Mediazione culturale e musei. Il Centre Pompidou si racconta a Venezia

Lo scorso 24 novembre, il Teatrino di Palazzo Grassi, a Venezia, ha fatto da cornice all’incontro con Patrice Chazottes, direttore dei servizi al pubblico del Centre Pompidou, accompagnata dal suo team. Nell’ambito del progetto Grand Tour, incentrato sulla mediazione culturale e su una serie di interventi ad alto contenuto creativo, come quello di Dale Murdock, l’artista-scultore noto per le sue installazioni di sabbia, che abbiamo intervistato.

La direzione pubblici servizi della mediazione culturale presso il Centre Pompidou ha descritto, confrontandosi con i colleghi di una trentina di musei italiani, nell’ambito del progetto Grand Tour organizzato da Palazzo Grassi, come affronta la questione dei servizi pubblici in tema di accoglienza, sviluppo del pubblico, mediazione culturale. Proprio nell’anno in cui l’istituzione parigina compie il suo quarantesimo anniversario, sempre al passo coi tempi.
Quando si tratta di progetti e di attività siamo tutti coinvolti: museo, pubblici, artisti”. Insomma, il potere della mediazione si massimizza con l’ibridazione, sostiene Patrice Chazottes, direttore dei servizi al pubblico del Centre George Pompidou con il suo team, rappresentato qui da Isabelle Frantz-Marty, Fanny Serain, Julie Gravier.
Il loro intervento, informale e vivace, ha enucleato e condiviso metodi, strumenti e i loro presupposti; fra gli strumenti preme sottolineare, perché non è sempre stato così, che il  Centre Pompidou si occupa molto di digitale: fra le proposte per i bambini da segnalare, per cura e riuscita, la web series Mon oeil, disponibile sul sito dell’istituzione e l’apertura recente dello spazio La Fàbrique, Atelier des enfants, con tanto di blog Tumblr e possibilità di acquistare i biglietti online.
La ricetta del successo delle proposte per i bambini è che piacciono, e sono gradevoli, anche per i genitori. Bisogna adeguarsi alle prassi d’uso, anche social e digital, guardando avanti, senza pre-correre”.
Le iniziative per il pubblico giovane sono ideate per essere poco “problematiche” dal punto di vista della gestione dei genitori: hanno durata e orari pianificati, continuativi ed elastici perché: “Adattarsi alla società contemporanea significa anche far durare i laboratori per bambini un lasso di tempo sensato, essendo consapevoli che a Parigi la vita è difficile”.
Invece, sul target più misterioso e sfuggente per i musei, i teens, il team dell’istituzione francese esprime una posizione peculiare: “Per gli adolescenti abbiamo deciso di non metterci in competizione con tutto il digitale che li circonda per cercare qualcosa di più forte, fuori dallo smartphone; la chiave per conquistare anche gli adolescenti è essere rispettosi, accoglienti e generosi, come quando si invita qualcuno a cena”.
E qui non si può non pensare alle iniziative messe a punto dall’istituzione che, non a caso, ospita questo dibattito, Palazzo Grassi, con Palazzo Grassi Teens e Detto tra noi, progetti volti all’ascolto e alla partecipazione dell’adolescente.

Il sito del Centre Pompidou a misura di bambino

Il sito del Centre Pompidou a misura di bambino

UN MUSEO ITINERANTE

Ma ciò che certamente ha generato la sorpresa più grande è stata l’attività itinerante del museo parigino: intenzionato a entrare in contatto con tutte le parti del Paese, il Centre Pompidou crea esperienze anche all’interno di spazi non convenzionali, al di fuori dei confini fisici dell’istituzione. Ha recentemente vinto una gara per allestire uno spazio di 1500 mq all’interno di un centro commerciale nei pressi di Ginevra; “La cultura è questo: una diversità di approcci, che prescinde a volte dall’opera, per farsi esperienza, performance, approccio misto, multiprospettiva”, molto differentemente da quanto non accada in Italia.
Grazie allo schema di approccio globale del Centre Pompidou, le energie iniziali di ciò che si realizza a Parigi si diffondono, replicano e potenziano in tutta la Francia”, insomma l’istituzione ha allargato la griglia di approccio sulla mediazione per rendersi disponibile a richieste varie, e sì, anche a quelle di un’azienda o di un centro commerciale.

