Città del Messico tra epica e tragedia. Magico Alejandro Iñárritu alla Fondazione Prada
A partire da un’archeologia del suo stesso cinema, il grande regista Alejandro G. Iñárritu porta a Fondazione Prada una mostra che attraversa l’Oceano Atlantico, fino a Città del Messico. E la racconta, in tutte le sue contraddizioni

L’installazione voluta da Alejandro G. Iñárritu (Città del Messico, 1963) al piano terra del Podium, il principale spazio espositivo della sede milanese di Fondazione Prada, è sorprendente. Pura magia a cui si accede attraverso una soglia buia che a sua volta immette in un labirinto di sei stanze illuminate da coni di luce generati da proiettori analogici 35mm. Al loro fianco piatti dove scorrono fotogrammi ricavati da 300 chilometri di pellicola rimasta sul pavimento della sala di montaggio di Amores Perros (2000) il film d’esordio del cineasta messicano, il primo capitolo della Trilogia della morte, che include 21 grammi (2003) e Babel (2006). Nell’era del tutto-in-digitale, l’esposizione avvolge il visitatore in un ambiente analogico di grande intensità visiva, percorso da un sottofondo sonoro che evoca l’universo sensoriale del film e insieme restituisce la dimensione caotica di Città del Messico. Il fulcro dell’installazione nasce dalla predilezione di Iñárritu per la materialità della pellicola 35mm. La grana, lo sfarfallio e il calore di proiezioni rilanciate da quindici proiettori sistemati all’interno del labirinto. Niente di comune: basti pensare che queste macchine sono state recuperate a Locarno dove per anni, nell’ambito del festival della cittadina elvetica, sono state proiettate pellicole in 16 o 35 mm per una precisa, testarda scelta estetica, poi giunta alla resa. Rimetterle in funzione ha significato coinvolgere operatori quasi definitivamente scomparsi, ma un tempo protagonisti di un artigianato specifico.

L’archeologia del cinema di Iñárritu a Milano
Nel marzo del 2018 Iñárritu ha scoperto che le pellicole inutilizzate della sua prima opera cinematografica giacevano custodite in scatole di latta negli archivi dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. L’impatto con questa scoperta ha risvegliato la sua curiosità e in occasione del venticinquesimo anniversario del film ha dato il via a una sorta di impresa archeologica. A partire dall’energia grezza (talvolta addirittura respingente) riscoperta in queste immagini perdute, Iñárritu ha nuovamente riconfigurato il tutto. “Negli ultimi anni, tutto il materiale grezzo che ho passato in rassegna, le montagne di celluloide, mi hanno curiosamente ricordato una sorta di placenta scartata che contiene tanta ricchezza. Spogliata di ogni narrativa, questa installazione quindi non è un tributo, bensì una resurrezione, un invito a sentire ciò che non è mai venuto alla luce“: così si legge nelle note di presentazione.





Alla Fondazione Prada le alterazioni temporali e sensoriali dei film di Iñárritu
Il risultato di questo scavo risulta coerente con il modo di fare cinema per cui il regista è conosciuto. Le storie che ha raccontato in precedenza raramente seguivano una sequenza cronologica tradizionale: flashback, salti temporali, vicende differenti si intersecano. Interni, ambienti urbani, paesaggi naturali vengono resi come emissari dello stato fisico ed emotivo dei suoi personaggi: così accadeva in Birdman (2014), quattro premi Oscar. Come del resto in Revenant (2015, tre premi Oscar) rumori, suoni “invisibili”, immagine non pulita, texture, luce naturale o alterata sono elementi onirici utilizzati come metafora della durezza del reale del mondo. Le tematiche sviluppate qui come in precedenza sono universali: immigrazioni, ingiustizie sociali, disuguaglianza, identità culturali.

Mexico 2000
C’è una seconda parte della mostra, in questo caso concepita dallo scrittore Juan Villoro (Città del Messico, 1956). Si sviluppa nello spazio superiore del Podium. All’interno di tre ambienti interconnessi appaiono immagini fotografie e ritagli di giornale “appiccicati” sulle pareti e raggruppati in gruppi tematici indicati con scritte “a mano”. Vale davvero la pena di munirsi delle cuffie offerte per ascoltare il racconta breve ma intenso che ne fa Villoro. Per chi non è mai stato a Città del Messico è un’indicazione imperdibile, per chi la conosce una riflessione gentile sulla straordinaria commedia umana che la caratterizza. Mexico 2000: The Moment That Exploded è lo specchio del disordine culturale, sociale e politico da cui è emerso Amores Perros. Il contributo di Villoro sottolinea le contraddizioni ed emergenze criminali di questa megalopoli di 9 milioni di individui (24 nell’area metropolitana) dove il 20% degli abitanti non ha fissa dimora, mentre chi ce l’ha per il 47% non ha acqua calda, ma al 97% possiede una televisione. Amores Perros che investiga i nuclei narrativi del dolore, del destino e della redenzione è arrivato nelle sale cinematografiche in un momento cruciale per la storia del Messico: alla vigilia delle elezioni presidenziali che hanno segnato la fine di settant’anni di governo del Partito Rivoluzionario Istituzionale noto tanto per il suo autoritarismo che per la sua corruzione. E a partire da quel momento l’atmosfera del paese è divenuta carica di un profondo desiderio di trasformazione. Anticipatrice di questi sentimenti, la pellicola di Iñárritu è stata acclamata dalla critica internazionale come un riferimento culturale assoluto.






Miuccia Prada su Iñárritu
Il progetto che ha esordito a Milano sarà in seguito presentato in diverse istituzioni di tutto il mondo: tra queste il centro culturale LagoAlgo di Città del Messico e il Los Angeles County Museum of Art. A questo proposito ecco come Miuccia Prada, Presidente e Direttrice di Fondazione Prada nel testo del libro Amores Perros copubblicato con MACK, dà conto del senso di questa impresa: “Il progetto Sueño Perro è la terza collaborazione tra Fondazione Prada e Alejandro González Iñárritu dopo le rassegne Flesh, Mind and Spirit, tenutesi a Seul e a Milano, e l’installazione di realtà virtuale CARNE y ARENA, presentata a Cannes e a Milano nel 2017 (…) Uno degli obiettivi centrali del nostro lavoro è partecipare a progetti che abbiano significato e risuonino con le urgenze del nostro tempo (…) Amores Perros è un film complesso, tanto dal punto di vista tecnico quanto per la struttura narrativa e la ricchezza dei suoi contenuti. Pone lo spettatore a confronto con una società attraversata da contrasti estremi, in cui realtà opposte coesistono e si sfiorano di continuo. Da un lato il Messico della povertà, dell’economia informale e della sopravvivenza quotidiana; dall’altro quello dello sviluppo economico e dell’accumulo di ricchezza da parte di chi ha potuto, o saputo, costruire il proprio percorso. Il destino dei protagonisti si incrocia in un incidente drammatico che segna una svolta nelle loro vite; un evento tanto straordinario quanto quotidiano nel caos di una megalopoli in costante movimento, dove la precarietà è la norma, la violenza spesso l’unico linguaggio possibile, e dove, nonostante tutto, sopravvivono sogni, desideri e legami affettivi, fragili ma ancora presenti. In filigrana, il film lascia emergere la fine delle grandi ideologie, l’affermarsi dell’individualismo, la pressione del consumo e la crescente pervasività dei media, delineando il ritratto lucido e inquieto di una società in transizione”.
Aldo Premoli
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