Landworks Sardinia. Intervista ad Annacaterina Piras

Dal 2011 i workshop di Landworks Sardinia trasformano alcuni dei siti più spettacolari e delicati dell’isola: dalle rovine del passato minerario di Ingurtosu e Montevecchio, passando per l’Argentiera, per l’isola de La Maddalena, fino a Masua, nel Sulcis Iglesiente, dove si è appena concluso il quinto workshop che vi presentiamo, in anteprima, attraverso il progetto fotografico di Filippo Romano. Prossima tappa? Firenze.

Annacaterina Piras, coordinatrice scientifica di questa esperienza in più tappe, ci racconta le sfide, le criticità e le potenzialità emerse nel corso degli anni. Per lei, “la Sardegna è tutta un museo” dove rispettare le tracce di tanti passati, ma anche “un enorme playground” dove progettare attivamente, e a partire dalle energie locali, la costruzione di un paesaggio mediterraneo contemporaneo. La comunità di Landworks Sardinia cresce e si ridefinisce ogni anno: nel 2016 hanno lavorato come team leader Henri Bava, Simon Bussiere, Pedro Camarena, Walter J. Hood, Isabella Inti, Ferdinand Ludwig, Chris Phongphit, Christiane Sfeir, Maria Gabriella Trovato e Roberto Zancan; ospiti d’eccezione sono stati Filippo Romano – sue le foto sui luoghi e le attività del workshop che mostriamo in anteprima –, Ila Bêka, autore con Louise Lemoine del film della serie Living Architectures dedicato a La Maddalena, e Mauro Morandi, guardiano solitario dell’isola di Budelli.

Come nasce Landworks Sardinia?
L’idea proviene dal Dipartimento di Architettura e Pianificazione dell’Università degli Studi di Sassari dove, nel 2009, viene creato il master internazionale di Mediterranean Landscape Urbanism. È in questa facoltà che ho sviluppato la mia tesi di dottorato sul tema dell’International Garden Festival, dove ho cominciato a esplorare la relazione tra la promozione di eventi e installazioni effimere nello spazio pubblico e i loro possibili effetti permanenti e strutturali. Stefan Tischer, che oggi è direttore scientifico di Landworks Sardinia, è stato il mio relatore, e insieme abbiamo dato avvio al primo workshop non operativo, nel 2011, nel parco geominerario di Ingurtosu e Montevecchio.

Il Sulcis-Iglesiente è un territorio dalla morfologia spettacolare e, per molti versi, unica, costruita nel tempo in egual misura dall’intervento naturale e da quello umano. Ci racconti qualcosa di questo paesaggio?
Il Sulcis è un territorio alla “periferia dell’impero”. I suoi paesaggi naturali, meravigliosi ma feriti e disseminati di rovine, portano i segni di decenni di abbandono e di sprechi, delle tante politiche fallite e dell’incapacità di formulare un progetto di sviluppo sostenibile. Certo, è affascinante e quasi commovente vedere come la natura si riappropria del proprio spazio, ma quello che a uno sguardo esterno può sembrare poetico, per gli abitanti del luogo è semplicemente triste. Siamo in una delle province più povere d’Italia, dove il fenomeno dello spopolamento è stato ed è tuttora intensissimo. Per molti anni, il Sulcis è stato considerato come un “buco nero”, e non si capisce dove siano finiti tutti i fondi stanziati per il suo sviluppo. In generale, tutti i luoghi della Sardegna dove abbiamo lavorato finora hanno conosciuto negli ultimi decenni un pesantissimo shrinkage: all’Argentiera, fino a sessant’anni fa vivevano quasi 2.000 persone, mentre oggi è a tutti gli effetti una ghost town.

Landworks Sardinia - Stefan Tscher, Purple Rain - photo Filippo Romano

Landworks Sardinia – Stefan Tscher, Purple Rain – photo Filippo Romano

Quali eredità ha lasciato su questo territorio la stagione delle miniere?
Quelle materiali sono ingenti, ingombranti e molto potenziali, seppur in cattivo stato. Purtroppo, però, l’industria mineraria è stata sempre gestita da “forestieri”, che hanno considerato i sardi alla stregua di “topi di miniera”. Così, la popolazione locale non ha acquisito competenze, se non quelle strettamente necessarie allo svolgimento delle diverse mansioni individuali, e non ha sviluppato alcuna forma di cultura imprenditoriale. Per fortuna, oggi non esiste più la realtà del direttore di miniera che prende le decisioni dall’alto. Se all’epoca del boom minerario le trasformazioni sono state imposte sul territorio, oggi lavoriamo perché questa nuova transizione avvenga all’insegna di una maggiore consapevolezza. Siamo alla ricerca della soluzione “migliore possibile” per costruire con gli abitanti una nuova visione dei loro luoghi.

