La grande etologa amica degli scimpanzé ha parlato a Milano di speranza e trasformazione
Alla Fabbrica del Vapore, la grande studiosa buddista Jane Goodall, celebre per le sue esperienze di vita a contatto con gli animali, racconta al pubblico una lezione importante che dimostra come si possa imparare dalla saggezza della natura e trovare la speranza anche nella situazione ambientale odierna così difficile

La grande etologa, primatologa e naturalista britannica Jane Goodall è intervenuta domenica 25 maggio scorso al festival buddista Vesak presso la Fabbrica del Vapore a Milano. Novantun anni compiuti e una grande energia, uno sguardo dolce e determinato, una resilienza tipica di chi è abituata a non arrendersi. La dottoressa Goodall è ancora oggi una paladina che lotta per un futuro migliore che ogni giorno sembra più lontano ed irraggiungibile. Nel corso del suo incontro ha ricordato il suo lungo percorso umano e professionale, dall’Inghilterra della Seconda Guerra Mondiale fino al suo arrivo in Africa; gli anni in Tanzania, la scoperta di inaspettati comportamenti animali e quella dell’umanità laddove sembrava ormai impossibile ritrovarla. L’impossibile per Jane Goodall sembra essere un limite mobile, un parametro arbitrario definito più dalla nostra capacità di lottare più che un limite oggettivo.
Jane Goodall sul palco del festival buddista Vesak alla Fabbrica del Vapore di Milano
Jane Goodall sale sul palco con la leggerezza di chi porta con sé la serenità di aver raggiunto uno stato di grazia ottenuto dalla lunga esperienza di campo, lontano dalle scrivanie del mondo accademico. L’umanità che trasmettono i suoi occhi azzurri sorridenti è un inno alla resilienza e alla responsabilità delle nostre piccole azioni quotidiane. Sul palco della Fabbrica del Vapore, la folta platea ammutolisce incantata di fronte alle sue gentili parole. Eppure, l’elegante accento inglese di Jane non riesce a nascondere la rivoluzionaria portata della sua esperienza di vita.
Le prime esperienze in Africa di Jane Goodall
È il 14 luglio 1960, quando la ventiseienne londinese sbarca a Gombe Stream, sulle rive del lago Tanganica. Sono passati pochi giorni da quando sua madre l’ha lasciata sola ad indagare gli scimpanzé su mandato di Louis Leakley. Li osserva da lontano, senza disturbarli. Dopo poche settimane, è “David Greybeard” – il primate dal pelo argentato sul mento – che inizia ad avvicinarsi, dapprima con soggezione e in seguito con sempre maggiore confidenza. Lo scimpanzé la lascia entrare nella sua quotidianità e le mostra il suo segreto più prezioso: lui sa “pescare” le termiti all’interno degli alberi con un semplice rametto.
A contatto con gli scimpanzé una scoperta rivoluzionaria
David prende un ramoscello, toglie le foglie affinché sia ben affusolato e possa entrare più in profondità all’interno del nido di termiti. Quell’istante demolisce le certezze della comunità scientifica: se uno scimpanzé è in grado di usare uno strumento, allora bisogna rimettere in discussione tanto la definizione di “strumento” quanto quella di “umano”. La scoperta scuote le fondamenta della scienza, allora legata al concetto di essere umano come unica creatura intelligente e degna di rispetto del pianeta Terra. Si tratta di una rivoluzione Copernicana, che ha rimosso l’essere umano dal centro non solo del cosmo o del sistema solare ma addirittura del suo stesso pianeta. Non siamo gli unici esseri viventi ad avere tecnologia, cultura, ad usare strumenti o ad essere creativi. Non esiste altro che uno spettro continuo dalla materia inanimata alla nostra coscienza, e siamo tutti parte di un comune ecosistema.