NON SOLO OPERE

Da una collega del dipartimento di educazione di HangarBicocca arriva la domanda chiave a Patrice: “La vostra mediazione sembra essersi svincolata dall’opera, la presenza della quale per noi è cardine; come fate?”. La posizione francese è netta: “L’importante è la pratica artistica, l’esperienza fattiva; non sarebbe possibile costruire workshop con questa diffusione sempre intorno all’opera”.
La mediazione per Patrice Chazottes è un’attività che si mette alla prova coi pubblici poveri di cultura generale e occasioni; le attività del museo devono esser proposte in ottica inclusiva, non segmentante isolando differenze. Il Centre Pompidou esce dal museo e si reca in zone difficili, sul territorio periferico. Un museo non stanziale, ma mobile. Si reca dove serve.
“La cultura è questo” – continua Chazottes ‒ “una diversità di approcci, che prescinde a volte dall’opera, per farsi esperienza, anche performance, approcci misti, multiprospettiva”.
Il museo mobile, uno dei progetti più forti, è proprio questo: una giostra, una sorta di circo, che si muove per il Paese in zone depresse, con programmi culturali co-progettati insieme alle istituzioni locali.
Pare che Patrice Chazottes e il Centre Pompidou abbiano risolto all’insegna della mediazione rispetto ai musei nostrani, e in modo indolore, perfino il rapporto con il digitale, così come il superamento dei confini fisici del museo e delle sue proposte. O, più probabilmente, si tratta di due scelte correlate. A Palazzo Grassi il merito di aver organizzato un’occasione preziosa di confronto e ascolto.

Dale Murdock all'opera

Dale Murdock all’opera

INTERVISTA A DALE MURDOCK

Invitato ad animare il lungo weekend all’insegna del Grand Tour, lo scultore canadese Dale Murdock ha trasformato il foyer del Teatrino di Palazzo Grassi in un luogo di incontro e collaborazione, usando la creatività ‒ e quattro tonnellate di sabbia ‒ come materia prima.

Il suo lavoro al Teatrino di Palazzo Grassi si basa sulla partecipazione dei presenti. Crede che la scultura sia un buon medium per incentivare il coinvolgimento del pubblico?
La scultura è perfetta per interagire con il pubblico. È tridimensionale quindi ovviamente non è come un pezzo di carta, con il quale le mani andrebbero in direzioni opposte e si colpirebbero l’un l’altra. Si può lavorare insieme su diverse parti di una scultura. È uno dei medium più partecipativi che io conosca, che si tratti di un rilievo di una parete o di una scultura di sabbia o qualunque tipologia di scultura. Se si lavora insieme, ogni persona può partecipare concentrandosi su un altro lato della scultura perché è tonda, o semi-tonda. È una delle poche cose dove una famiglia o un gruppo può lavorare insieme sullo stesso progetto, con la stessa idea in mente.

Perché ha scelto la sabbia come materia prima dei suoi interventi?
La sabbia ha scelto me. Non ho scelto io la sabbia. Ho lavorato con l’argilla, studiando con Roland Brener all’Università di Victoria. Ho imparato come lavorare con materiali diversi. Visto che avevo usato l’argilla, era naturale che io provassi la sabbia. Ho iniziato a partecipare a diverse competizioni e a vincere. Quando poi sono stato invitato a lavorare in California, ero felice di essere pagato per fare questo tipo di lavoro fino a quando ho deciso di concentrarmi sulle mie creazioni. Non era molto interessante continuare a realizzare delle figure storiche o dei personaggi di cartone animati. Un’ultima cosa: la sabbia è molto flessibile e questa caratteristica mi piace molto.

La sabbia dà vita a installazioni effimere. Questo aspetto è una componente importante del suo processo creativo?
Sì, assolutamente. Così non devo preoccuparmi di fare esperimenti che nessuno vedrà mai! Posso creare qualcosa e se non va non è molto grave, ma, allo stesso tempo, se faccio qualcosa di meraviglioso e tu non sei presente non avrai mai l’occasione di vederlo. Ho delle fotografie, ma non rendono l’idea. Vedermi lavorare può essere interessante per il pubblico, però guardare delle immagini non ha lo stesso impatto rispetto a vedere la vera scultura. Per esempio avevo visto delle fotografie del Teatrino di Palazzo Grassi, ma quando sono entrato sono comunque rimasto colpito. È la stessa cosa con la scultura. Avevo visto delle fotografie delle opere di Damien Hirst, ma quando le vedi di persona sono molto più impressionanti. Questo è vero anche per le sculture di sabbia: la dimensione non è importante, la qualità sì.

Maria Elena Colombo e Arianna Testino

www.centrepompidou.fr
www.palazzograssi.it

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