Nove storie sulla tappezzeria. Lilly Reich e Mies van der Rohe

Sesto appuntamento con il ciclo di riflessioni di Luigi Prestinenza Puglisi sul concetto di tappezzeria, nell’ambito del dialogo tra architettura e arte. Stavolta il rapporto che lega la disciplina progettuale e il tessuto di rivestimento è davvero serrato e trova forma nell’opera di Lilly Reich, socia e compagna di Mies van der Rohe.

Adolf Loos era figlio di marmista. Le Corbusier faceva parte di una famiglia di decoratori di orologi. Il padre di Wright era un musicista fallito e fedifrago. Mi sono sempre chiesto se da qui discendano i caratteri dell’architettura contemporanea: l’ossessione per il monumentale, la precisione maniacale svizzera, la voglia di competere con le altre arti, in primis pittura, scultura e musica. E se non ne derivano, anche, i difetti che ben conosciamo: la algida idea di perfezione da lastra tombale, la petulante pignoleria per il dettaglio, il velleitarismo artistico.
E poi vi è l’ossessione per i vestiti. Dura sino a oggi, tanto che poche persone vengono tanto prese in giro per il loro modo di abbigliarsi quanto gli architetti. Dal farfallino alla canottiera nera di Armani, alle scarpe della Hadid. Sarebbe interessante ricostruire quanti provengano da famiglie di sarti. La madre di Louis Kahn, per esempio, mandava avanti la famiglia cucendo abiti. Ma l’ossessione, la metafora dell’architettura come vestito, senza scomodare Gottfried Semper, che sulla tessitura basò parte della sua teoria della tettonica, è ricorrente. La vertenza tra Adolf Loos e Josef Hoffmann è riducibile a una questione di abbigliamento. Per Loos l’abito, imponendo una maschera all’uomo contemporaneo, lo separa dagli oggetti che lo circondano, per Hoffmann l’opera d’arte totale trasforma ogni manufatto in un universo da decorare, in un oggetto da tappezzare.

Josef Hoffmann, Camera da letto, 1902

Josef Hoffmann, Camera da letto, 1902

CAMERE DA LETTO A CONFRONTO
Sembrerebbe così, ma, come ha dimostrato una mostra del 2014 al MAK di Vienna, organizzata da Christian Witt-Dörring e Matthias Boeckl, non lo è esattamente. A confronto due camere da letto: una disegnata nel 1902 da Josef Hoffmann per Johannes e Johanna Salzer e una realizzata, l’anno successivo, da Adolf Loos per lui stesso e la moglie Lina. Hoffmann inventa una decorazione bianco e marrone che armonizza il letto, gli armadi, il tappeto, le tende e, immaginiamo, anche il pigiama e la veste da camera dei padroni di casa. Da questo disegno totale, come ironizzò più volte Loos, non si riesce a evadere. E guai a pensare che vi possa comparire alcunché di dissonante, diverso, stonato. Sarebbe come inserire in una tappezzeria un altro pattern.
Loos per la sua camera da letto pensa, invece, a un ambiente neutro, con un tappeto in pelliccia bianco e un tendaggio, sempre bianco, in seta. È la negazione della tappezzeria di Hoffmann, la rivendicazione di una pura spazialità. Ma, proprio per questo, lo schema è non meno totalizzate. Provate, infatti, a inserirvi un quadro o un soprammobile. Impossibile.
Non vi sarà sfuggito che l’opera sembra prefigurare i capolavori dell’altro celebre figlio di marmisti, Mies van der Rohe. Le coincidenze sono inquietanti.