La nascita del Jade Goodall Institute
Ma le parole sono il principio di un’operativa e pragmatica presa di responsabilità. Ecco perché è nato dunque il Jane Goodall Institute, con programmi come Tacare, la rete di sviluppo comunitario intorno al parco naturale del Gombe in Tanzania che prende il nome dal verbo inglese “take care”, “preoccuparsi”: grazie a questa iniziativa aree un tempo sterili tornano a fiorire; villaggi di cento abitanti, grazie a micro-prestiti rimborsati al 95 %, sono rinati, mentre i bambini imparano che un seme piantato oggi è un futuro condiviso. Nel 1991 è nato poi Roots & Shoots “radici e germogli”, un movimento che oggi conta centocinquantamila membri in oltre settantacinque Paesi. Sono adolescenti di Pechino, Kiev (ultimo progetto messo in piedi in una realtà estremamente complessa), Ramallah e Khartum, guidati da un principio semplice e rivoluzionario: progettare interventi concreti per Persone, Animali, Natura, garantendo a ognuno la libertà di dedicarsi al progetto che più sentono vicino al loro cuore.
I simbolici peluche di Jane Goodall
Nelle sue seguitissime conferenze, Jane Goodall ama circondarsi di peluche di animali per stemperare la sua narrazione con un tocco di ironia. Eppure, ognuno di loro ha una straordinaria storia da raccontare. C’è ad esempio un curioso scimpanzé dotato coda (gli scimpanzé in realtà ne sono privi). Jane lo chiama signor H e gli è stato regalato trentatré anni fa da un caro amico: Gary Haun, che incarna come pochi l’idea di uno spirito indomabile. Nato negli Stati Uniti e arruolatosi giovanissimo nei Marines, Gary condusse una vita normale fino a che, a ventun anni, perse la vista. In un colpo solo il suo mondo divenne buio, e molti avrebbero ceduto alla disperazione. Lui no.
La storia di Gary Huan
Invece di rassegnarsi, Gary decise di riscrivere le regole del possibile. Da sempre affascinato dalla magia, trasformò quel sogno in realtà: imparò l’arte della prestidigitazione affidandosi a udito, tatto e memoria muscolare. In teatro, tra “carte invisibili” e monete che “appaiono dal nulla”, mostra con ogni esibizione che la magia non dipende dagli occhi, ma dalla volontà di stupire. Gary è la dimostrazione vivente che, come dice Jane, “people who would not give up eventually succeed”. Un altro peluche è un piccolo ratto, emblema dei cosiddetti HeroRATs, ratti africani dall’olfatto prodigioso, disinnescano in venti minuti mine antiuomo che sarebbero costate ore a un artificiere in camicia ignifuga.
La lezione di “Pig-casso” sulla creatività
E quando le cronache scientifiche sembrano incapaci di stupirci, ecco il peluche di un porcellino che ricorda lo straordinario talento di Pig-casso, la scrofa sudafricana che, salvata all’ultimo istante dal macello, ha scoperto un pennello e ha cominciato a dipingere astratti capaci di essere esposti in mostre a Cape Town, nella celeberrima Oink! del 2018, nei Paesi Bassi (2021), Germania (2022), Regno Unito (2023) e Cina (2023-2024). Con un milione di dollari raccolti per sostenere rifugi animali, Pig-casso ha dimostrato che non esiste confine netto tra intelligenza umana e non umana, se il solo metro che conti è la capacità di creare bellezza.
I risvolti pragmatici delle conferenze di Jane Goodall
Sono tutti esempi coloriti e originali che attirano l’attenzione del pubblico, che segue l’intervento quasi ipnotizzato dalla carismatica figura di Jane. Eppure nelle conferenze della dottoressa Goodall c’è sempre un risvolto pragmatico, una chiamata all’azione. Ed è per questo che durante la conferenza è stato chiamato sul palco il team del Jane Goodall Institute italiano. Le iniziative portate avanti dal JGI Italia rappresentano la prosecuzione degli ideali della sua fondatrice. Qualche esempio? Nel 2022, il censimento condotto dall’Istituto ha tracciato una mappatura precisa degli scimpanzé in cattività sul nostro territorio: trentasette esemplari distribuiti in sette strutture, dal Bioparco di Roma al Safari di Ravenna, fino al Bioparco di Sicilia. Nessuna accusa di maltrattamento per i custodi, spesso sinceramente affezionati, ma un dato che non ammette imbarazzi: solo poche di queste sedi rispettano gli standard più elevati riconosciuti a livello internazionale.
