Graffiti? Non usate quella parola! O anche sì…

Postmedia books pubblica un libro sui graffiti, scritto da Marcella Faletra. E apre più di un interrogativo. Andando a fondo su una questione di estrema attualità come l'arte urbana.

STREET ART E CRITICA D’ARTE
Signore e signori, il dibattito è servito! Graffiti, Street Art, Writer: termini che ormai fanno parte del linguaggio comune e che, a dispetto di quanto si creda, hanno raggiunto anche la famigerata casalinga di Voghera. Che sia un bene o un male, non è l’argomento di questo articolo. Certo è che i media tutti, in particolare i cosiddetti “mass”, si sono specializzati nello sbattere in prima pagina tutte (o quasi) le pratiche di intervento urbano sotto forma di fotogallery cliccatissime, interviste al protagonista di turno e report dalla sconfinata lista di eventi legati all’argomento.
E la critica? Oppure, se non la critica, almeno l’opinionismo informato e preparato, dov’è finito? Non è la prima volta che ci troviamo a ribadire il fatto che, dopo le indimenticate pagine scritte da Francesca Alinovi all’inizio degli Anni Ottanta, poco è stato detto (e scritto) per analizzare e comprendere un fenomeno che oggi sembra vivere un momento di grande esposizione.

Jacob Kimball - The G-Word

Jacob Kimball – The G-Word

QUESTIONI TERMINOLOGICHE
È da poco uscito un volume firmato da Marcello Faletra (storico collaboratore anche di Artribune) che intende, già dal titolo (Graffiti. Poetiche della rivolta, postmedia books), occuparsi a tutto tondo della questione, anche se non per dirimerla. Il titolo, dicevamo. Già, perché proprio quella parola, “graffiti”, porta in seno temi di grande portata concettuale. Non è un caso infatti che nel panorama editoriale, per esempio, se ne faccia uso con leggerezza per intendere ambiti a volte distanti tra loro, e che pubblicazioni di riguardo accademico decidano invece di “censurarla” (Jacob Kimvall, The G-Word, Dokument Press, Stoccolma 2014; Duccio Dogheria, Street Art, Giunti, Firenze 2015). Lo stesso si dica per progetti espositivi che, riuscendo o meno a districarsi nell’annosa questione del supporto (tela/muro), faticano a utilizzare il celebre termine con nonchalance (si veda l’immagine coordinata della mostra The Bridges of Graffiti, in cui la parola è cancellata).
Questa digressione sulle questioni terminologiche sembra non toccare il saggio di Faletra, che decide di utilizzare “graffiti” come lemma-ombrello, capace di contenere sia il cosiddetto Writing che la ben più nota Street Art, seppur con le dovute distinzioni. L’analisi condotta dall’autore offre ben più di uno spunto interessante, anche se a volte sembra peccare di una conoscenza circoscritta della bibliografia recente. L’idea che i graffiti (usiamo la parola scelta dall’autore del saggio) possano rappresentare un’emancipazione della decorazione, o meglio del decorativismo di matrice simbolista, e che si strutturi come risposta all’algido modernismo, è sicuramente affascinante. Inoltre, tale proposta è affiancata dalla rilettura di testi non esclusivamente di critica d’arte, che portano Faletra a legare l’ipotesi alla reazione che i graffiti oppongono in termini di linguaggio alla comunicazione massmediatica. Il decorativo, poi, può essere anche elemento capace di offrire letture diacroniche, certamente azzardate, ma già apparse nel panorama accademico di confronto con la figurazione e il rapporto parola/immagine in epoca medievale.

The Bridges of Graffiti - Venezia, 2015 - photo Andrea Bastoni

The Bridges of Graffiti – Venezia, 2015 – photo Andrea Bastoni

I GRAFFITI E IL LORO CONTESTO
Allo stesso tempo, però, alcuni capitoli del libro trattano altre tematiche diffuse nelle più aggiornate ricerche sull’arte urbana, come il rapporto con il Situazionismo o con la controcultura, offrendone un’attenta lettura, ma apparentemente escludendo passaggi salienti. In parte il medesimo discorso potrebbe calzare per le sezioni dedicate a studi di stampo sociologico sul timore che aleggia intorno al fenomeno o per le parti dedicate al rapporto con lo spazio urbano, in cui per esempio l’idea che l’azione si svolga per lo più nelle zone di confine è certamente figlia dell’idea di “frontiera” tanto cara all’Alinovi.
C’è poi un dubbio che crediamo sia necessario porsi quando si affronta la nebulosa graffiti, in particolare se si decide di analizzare anche il periodo degli esordi, ovvero la presenza o meno di una consapevolezza, di una chiara intenzionalità che garantisce (o meno) la possibilità di proporre relazioni dirette con il coevo panorama dell’arte contemporanea.
La necessità di indagini profonde e dettagliate, come questa, è indubbia, soprattutto considerando la sempre maggiore diffusione di compendi divulgativi e riccamente illustrati, che poco però aggiungono al dibattito, comportandosi piuttosto come quell’eccesso di “muralizzazione” a cui le città sono sottoposte, che nulla ha a che fare con il concetto di “poetica della rivolta”.

Claudio Musso

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28

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Claudio Musso

Claudio Musso

Critico d'arte e curatore indipendente, la sua attività di ricerca pone particolare attenzione al rapporto tra arte visiva, linguaggio e comunicazione, all'arte urbana e alle nuove tecnologie nel panorama artistico. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia e Storia…

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