Biennale Updates: Ai Weiwei mette in scena la sua Via Crucis. E nella chiesa di Sant’Antonin arriva anche Gao Ying, madre dell’artista, commossa davanti all’opera che esorcizza la detenzione del blogger

L’hai vista centinaia di volte, ritratta senza soluzione di continuità da quasi duemila anni a questa parte. La conosci sublime nel marmo di Michelangelo e livida nei toni eterei del Pontormo, ma non ti è mai capitato di percepirne in maniera così chiara e vibrante l’intima ed eterna disperazione. Chissà quanto volontaria e inconsapevole è […]

L’hai vista centinaia di volte, ritratta senza soluzione di continuità da quasi duemila anni a questa parte. La conosci sublime nel marmo di Michelangelo e livida nei toni eterei del Pontormo, ma non ti è mai capitato di percepirne in maniera così chiara e vibrante l’intima ed eterna disperazione. Chissà quanto volontaria e inconsapevole è stata la scelta di Ai Weiwei, chissà quanto calcolo e quanta casualità hanno concorso alla messa in scena di quella che suona – a tutti gli effetti – come una cruda e tenera Pietà contemporanea.
Venezia: la chiesa di Sant’Antonin ospita S.A.C.R.E.D., intervento site specific che mette in scena – per la prima volta – la personalissima Via Crucis del blogger dissidente, con diorami stile Sacro Monte ingabbiati in monolitici scatoloni di ferro alla Richard Serra. Fenditure chirurgiche nelle pareti inquadrano, impietose, fotogrammi ideali degli ottantuno giorni passati dal nostro nelle carceri cinesi. Primo mistero doloroso: Ai Weiwei viene imprigionato. Secondo mistero: l’artista costretto a defecare davanti ai suoi carcerieri. Terzo mistero: l’interrogatorio. E via dicendo.

Non è una performance, ma è come se lo fosse. Perché l’arrivo di Gao Ying, madre dell’artista, trasforma l’opening in un evento altro, ricalibrando in maniera totale la tensione emotiva dell’opera. La donna passa in rassegna, uno dopo l’altro, tutti i blocchi di ferro; spinge lo sguardo nelle feritoie e passa oltre, con un incedere che si fa ad ogni passo più incerto, stanco, sfibrato. C’è composta e decorosa commozione; e c’è stordimento sotto la doverosa ma fredda salve di flash da parte dei fotografi. C’è il rinnovarsi del millenario dolore di una madre, inerme davanti alla scala di sofferenza e privazione cui è sottoposto il figlio. C’è mistero ed empatia. Ed è qui, forse più che nell’opera in sé, il capolavoro di Ai Weiwei.

– Francesco Sala


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Francesco Sala è nato un mesetto dopo la vittoria dei mondiali. Quelli fichi contro la Germania: non quelli ai rigori contro la Francia. Lo ha fatto (nascere) a Voghera, il che lo rende compaesano di Alberto Arbasino, del papà di…

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