Il provvedimento sui requisiti minimi per la gestione in cattività degli scimpanzé
Da questa constatazione è nata l’idea di un gesto altrettanto ambizioso: nel 2020 Daniela De Donno, biologa, collaboratrice di Goodall dagli anni Novanta e oggi presidente del JGI Italia, ha redatto un articolato tecnico da allegare al Decreto Legislativo 73/2005, quello che recepisce la direttiva europea sugli zoo. In quel documento, che attende il sigillo degli uffici legali del Ministero dell’Ambiente, si definiscono “Criteri e requisiti minimi per la gestione in cattività delle Grandi Scimmie Antropomorfe”. Spazi capaci di stimolare la mente dei primati, microclimi su misura, zone d’ombra e barriere visive per garantire privacy: la proposta è studiata in ogni dettaglio per difendere il diritto delle scimmie a vivere in gruppi sociali integri, vietando la separazione forzata dei nuclei familiari e ponendo il loro benessere emotivo al di sopra di qualunque esigenza di ricerca genetica. Questo progetto, accolto senza obiezioni da tutti i ministeri competenti, giace ormai da mesi negli uffici legali in attesa della firma che lo trasformerà in decreto: un passaggio puramente amministrativo, che però rischia di arenarsi nei meandri della burocrazia tanto quanto è già accaduto per il divieto delle gabbie negli allevamenti intensivi o per la tutela dei cetacei nei delfinari.
I progetti in Tanzania del Jane Goodall Institute
E l’istituto Jane Goodall Italia ha anche degli splendidi progetti in Tanzania, come la Sanganigwa Children’s Home nei pressi di un luogo mitico per la storia di Jane Goodall: il parco delle sorgenti del Gombe, nella regione di Kigoma. In Italia il JGI è attivo anche in un settore chiave per la sostenibilità ambientale e la tutela delle risorse naturali nel continente Africano. Molte tensioni geopolitiche infatti si accumulano nei luoghi ricchi di “terre rare”, materiali estremamente ambiti dalle multinazionali della tecnologia per la loro capacità di immagazzinare energia. Un esempio è il Coltan, un materiale per la cui estrazione molto si è discusso. Per questo motivo, la JGI Italia è attiva nel riciclo dei cellulari usati: il riutilizzo delle terre rare che gli utenti finali (noi stessi) possono contribuire a garantire è infatti un elemento chiave per ridurre la pressione nei martoriati territori di estrazione. Come spiega Daniela De Donno: “L’Istituto Jane Goodall Italia coinvolge i giovani in Italia come in Tanzania mettendoli al centro di iniziative di successo che migliorano le comunità. I progetti realizzati dai ragazzi sono la dimostrazione che dando loro spazio e guidandoli all’osservazione è possibile sovvertire l’indifferenza e così generare un cambio di passo divenuto ormai indispensabile”.
Alla Fabbrica del Vapore di Milano di parla di speranza come strumento di trasformazione
È questo, in fondo, il punto cruciale: la speranza non è un sentimento etereo da declamare in conferenza, ma un fattore causale, uno strumento di trasformazione con effetti misurabili. La prova è nelle foreste che rifioriscono, nei micro-prestiti che ridisegnano destini, e nei ragazzi che, armati di post-it e fotocamere, cambiano i loro quartieri. Quando Jane Goodall ha osservato con i propri occhi quello che stava accadendo, con la povertà che dilagava e la natura che veniva devastata a detrimento del futuro comune, non ha più potuto accontentarsi di essere “soltanto” una scienziata ed è diventata un’attivista. Ed è così che Jane Goodall si è decisa a fondare un’istituzione che ha saputo cambiare la vita a numerose persone a rischio di esclusione sociale e a recuperare intere zone a rischio di deforestazione.
Cambiare il mondo toccando il cuore delle persone. Ecco il segreto di Jane Goodall
Ma come si fa a cambiare il mondo, ci si può chiedere? La risposta di Jane Goodall è semplice e disarmante: “si cambia la gente toccando il loro cuore”. E questo richiede un impegno costante e continuo, prendendosi cura dell’essere umano e della natura allo stesso tempo: take care, appunto. In un ecosistema interconnesso non si può separare la felicità dell’essere umano dalla biodiversità vegetale e animale che lo circonda. Solo così, conservando caparbiamente la speranza e traducendola in azione reale, con lucidità e capacità di discernimento, potremo davvero dire di aver fatto la nostra piccola, grande parte in questo bellissimo e delicato Pianeta che abbiamo la fortuna di poter chiamare casa.
Thomas Villa
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