1965, ricostruito per l’occasione, è una sorta di precursore del lightbox che però si illumina a intermittenza nelle diverse zone dello schermo. La luce fa comparire via via tutti gli elementi del foglio disegnato retrostante (che in mostra è l’originale). Più che un dinamismo “narrativo”, la composizione successiva degli elementi evoca una serie di associazioni mentali, programmate ma allo stesso tempo libere e istintive.

Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1964 1967). Exhibition view at Galleria Bianconi, Milano 2020. Photo Tiziano Doria

Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1964 1967). Exhibition view at Galleria Bianconi, Milano 2020. Photo Tiziano Doria

TRA REALTÀ E RAPPRESENTAZIONE

E poi c’è il Rotor del 1967, che tradusse in un linguaggio nuovo la tradizione delle lanterne magiche e della cronofotografia alla Muybridge: le immagini scorrono nella struttura circolare e si proiettano sulle pareti. Al piano inferiore, poi, due esemplari della pittura su superfici trasparenti: l’illuminazione della lastra genera un doppio del dipinto sulla parete retrostante, in un continuo rimando di realtà e rappresentazione, di materialità e dimensione eterea. In mostra anche un nucleo raffinatissimo di disegni coevi alle macchine e una grande quantità di documenti d’epoca, fra cui estratti di una corrispondenza con Germano Celant dai quali emerge ancor più la radicalità della ricerca di Bignardi rispetto all’epoca.

Stefano Castelli

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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