Arte pubblica a Roma. Quella melagrana che impalla il Colosseo

L’arte pubblica di qualità a Roma continua a fare fatica. Spesso per mancanza di buon gusto. Così come sembra mancare un piano culturale strategico che sia degno di questo nome. E poi, all’improvviso, spuntano sculture a caso, dinanzi a monumenti storici…

La causa umanitaria non è in discussione. E nemmeno la collaborazione tra amministrazione comunale, artisti e organizzazioni non profit, che insieme si prodigano per la buona di riuscita un evento, coinvolgendo spazi pubblici cittadini. Ma se di spazio pubblico si parla, fra arte contemporanea e beni culturali, sono altri i fattori che entrano in gioco. E non si tratta di bazzecole o dettagli secondari. Ci si chiede allora quale razza di ragionamento ci sia, quali valutazioni urbanistiche ed estetiche, quale ricerca e quale senso di responsabilità nella vicenda che da giorni vede protagonista l’area antistante il Colosseo e la grande scultura che lì si trova da inizio settembre e che alla fine del mese scorso avrebbero dovuto smontare. E invece no, l’enorme oggetto scintillante sta ancora lì.
Si tratta di una melagrana in bronzo policromo, opera dell’artista sardo Giuseppe Carta – che in tema frutta e verdura ha già sfornato altre imponenti sculture, fra peperoncini, cipolle, pere, zucche e mele cotogne… – collocata dinanzi al mitologico anfiteatro romano, in occasione del concerto tenuto lì da Andrea Bocelli con Steve Tyler ed Elton John l’8 settembre: nuovo evento esclusivo dell’Andrea Bocelli Humanitarian Award, premio promosso dalla Fondazione istituita dal cantante e destinato a una ristretta platea di celebrità paganti. Il ricavato è naturalmente destinato ad attività di beneficenza.

Il manifesto del concerto di Bocelli al Colosseo

Il manifesto del concerto di Bocelli al Colosseo

UNA MELAGRANA DINANZI AL COLOSSEO

Ed è proprio la melagrana di Carta a essere diventata nel 2014 il simbolo del prestigioso Premio. Quale occasione migliore di un mega concerto dentro il Colosseo per esporla sotto il cielo della Capitale? Con tutta l’intenzione, sembrerebbe, di proseguire il tour espositivo anche in altre piazze d’Italia. Peccato che l’opera appaia come un corpo estraneo, del tutto fuori contesto, sorretto da una massiccia base trapezoidale, se possibile più invasiva dell’opera stessa. Una presenza aliena, assai impattante, messa in dialogo con una tra le più straordinarie architetture di tutti i tempi: puro marketing, a favore di una pur condivisibile e sacrosanta missione, che però prescinde da qualunque valutazione critica sulla valorizzazione del patrimonio e dei centri storici di pregio, ma anche sul rapporto (così complesso) fra arte contemporanea e beni monumentali.

The Red Giant, installazione di Giuseppe Carta a Pietrasanta. Foto by salelecucina

The Red Giant, installazione di Giuseppe Carta a Pietrasanta. Foto by salelecucina

Le sculture di Carta – in cui è difficile non riconoscere una certa vena kitsch, nel gusto più scontato per la riproduzione retorica, iperrealista, accademica e decorativa di cibi vari – cosa c’entrano con lo scenario trionfale dei Fori e con quell’angolo di Roma che in sé concentra una fetta consistente dell’immenso tesoro archeologico cittadino? Il giocattolone bronzeo pare quasi uno sberleffo, un’imposizione brutale, lontanissimo per altro da quelle che sono le ricerche più innovative e interessanti del panorama odierno dell’arte, dal punto di vista concettuale, dello stile e del linguaggio.
Piazzare un’opera davanti al Colosseo è una responsabilità enorme. Lo è per amministratori, soprintendenti, curatori, soggetti pubblici e privati. E naturalmente per un artista. E allora, chi arriva a cimentarsi con l’ardua impresa? Non un nome di rilievo della scena internazionale, non il Richard Long, il Tony Cragg, il James Turrel o l’Adrian Paci della situazione, non figure transitate da Pompidou, Moma o Guggenheim, ma il signor Giuseppe Carta, un artista che – nel rispetto del suo curriculum più che dignitoso e della sua produzione – resta comunque legato a un circuito minore e non internazionale.