Lilly Reich - photo Ernst Louis Beck, 1933 - Bauhaus-Archiv

Lilly Reich – photo Ernst Louis Beck, 1933 – Bauhaus-Archiv

LILLY REICH E VAN DER ROHE
Ma, prima, dovete darmi un po’ di tempo per una digressione che ci permette di introdurre Lilly Reich, che di Hoffmann era stata allieva e di Mies van der Rohe divenne compagna, socia e amministratrice anche se Mies, che umanamente era un mostro, emigrato negli Stati Uniti e diventato celebre, la cancellò dalla propria storia
Lilly Reich era nata a Berlino nel 1885 e aveva lavorato dal 1908 al 1911 alla Wiener Werkstatte. Ritornata a Berlino fu coinvolta nel Werkbund, diventandone uno dei punti di riferimento e specializzandosi nell’organizzazione e realizzazione di mostre. Contribuì a quella celeberrima di Colonia del 1914 dove si scontrarono van der Velde e Muthesius.
La specialità della Reich erano i tessuti e i vestiti. Tra il 1916 e il 1917, durante la guerra, aveva aperto una piccola sartoria dove metteva in vendita modelli da lei ideati. Dal 1920 al 1924 lavorò al Trade Fair Office, a Francoforte. Nel 1920 aiutò a preparare Kunsthandwerk in der Mode e The Applied Arts, in programma a Newark nel 1922. Anno in cui pubblicò uno scritto sulla moda apparso su Die Form nel quale si proponeva di lanciare un nuovo modo di vestire, sobrio e privo di ammennicoli “I vestiti” – scriveva – “sono oggetti d’uso e non opere d’arte… devono formare un tutto unitario con la donna che li indossa, esprimendone lo spirito e contribuendo all’arricchimento della sua anima e del modo di sentire la vita”.
Severissima nella scelta degli oggetti, la Reich subì anche una indagine del Werkbund, che però la discolpò, per aver cassato opere di troppi progettisti ritenute non meritevoli di essere esposte.
Nel 1924 la Reich contribuì alla mostra Die Form. E nel 1926 organizzò a Francoforte Van der Faser zum Gewebe (Dalla fibra al tessuto).
Fu grazie al Werkbund che la Reich conobbe Mies, con il quale intrattenne una storia sentimentale. Mies all’epoca era sposato con tre figlie: un marito latitante e un padre assente. A differenza di Loos, non cercava ragazze minorenni e angelicate e probabilmente fu colpito dalla personalità, dal carattere e dalla professionalità di questa donna un anno più anziana di lui.

Lilly Reich & Mies van der Rohe, Café Samt und Siede, 1927

Lilly Reich & Mies van der Rohe, Café Samt und Siede, 1927

FRA TESSUTO E ARCHITETTURA
Il tessile si rivelò un filone particolarmente interessante per la coppia. L’industria della seta negli anni venti era uno dei motori dello sviluppo economico tedesco. Epicentro era la cittadina di Krenfeld dalla quale vennero ben sei commissioni a Mies, tra cui una celebre casa in mattoni. E la mostra Die Mode der Dame del 1927, nella quale Lilly Reich e Mies realizzarono lo spazio “Café Samt und Siede” (Caffè di velluto e seta) le cui pareti erano animate da tende di tessuto appese a guide metalliche sospese in aria. È interessante, a questo punto, notare la somiglianza dello spazio con la camera da letto disegnata da Loos per sé e Lina nel 1903. Non sapremo mai se Mies e la Reich l’avessero mai vista, ma il fatto che la Reich avesse lavorato a Vienna con Hoffmann ci fa pensare che ciò sia possibile se non probabile.
Tralasciamo, per ragioni di brevità, la collaborazione tra la Reich e Mies in occasione del Weissenhof siedlung di Stoccarda, che portò all’allestimento di nove padiglioni espositivi, oltre alla mostra delle famose case. E andiamo all’Esposizione internazionale di Barcellona del 1929, che fu la prova di forza dell’industria tessile tedesca. Certo, se si escludono le mostre collaterali, ci vuole molta fantasia a vedere tessuti nel padiglione di Barcellona. Ma è immediato notare una somiglianza tra il disegno dei marmi e i pattern di un tessuto.
Nello stesso 1929 Mies lavora a casa Tugendhat a Brno. Da dove derivano le immense ricchezze di questa famiglia che si permette di costruire una casa forse più costosa di quella completata l’anno prima da Wittgenstein per la sorella? Naturalmente dall’industria tessile. Sarà una coincidenza, ma l’impianto ricorda inquietantemente il Caffè di velluto e seta. Tappezzeria anche per i capolavori di Mies? Beh, ve lo avevo detto sin dalla prima puntata che queste storie sono innervosenti e in-verosimili.

Luigi Prestinenza Puglisi

Tappezzeria #5
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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