Biennale Danza. A Venezia è sempre più College

Dall’imminente programma del 12. Festival di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia sembrano emergere soprattutto i lavori del College per giovani interpreti e nuovi creatori. A riprova dell’importanza della formazione per un cambio generazionale che dovrà pretendere anche più necessarie idee curatoriali.

Venezia è sempre più città di formazione per le arti performative dal vivo, ed è un gran bel segnale: se da una parte l’università IUAV è diventata un polo di riferimento con il felice avvio di una nuova laurea specialistica in Teatro e Arti Performative (ma anche di laboratori, workshop e seminari teorici sulla danza e la performance a livello di bachelor), i programmi estivi del College (Danza, Teatro e Musica) promossi da La Biennale di Venezia completano invece il quadro con svariate proposte, soprattutto di lavoro sulle pratiche. E, naturalmente, di incontro con i protagonisti della scena internazionale. È allora una meraviglia immaginare quanti studenti potranno partecipare infine alle proposte della Biennale.
Con uno sguardo ai nomi dei docenti di Biennale College Danza che in questi mesi stanno già preparando quindici danzatrici selezionate (tutte dai 20 ai 23 anni) e tre coreografe under 32, verrebbe voglia proprio di esserci. Come per il lavoro sulla drammaturgia con Guy Cools, o sulla regia con Simone Derai, e poi la Skinner Releasing Technique con Gaby Agis e con l’ottantenne Judith Koltai (ideatrice dell’Authentic Movement) non meno che con Linda Rabin e la sua esplorazione psicofisica delle vibrazioni prodotte dall’emissione di suoni, chiamata Continuum.
Da una parte, per la trasmissione del repertorio, le giovani danzatrici riallestiranno, dopo il Forsythe dell’anno scorso (e speriamo senza effetto di hybris), 24 Préludes de Chopin (1999) dal repertorio della stessa direttrice. È un pezzo favoloso, pieno di invenzioni che partono dalla musica e si dispiegano nel corpo degli interpreti su un piano di grande libertà formale. Le danzatrici lavoreranno anche a una nuova creazione di Daina Ashbee (Leone d’argento della scorsa edizione), mentre le tre nuove coreografe Maria Chiara De’ Nobili, Ezgi Gungor e Rebecca Jensen presenteranno tre inedite creazioni di una ventina di minuti ciascuna avendo a disposizione sette interpreti professionisti. Potendo assistere oggi ai lavori in corso, certamente si percepirebbe un’atmosfera da fucina, un clima produttivo, un ambiente in gran fermento sull’attivarsi dei processi creativi, sulla sperimentazione delle pratiche, sul confronto delle idee e delle scelte, sul farsi e disfarsi delle forme prima di un’ultima decisione.

Frédérick Gravel, Some Hope for the Bastards ©Stéphane Najman con L.Vigneault, F.Tavernini, D.Albert Toth, J.Wright

Frédérick Gravel, Some Hope for the Bastards ©Stéphane Najman con L.Vigneault, F.Tavernini, D.Albert Toth, J.Wright

IL PROGRAMMA

Resta infine il 12. Festival Internazionale di Danza Contemporanea in programma dal 22 giugno al 1° luglio. Dal titolo decisamente fisiologico, declinato in senso cosmogonico, ma in fondo con un effetto cosmetico: Respirare, una strategia e una sovversione, la direttrice Marie Chouinard ha allestito anche qui un programma prevalentemente didattico. Non senza qualche più che felice scelta, come ad esempio il Leone d’oro all’americana cinquantenne Meg Stuart, immensa performer che ha fatto della scena lo spazio della dissociazione di ogni processo creativo; e il Leone d’argento alla capoverdiana Marlene Monteiro Freitas. Vi saranno anche la leggendaria coreografa e pedagoga Deborah Hay con il suo lavoro per il Cullberbaletten, Xavier Le Roy con il suo esplicativo Le Sacre du printemps (2007) e la object-oriented performer danese Mette Ingvartsen, in prima italiana con To come (extendend) (2005). Al crocevia fra teatro e musica si vedranno i “concerti-coreografici” di Frédérick Gravel (Some Hope for the Bastards, 2017), e Running Piece (2018) per danzatore e tapis roulant di Jacques Poulin-Denis. Infine, nel culto attualissimo della partecipazione, la pluripremiata americana Faye Driscoll presenterà Thank you for Coming: Attendance (2016), “capitolo primo di una serie di lavori “fatti per e con il pubblico””.

Faye Driscoll, Thank You For Coming Attendance ©Maria Baranova

Faye Driscoll, Thank You For Coming Attendance ©Maria Baranova

IL VECCHIO È IL VERO NUOVO

Per scelta Marie Chouinard non propone una sua idea di nuovo, ma riafferma il suo passato secondo l’implicito slogan: il vecchio è il vero nuovo. E bisognerà pure crederle: sono infatti in programma, in un’unica serata, ben più di due ore di suoi brevi lavori retrospettivi, ossia trenta Solos et duos che lei stessa ricorda essere “inscritti in un lungo e profondo processo creativo che si sviluppa per oltre quarant’anni”. Ci sarà allora da divertirsi.
Unico vero neo la quota insignificante, francamente d’ufficio, di creazioni di danza italiane: sono Francesca Foscarini e Irina Baldini (partecipante al percorso coreografi del College dell’anno scorso). Dunque non vi saranno altre ricadute in tanta Samarcanda. Un vero peccato: con tutta la bella danza contemporanea italiana in giro che c’è! Ma proprio questo sembra essere il punto: in giro occorrerebbe pure andarci.

Stefano Tomassini

www.labiennale.org/en/dance/2018

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Stefano Tomassini

Stefano Tomassini

Stefano Tomassini insegna Coreografia (studi, pratiche, estetiche), Drammaturgia (forme e pratiche) e Teorie della performance all’Università IUAV di Venezia. Si è occupato di Enzo Cosimi, degli scritti coreosofici di Aurel M. Milloss, di Ted Shawn e di librettistica per la…

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