ARTE PUBBLICA E STRATEGIE CULTURALE: DOVE VA ROMA?

Così, fra i commenti indignati raccolti qui e là, ma nell’indifferenza assoluta della stampa di settore, ci si chiede: perché? Chi decide, chi controlla, chi consente che certi spazi collettivi, preziosi ed emblematici, siano ripensati con tale leggerezza? Quale commissione titolata ha valutato? Quale ragionamento e quale visione si intravedono, a prescindere dall’evento bocelliano con star dello spettacolo e figure istituzionali?
L’episodio, che lascia addosso un senso d’impotenza misto a rabbia, è la classica ciliegina sulla sconfortante scena attuale. Perché in tema arte, sviluppo culturale, coerenza, visione, progettualità e standard qualitativi alti, è chiaro che Roma – quantomeno sul fronte dell’amministrazione comunale – continua a galleggiare nel vuoto. Non di capisce quali siano la direzione, l’orizzonte, le strategie messe in campo. Non si capisce ancora, a un anno e mezzo dall’insediamento della nuova giunta, quale sia il ruolo che la cultura ha e dovrebbe avere nel percorso progressivo di cura e rilancio della città.
Basti pensare che, fatta eccezione per l’emozionante opera di Giuseppe Penone installata nei pressi di Via del Corso e finanziata interamente da Fendi, nessun intervento rilevante nello spazio urbano (permanente o temporaneo) è stato promosso negli ultimi mesi, mentre il Macro, dal canto suo, si appresta a diventare location per grandi mostre da cassetta prodotte da società apposite. Altri progetti recenti (2016), come l’importante fregio di William Kentridge promosso dall’associazione Tevereterno o le installazioni ai Fori della mostra Par Tibi Roma Nihil (Soprintendenza Speciale per il Colosseo, Romaeuropa e Nomas Foundation), risalgono comunque ad accordi assai precedenti.

Giuseppe Carta, Germinazione. Roma, Colosseo, 2017

Giuseppe Carta, Germinazione. Roma, Colosseo, 2017

Una città – è il caso di dirlo – arrivata alla frutta. Decenni di malgoverno e di corruzione, di indifferenza e di irresponsabilità variamente distribuite, hanno dato vita a un pantano inaffrontabile. Ma chi sta oggi nelle stanze del potere deve pure, a un certo punto, provare a invertire la rotta, sulla base di un’idea forte, cristallina, costante. A maggior ragione se lo slogan con cui ci si è raccontati per anni era quello della svolta immediata, della differenza assoluta, della rivoluzione radicale.
E d’accordo: emergenza rifiuti, trasporti pubblici, risorse idriche, decoro urbano, microcriminalità. La lista delle priorità è ampia e impegnativa. Ma se la questione dell’arte conserva un valore simbolico eccezionale – senza considerarne il ruolo primario nella costruzione di un immaginario sociale, di una coscienza collettiva, di una sensibilità comune – allora niente di meglio di un’opera sbagliata e fuori posto, che giganteggia a caso nello spazio pubblico di pertinenza del Comune, per esprimere metaforicamente il senso di quanto accade in generale a Roma (come in molti altri angoli del Paese): l’indifferenza, il qualunquismo, l’approssimazione, la sciatteria. E l’assenza di rispetto: per i luoghi, per le persone, per il peso della memoria e dunque per il futuro.
In quella posizione mettiamoci pure un’opera d’arte contemporanea, magari una ogni anno a rotazione, come accade sul Quarto Plinto di Trafalgar Square a Londra. Ma facciamo in modo che i lavori siano degli artisti più bravi del mondo.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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