Quali teorie e modelli ispirano il lavoro sul paesaggio di Landworks Sardinia?
Sono tanti e molto diversi tra loro. Dall’arte relazionale recuperiamo i processi del learning through making e proseguiamo la ricerca sul senso di cittadinanza e sulla condivisione nello spazio pubblico sviluppata da artisti come Maria Lai. Ci ispiriamo alla riflessione sull’effimero e sulla perturbazione di Christo e Jeanne-Claude, ma anche di Robert Smithson. Infine, lavoriamo sull’idea del festival come comunità temporanea, in grado di modificare radicalmente i territori che colonizza.

Ogni workshop dura dieci giorni. Non sono troppo pochi per conoscere un territorio in maniera approfondita e progettare al suo interno?
Per noi, dieci giorni sono il tempo corretto per questo tipo di lavoro: né troppo, né troppo poco. Agli studenti insegniamo che in questo contesto è necessario fare con poco, fare bene e non perdere tempo, che è anch’esso una risorsa preziosissima. Abbiamo tutti poco tempo, oggi! A Landwork Sardinia, quindi, s’impara a lavorare con il minimo delle risorse e a ottimizzare le proprie capacità di problem solving. Naturalmente, per preparare al meglio i nostri team, all’apertura di ogni workshop è distribuito ai partecipanti un dossier, che fornisce loro le conoscenze preliminari necessarie ad approcciare rapidamente il tema.

Landworks Sardinia - Pedro Cmarena Berruecos, 4 Elements + 12 Monkeys - opening - photo Filippo Romano

Landworks Sardinia – Pedro Cmarena Berruecos, 4 Elements + 12 Monkeys – opening – photo Filippo Romano

Come si aprono i lavori di un workshop di Landworks Sardinia?
Non appena gli studenti arrivano sul posto, li portiamo in una discarica, in un terreno abbandonato, e li invitiamo a selezionare da lì i materiali che vogliono utilizzare nei giorni successivi. Tutto, potenzialmente, è a disposizione del progetto. Il sopralluogo, poi, è un punto di partenza importantissimo, non solo perché si entra in contatto per la prima volta con il sito di progetto, ma anche perché si conoscono i locali, che spesso ci regalano lunghi racconti di un passato che hanno vissuto in prima persona.

E i rapporti con gli abitanti del luogo? Avete sempre ricevuto un’accoglienza positiva?
Credo che il territorio sardo si debba costruire come una cattedrale medievale, in una grande impresa corale. Per questo, coinvolgiamo attivamente gli abitanti, per esempio gli ex-minatori, che lavorano con noi e ci trasmettono il loro know-how. I workshop si basano su un criterio di totale orizzontalità, contro le dinamiche verticali che complicano la realtà, e i locali sono parte integrante di questo funzionamento. Certo, non sono mancati episodi di diffidenza: all’Argentiera, quando abbiamo sottratto dei legni bruciati dai ruderi di un edificio distrutto dolosamente, il proprietario si è rivolto alle autorità per riaverli. Glieli abbiamo riportati, con una certa fatica, ma quando ha visto cosa stavamo realizzando attorno a lui ci ha richiamati in fretta e furia chiedendoci di utilizzarli per costruire qualcosa di bello. Insomma, l’imprevisto è sempre all’ordine del giorno ma per ora la macchina funziona!

Come vi rapportate con le autorità locali?
In generale, cerchiamo di lavorare con tutti i soggetti attivi sul territorio, come l’Ente Foreste, la Protezione Civile, i politici, i giovani professionisti. Stiamo pensando di coinvolgere anche alcuni corpi delle Forze Armate, per relazionarci con tutti coloro che presidiano questi luoghi.
Ogni volta che attiviamo un workshop, la prima cosa che facciamo è presentarci e dichiarare la nostra presenza alle autorità locali. Dobbiamo pur giustificare l’improvviso affollamento di decine di studenti che si muovono su e giù per i terreni abbandonati delle miniere sarde!

