Addio Mimmo! Il ricordo del grande fotografo Jodice nelle parole di uno scrittore amico e collega
La scomparsa del grande fotografo napoletano lo scorso 29 ottobre 2025 ha scosso gli animi. Come osservato dal saggista Michele De Luca, tutto il mondo dell’arte sentirà la mancanza dell’artista capace di trasformare la fotografia in un linguaggio filosofico e universale
La mattina del 29 ottobre 2025, appena acceso il computer, su Artribune ho visto la triste e terribile notizia della scomparsa di Mimmo Jodice, nato nel rione Sanità di Napoli nel 1934, il più grande fotografo che ho avuto la fortuna di conoscere e con cui ho condiviso, nel corso di quarant’anni, indimenticabili collaborazioni. Dalle foto nell’articolo, Mimmo mi ha guardato con i suoi occhi dolcissimi, con quello sguardo che sembra chiedere qualcosa e che mi è entrato dentro nel profondo. Proprio come quando ci incontrammo per la prima volta, a Villa Pignatelli di Napoli dove si inaugurava una mostra di Roberto Bossaglia, da me promossa e organizzata; furono i suoi occhi che mi colpirono prima di tutto. Mimmo mi ha sempre voluto tanto bene, e io a lui. Molti ricordi si affollano nel mio cuore, dove lo porterò sempre, come l’ho sempre portato.
Mimmo Jodice un fotografo capace di affermarsi come artista
“La fotografia si è sempre tirata dietro, come un peso, il suo legame con la realtà; nel lavoro di Mimmo Jodice, invece, sembra che il reale si ritiri per dar luogo a un interrogativo sulla natura di ciò che appare”. Così scriveva Annette Malochette presentando nel 1987 il volume Suor Orsola edito da Mazzotta, uno dei tanti lavori esemplari del grande fotografo napoletano, con cui esplorava un angolo nascosto e inedito della sua città, e cioè la famosa cittadella monastica della Napoli del Seicento. Periodo in cui la riflessione di Jodice sulla fotografia e sulle potenzialità della stessa di affrancarsi dalla sua “anima” documentaristica per affermarsi come strumento di creazione artistica, era ormai giunta a una fase di sviluppo e consapevolezza; dopo l’avvio nel 1980 con quella che viene giustamente definita la “svolta”, e cioè la pubblicazione sempre da Mazzotta, nel 1980, del volume Vedute di Napoli. Essenziale testimonianza non solo della sua visione interiore del tessuto urbano e delle architetture della città (una sorta di rivisitazione in chiave metafisica dei luoghi della quotidianità), ma anche come inedito e inquietante “ritratto” in bianco e nero della città partenopea, sedimentata e imbalsamata nella memoria visiva di generazioni nelle inquadrature di Sommer e degli Alinari.

Gli Anni Ottanta: una nuova fase di ricerca e sperimentazione per Mimmo Jodice
Con i primi Anni ’80 si chiudeva una fase, durata oltre un ventennio, in cui Mimmo Jodice da una parte aveva vissuto le sperimentazioni degli Anni Sessanta nel clima di un’irripetibile stagione culturale a contatto con il gallerista Lucio Amelio e gli artisti più innovativi del periodo, come Warhol, Rauschenberg, Beuys e tanti altri; dall’altra, aveva condotto appassionate indagini sui riti della religiosità popolare e sui tanti e scottanti problemi sociali napoletani e meridionali (quella che lui ha chiamato “schedatura del malessere”). L’artista, come ha affermato lui stesso, ora dirigeva la sua ricerca su una nuova “lettura” dei luoghi: “tutto ciò che incontriamo è un paesaggio interiore. L’obiettivo della macchina fotografica dovrebbe essere di guardare fuori, e invece finisce col guardare dentro e proiettare nel mondo una dimensione atemporale, la dimensione della memoria personale e storica”. Jodice era quindi ora interessato a una realtà precisa, ma senza tempo; soggetto a cui forse si addice quanto scritto dal poeta e filosofo francese Jean-Christoph Bailly: “L’istante è l’unica superficie su cui l’eternità appare”.
