La factory dei Brueghel. Alle origini della borghesia

In un momento storico in cui la classe media appare in contrazione, una mostra racconta alcuni momenti decisivi per la sua nascita. La dinastia dei Brueghel ne rispecchia le sorti. Fiorita ad Anversa, capitale dei commerci a metà Cinquecento, prende le mosse proprio da quel mondo in transito dal feudalesimo all'era moderna, dalla servitù della gleba all'emancipazione della prima borghesia.

Cent’anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, la pittura di Pieter Brueghel il Vecchio appare ancor di più come qualcosa di rivoluzionario: è vitale, grottesca e mondana. Descrive la nuova situazione dell’umanità che, dopo l’oscurantismo del Medio Evo e con la riforma protestante in atto nelle Fiandre del XVI secolo, si ispira all’uomo della polis greca o della Roma antica. La trasformazione della sua bottega d’arte in un marchio di fabbrica vitale e longevo (cinque generazioni e 150 anni di durata fanno dello studio ipertrofico di Jeff Koons un degno epigono) offrirà un esempio di continuità sostenuta anche dal fatto che i suoi temi, le sue intuizioni e il suo stile saranno fonte d’ispirazione e guida per i discendenti, inclusi cognati e generi acquisiti, artisti anch’essi. Ciascuno di loro si concentrerà spesso su uno dei filoni indicati dal capostipite, in conformità con il dettato moderno della specializzazione: Abraham Brueghel si dedicherà alle nature morte, Jan Brueghel il Vecchio ai velluti, Marten van Cleve ai matrimoni contadini.

PITTURA E BORGHESIA

A un certo punto nel primo Brueghel nasce il desiderio di ritrarre la vita del popolo, gesto che annuncia il realismo nella pittura europea. È una decisione originale: descrivere dettagliatamente la vita contadina e le scene di una vita proto-borghese che cresce ad Anversa. Una nuova committenza si sta costituendo, alimentandosi delle ricchezze provenienti dall’Oriente. Il tulipano giunto dall’Asia Minore diventa fiore nazionale e, nel 1637, determinerà la prima bolla speculativa e la prima crisi finanziaria. Anche gli animali esotici finiscono nei quadri dei Brueghel, degno corollario di una curiosità scientifica che dalle Wunderkammer principesche si sposta nei salotti di mercanti e professionisti.
La nuova classe borghese, alla quale i Brueghel stessi appartengono e che sarà destinata a dominare il mondo per il mezzo millennio successivo, è in decisa ascesa nell’Anversa di metà Cinquecento. La città è una metropoli colta e tollerante; conta oltre centomila abitanti e pullula di artisti e artigiani. L’industria degli arazzi e delle incisioni (prima forma della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte) fa il paio con la finanza nascente. Tommaso Moro inscena qui il dialogo che avviene su Utopia, immaginando una riduzione dell’orario di lavoro finalizzato alla crescita culturale delle masse cittadine.

Pieter Brueghel il Vecchio e bottega, La Resurrezione, 1563 ca.. Collezione privata, Belgio

Pieter Brueghel il Vecchio e bottega, La Resurrezione, 1563 ca.. Collezione privata, Belgio

BOSCH-BRUEGHEL-WARHOL

La nuova forza economica è in cerca della propria arte e la dinastia Brueghel è pronta a dargliela. La statura ingigantita del paesaggio pone la natura in primo piano, al posto del sacro; i fiori delle nature morte celebrano più la vanità ottimistica del benessere che la caducità dell’esistenza. Nei salotti borghesi, che sostituiscono le navate delle chiese, l’arte deve consolare, affascinare e divertire. L’umorismo e l’ironia di Brueghel sono quasi warholiani; anche lui, come accadrà secoli dopo a Andy Warhol, sembra voler parlare la lingua e celebrare le gioie mondane dei suoi contemporanei. Se Hieronymus Bosch, da cui Pieter Brueghel il Vecchio trae ispirazione al punto che lo chiameranno “il secondo Bosch”, può considerarsi il primo pittore surrealista, allora Pieter può definirsi il primo artista pop e la sua “factory” dirsi anche più prolifica di quella di Warhol.
La mostra che ne spiega la statura e il ruolo, ora ospitata alla Reggia di Venaria, è stata già vista da oltre un milione di visitatori in sei città del mondo tra cui Como, Roma e Bologna; una mostra blockbuster composta da oltre cento opere, quasi tutte provenienti da collezioni private (molte da Belgio e Fiandre) e di cui una buona parte considerabili come minori. Quella che sembra una debolezza, però, permette di cogliere lo spirito del tempo, lo Zeitgeist in cui operano i primi Brueghel. Al di là di diversi capolavori immancabili, le opere di piccolo formato (incluse alcune incisioni di cui Pieter è maestro riconosciuto e che serviranno a diffonderne la fama) rendono il senso dell’innovativa dimensione, anche fisica, che sta pervadendo certa arte al momento della nascita della borghesia europea. Le case dalle pareti piccole devono ospitare quadri di formato ridotto, il che spinge l’artista a innovare soggetti e stili. La mostra indica anche la nascita di un diffuso mercato dell’arte che giunge idealmente intatto fino a noi.

Pieter Brueghel il Giovane, Le sette opere di misericordia, 1616. Collezione privata, Belgio

Pieter Brueghel il Giovane, Le sette opere di misericordia, 1616. Collezione privata, Belgio

DAL PASSATO AL PRESENTE

A questa borghesia allora nascente si deve la storia degli ultimi secoli, inclusa la Rivoluzione Francese, i diritti dell’uomo e il suffragio universale. E oggi che questa specie appare in pericolo le opere dei Brueghel possono tornare utili come le fotografie d’infanzia; possono introdurci in quel tempo, quando con un primo boom economico apparve un mondo che era già il nostro: concreto, solido ed eccitato; celebrato da una popolo chiassoso, festante e un poco ridicolo, che esulta beato al sopraggiungere della ricchezza prodotta dai commerci. I contadini che danzano ubriachi fanno da contraltare alle allegorie dei vizi, timidi inviti alla moderazione. Pieter Brueghel il Vecchio intuisce la forza di questo mondo nascente e ne celebra la profana quotidianità avendo in mente, forse, la convinzione calvinista, secondo la quale la ricchezza materiale e il successo negli affari (specie quelli d’arte) sarebbero la prova incontrovertibile, per l’individuo, della benevolenza di Dio e della propria elezione divina.

Nicola Davide Angerame

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Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame

Nicola Davide Angerame è filosofo, giornalista, curatore d'arte, critico della contemporaneità e organizzatore culturale. Dopo la Laurea in Filosofia Teoretica all'Università di Torino, sotto la guida di Gianni Vattimo con una tesi sul pensiero di Jean-Luc Nancy, inizia la collaborazione…

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