Landworks Sardinia - Pedro Cmarena Berruecos, 4 Elements + 12 Monkeys - opening - photo Filippo Romano

Landworks Sardinia – Pedro Cmarena Berruecos, 4 Elements + 12 Monkeys – opening – photo Filippo Romano

Secondo quale criterio sono selezionati gli studenti di Landworks Sardinia, molti dei quali stranieri?
Sulla base del loro portfolio. Nel corso degli anni, abbiamo coinvolto ragazzi delle università di tutto il mondo, da Versailles a Berkeley, da Beirut e Melbourne e a Città del Messico. A volte, poi, organizziamo delle partecipazioni eccezionali, come nel 2015, quando abbiamo invitato un gruppo di otto rifugiati del centro di accoglienza di Alghero. Ognuno di loro ha lavorato con un gruppo diverso e alla fine del workshop hanno avuto un certificato, che speriamo abbia aperto loro nuove opportunità.

Come scegliete, invece, i team leader?
Ogni anno invitiamo circa sei, otto esperti di discipline diverse (architetti, paesaggisti, sociologi, filosofi, antropologi) nell’ottica di una visione olistica che crede nello scambio tra i diversi saperi. Inoltre, cerchiamo sempre di avere tutor con esperienze e approcci molto diversi, e questo fa sì che le installazioni di Landworks Sardinia propongano modalità molto varie di costruzione del paesaggio. In generale, ci interessa lavorare con persone che hanno esperienza di situazioni complesse a livello logistico, sociale e culturale. Molti dei nostri tutor hanno familiarità con il mondo delle ONG e dei contesti d’emergenza.

A partire dalle opere effimere realizzate nei workshop, quali ricadute positive permanenti hai potuto riscontrare sul territorio?
A distanza di qualche anno, posso testimoniare che molte delle nostre installazioni temporanee esistono ancora. In fondo, si sono rivelate molto più stabili di come le avevamo concepite, anche perché i locali spesso ne vanno fieri, se ne prendono cura, ne fanno i nuovi monumenti del loro territorio. Un altro lascito importante è quello delle tante microstorie individuali che abbiamo conosciuto e influenzato. A Masua, abbiamo incontrato un’ex-operaio che ha lavorato con noi all’Argentiera, che ci ha mostrato una scultura costruita da lui, a forma di Pan di Zucchero, lo sperone roccioso che fronteggia questo tratto di costa. Quando l’abbiamo conosciuto lavorava come guardiano, ma in un luogo in cui non c’era più nulla da sorvegliare, solo per avere uno stipendio. Speriamo che Landworks Sardinia abbia trasmesso a lui e a molti altri una nuova sensibilità alle qualità del territorio sardo, e che da questa consapevolezza nascano dei percorsi di progetto inediti.

Landworks Sardinia - Stefan Tscher, Purple Rain - opening - photo Filippo Romano

Landworks Sardinia – Stefan Tscher, Purple Rain – opening – photo Filippo Romano

La prossima tappa di Landworks sarà a Firenze. Ci racconti le ragioni di questa scelta? Su che sito lavorerete?
Noi crediamo nell’unicità della Sardegna, che resta il nostro territorio di riferimento, ma vogliamo sperimentare e mettere in crisi il nostro approccio a contatto con altre realtà, per testarne l’efficacia e la possibilità di esportazione. A Firenze, siamo stati chiamati da Tommaso Sacchi, curatore dell’Estate Fiorentina, e lavoreremo in un sito molto speciale. Saremo all’interno del letto dell’Arno, a pochi passi dalla Biblioteca Nazionale, in un isolotto temporaneo la cui esistenza dipende dagli umori del fiume.

Obiettivi futuri?
Innanzitutto, vogliamo raddoppiare la frequenza dei workshop in Sardegna, rendendoli bimestrali, per presidiare maggiormente il territorio e aumentare la nostra capacità di incidere su di esso. Parallelamente, dopo Firenze vorremmo proiettarci ancora più lontani: siamo già stati invitati a organizzare un workshop a Beirut, in un’area molto interessante nei pressi di una stazione, sulla via per Damasco, e ora stiamo lavorando per arrivare anche in Australia.

Alessandro Benetti

www.landworks-sardinia.eu

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Alessandro Benetti

Alessandro Benetti

Alessandro Benetti è architetto e curatore. Ha collaborato con gli studi Secchi-Privileggio, Macchi Cassia, Laboratorio Permanente, viapiranesi e Studio Luca Molinari. Nel 2014 ha fondato Oblò – officina di architettura, con Francesca Coden, Margherita Locatelli ed Emanuele Romani. Ha contribuito…

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