Bambini tra i rifiuti tossici: lo scatto vincitore del Concorso di Fotografia di Latina è un ritratto del presente che non vogliamo vedere
Muhammad Amdad Hossain ha portato uno scatto potente, che mostra l’energia disperata e tenace delle persone costrette a sopravvivere tra fumi tossici e macerie. Lo abbiamo intervistato

Bambini che rovistano in una montagna di spazzatura tossica, alla ricerca di qualcosa da rivedere per pochi spiccioli e tirare avanti. È con uno scatto fortissimo, e di drammatica attualità, che il fotografo Muhammad Amdad Hossain ha vinto la terza edizione del Concorso Internazionale di Fotografia Città di Latina, andato in scena alla fine di maggio. L’autore, originario del Bangladesh e piuttosto affermato nell’ambiente della fotografia internazionale, è stato selezionato (da una giuria composta da Fabio Bucciarelli, Chris Knight, Lucia Spagnuolo e il nostro Massimiliano Tonelli) proprio per la forza della sua opera Survival amidst pollution, dai forti connotati ambientalisti e politici. Gli abbiamo chiesto di raccontarci questo scatto e il suo significato.

L’intervista al fotografo vincitore del Concorso Internazionale di Fotografia Città di Latina
L’opera con cui hai vinto il concorso è un ritratto potente di una situazione drammatica: dove è stata scattata la fotografia?
La foto è stata scattata in una delle più grandi discariche di Chattogram, Halishahar, in Bangladesh, dove viene portata e ammucchiata quasi tutta la spazzatura della città. Centinaia di raccoglitori di rifiuti per strada – per lo più bambini e anziani – rovistano ogni giorno in questo luogo tossico alla ricerca di materiali di scarto da rivendere.
Qual è la situazione delle persone che vivono e lavorano qui?
Le condizioni di lavoro sono estremamente rischiose. L’esposizione a gas mortali, acqua contaminata e rifiuti taglienti e pericolosi è incessante, ma i lavoratori non hanno dispositivi di protezione individuale e vengono pagati a malapena per sopravvivere. Vivono tutti nelle vicinanze, in baraccopoli con scarso accesso a cure mediche, acqua pulita o istruzione. Questa foto cerca di attirare l’attenzione sui problemi gravemente trascurati dell’ingiustizia ambientale e dei rischi per la salute sul lavoro. È una prova pittorica della sofferenza di individui vitali per la rete di raccolta rifiuti della città, ma che vivono e lavorano in contesti forse i più disumani che si possano immaginare. Con questa foto, spero di suscitare maggiore consapevolezza, empatia e una richiesta di cambiamento.
In passato hai scattato foto tragiche di alluvioni, montagne di rifiuti e altri effetti della crisi ambientale: pensi che l’arte debba essere (o sia inevitabilmente) politica?
In effetti, credo che l’arte, e la fotografia in particolare, sia politica nel momento in cui parla alla realtà. La fotografia è per me uno strumento di narrazione e anche di attivismo. Catturando alluvioni, inquinamento e sfollamenti, mi rivolgo in realtà alle strutture politiche ed economiche che rendono possibili tali crisi. L’arte può essere uno strumento per denunciare le ingiustizie, stimolare la consapevolezza e avviare dibattiti. Non si tratta solo di bellezza; si tratta di empatia, verità e impatto. Quindi, sì, l’arte può e dovrebbe essere politica quando si occupa delle vite delle comunità povere e delle attuali problematiche del nostro mondo.










Dare voce a chi non ce l’ha, senza etichette: la fotografia di Muhammad Amdad Hossain
Molte delle tue foto raccontano storie di sopravvivenza, mentre altre raccontano storie di resilienza, forza e bellezza: come comunichi le difficoltà e le disuguaglianze del Bangladesh senza vittimizzare la sua popolazione?
È un aspetto a cui sono costantemente attento. Cerco di fotografare con grande empatia e comprensione, non di ritrarre mai i miei soggetti come vittime, ma come individui dotati di forza, dignità e umanità. E anche nelle situazioni più orribili, c’è speranza, c’è bellezza e c’è resilienza: ed è questo che cerco di documentare.
Come ti muovi?
Trascorro del tempo con le persone che fotografo, ascolto le loro storie e cerco di guadagnarmi la loro fiducia. Non cerco pietà, ma menti aperte. Voglio che il mondo li incontri come esseri umani, non come statistiche o tragedie, ma come esseri umani il cui coraggio e il cui spirito ispirano tutti noi.
La fotografia per Muhammad Amdad Hossain, vincitore del Concorso di Fotografia di Latina
Come hai scelto il mezzo fotografico e qual è la tua esperienza con questa e altre forme artistiche?
Sono sempre stato affascinato dalla fotografia, soprattutto come mezzo per catturare emozioni e documentare il mondo che ci circonda. Da bengalese, ho assistito a tante storie intense che si svolgevano intorno a me: di lotta e sopravvivenza, ingiustizia e speranza. La fotografia mi ha offerto un modo per catturare quei momenti e trasmetterli agli altri. Lungo il percorso, ho provato la scrittura e altre forme d’arte, ma la fotografia è sempre stata per me il mezzo più istintivo ed efficace. Unisce l’immaginazione visiva alla comunicazione umana e mi permette di comunicare messaggi in tutte le lingue e oltre i confini. La fotografia non è solo un lavoro per me: è una vocazione, una voce per chi non ha voce e un costante viaggio di scoperta, sentimento e visione.
Giulia Giaume
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