Le “Vedute di Napoli” in Basilicata, il primo incontro tra Mimmo Jodice e Michele De Luca
Gli Anni ‘80, sono stati anni in cui, oltre a Vedute, Jodice ha prodotto lavori eccezionali, come Gibellina, Naples, une archeologie future, arrivando poi negli Anni ‘90 a intraprendere due percorsi: la ricerca delle radici della cultura mediterranea e di una visione della città sempre più irreale e metafisica.
A questo punto non posso omettere una mia personale testimonianza. Proprio a quel periodo “cruciale” della ricerca e dell’arte di Jodice, risalgono le Vedute di Napoli che, dopo aver ammirato alla Galleria Rondanini di Roma, grazie alla sua disponibilità, volendo offrire “sette letture per un’immagine del Sud”, sono riuscito a presentare nel 1982 in due mostre in Basilicata, a Lauria e Satriano di Lucania, per la rassegna Fotografia e realtà meridionale, ideata e organizzata dal Comitato per Manifestazioni Culturali di Sasso di Castalda (Potenza) e presentata da Marina Miraglia, che coinvolgeva altri sei fotografi (Radino, Sellerio, Patellani, Faeta, Malabotti, Cresci).
Di Jodice, tra l’altro la stessa Miraglia scrisse: “Gli spazi vuoti, quasi metafisici, come l’allusione continua alle tracce dell’uomo – il passare rapido di un autobus, i cartelloni stradali – descrivono, nelle fotografie di Jodice, un paesaggio di tipo psicologico, nascono come frutto di paure e di angosce esistenziali, esprimono essenzialmente un senso profondo di solitudine e di alienazione”.
Un ricordo delle collaborazioni tra Mimmo Jodice e Michele De Luca
A quel lontano incontro con Jodice risale la nostra ormai “antica” e affettuosa amicizia, di cui sono sempre stato onorato e felice, estesa ovviamente a sua moglie Angela e al figlio Francesco, bravissimo fotografo e artista, costellata di numerose ed entusiasmanti collaborazioni. In particolare, amo ricordare le mostre: Mediterraneo al Museum of Art di Philadelphia, 1995, di cui curavo l’ufficio stampa per l’Italia, poi, su mia proposta e coordinamento organizzativo, presentata anche alla Triennale di Milano; e Tempo Interiore, 1995, con catalogo Federico Motta, allestita nel mitico Salòn o Palazzo della Ragione di Padova che, per la prima volta in assoluto, per questa grande occasione, ospitò una mostra di fotografia.
Il “Mediterraneo” di Mimmo Jodice
In Mediterraneo, come scrisse George Hersey, Jodice si è espresso attraverso due diverse modalità: “da un lato come un fotografo d’arte e architettura, per rappresentare in modo pressoché diretto i soggetti selezionati; dall’altro, come un filosofo rinascimentale, per meditare tra le rovine, filtrate attraverso luci particolari, e soffermarsi sul modo in cui le vestigia del passato, pur testimoniando l’assenza di un’epoca, esercitino tutt’ora una potente presenza”. Mentre lo sguardo sempre inappagato dell’artista indaga l’universo di grandi metropoli, in una “rilettura” fotografica dettata da un’intuizione personale del mondo, definitivamente sciolto dalla contingenza del presente.
La grande retrospettiva al Palazzo delle Esposizioni di Roma
Tra le (tante) mostre in Italia e all’estero a cui è legato particolarmente il mio ricordo, oltre “Gli occhi del Louvre”, 2011, e quella al Palatino, 2013; c’è sicuramente la grande retrospettiva al Palazzo delle Esposizioni di Roma, 2010, curata da Ida Gianelli. Esposizione in cui potenti ingrandimenti in magico bianco e nero aprivano spazi impensabili all’immaginazione, a quel “perdersi nel guardare” per riecheggiare le parole di Pessoa, care a Jodice. Parole che ben rendono la dimensione più intima, di curiosità e creatività, da sempre alla base della sua infaticabile ricerca svolta con intelligenza e passione lungo tutto l’arco della sua vita. Come ebbe a scriverne la scrittrice statunitense Francine Prose, “è impossibile non parlare della qualità onirica delle fotografie di Mimmo Jodice. Esse possiedono lo spirito allusivo, la logica singolare e l’assoluta persuasività delle immagini generate dall’inconscio durante il sonno per allarmarci o per divertirci”.
Addio, carissimo Mimmo!
Michele De Luca
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