Tina Modotti e basta! Chiudono gli Scavi Scaligeri di Verona

Centodieci foto, più qualche sequenza filmica di Tina Modotti. Attrice del muto, donna passionale, attivista politica, fotografa alla ricerca di una impossibile perfezione. La mostra copre tutto l’arco della sua vicenda artistica e umana. Ma una nube si addensa sul futuro degli Scavi Scaligeri che la ospitano: dovranno essere chiusi per restauro (e per un buco nel bilancio).

STORIA DEGLI SCAVI
Gli Scavi Scaligeri sono una città sotto la città. Un luogo in cui si può ripercorrere senza soluzione di continuità l’intera storia di Verona dall’origine romana fino al Medio Evo. Muoversi al suo interno è come spostarsi in un labirinto che sconfina con l’assurdo, il molteplice, la bizzarria, l’abracadabra: un vertiginoso viaggio nella storia in cui si incontrano pavimenti a mosaico, stralci di un acquedotto romano, resti di palazzi scaligeri.
L’architetto Libero Cecchini, che ha eseguito i lavori di restauro, non ha voluto farne un puro spazio della conservazione, una mera bacheca del passato, ma una riflessione sul tempo. “Il sepolto continua a vivere”, dice. “Deve essere qualcosa che dura e si lega al presente”. Eccolo, allora, realizzare degli oblò che rendono visibile dal cortile parte dell’interno e che, al contempo, portano le profondità verso l’aperto, facendo quasi esplodere i resti dentro la luce. Eccolo ricostruire, mediante integrazioni e ricomposizioni in cemento armato, gli stessi materiali preservati. Fino a far diventare l’ambiente uno spazio magico, uno scenario mitico.

Scavi Scaligeri - mosaico

Scavi Scaligeri – mosaico

Lì, a partire dal 1996, da quando cioè l’area è stata adibita a spazio espositivo per la fotografia, hanno potuto confrontare le loro opere direttamente con la storia René Burri, Robert Capa, Cartier-Bresson, Elliott Erwitt, Douglas Kirkland, Greg Gorman, Gordon Park, fino a Tina Modotti (in mostra fino all’8 marzo). Un contagio tra antico e moderno, una stratificazione tra “pieghe geologiche” e grazia presente delle immagini. Un museo doppio, vivo, aperto. Una piazza del sapere.

LA QUESTIONE POLITICA
Ebbene, la Fondazione Cariverona, proprietaria del Palazzo del Capitanio che circonda e ingloba gli Scavi, ha deciso di far partire dei lavori per la messa in sicurezza degli spazi. “Ma perchè un nuovo restauro”, si chiede l’architetto Cecchini, “se a suo tempo sono stati consolidati i solai, sistemati i muri portanti, in vista della realizzazione di un Museo Archeologico? E poi ci sono uscite di sicurezza verso il Palazzo della Ragione, c’è l’uscita sul cortile mercato vecchio, ci sono gli ascensori…”. Perché chiudere a tempo indeterminato (qualcuno dice per sempre) uno spazio che con gli anni è diventato un autentico patrimonio della città, conosciuto maggiormente all’estero che qui?

Anonimo, Tina Modotti a Holliwood, 1920-21

Anonimo, Tina Modotti a Holliwood, 1920-21

Forse più che i muri da “ricostruire” è il modo stesso di fare cultura, di produrla, di gestirla. Non è solo questione di tutela ma di capacità di sfruttare quelle che sono le reali potenzialità del sito con incontri, workshop, proiezioni, visite guidate, scambi con altri musei: in una parola, si tratta di farlo diventare un autentico polo culturale. “Non ci sono più soldi per il patrimonio”, rincara la dose il sindaco. Ma il dirigente dell’Area Culturale del Comune, Gabriele Ren, ci tiene a ribadire: “Ma come? Abbiamo lavorato senza direttore artistico, senza consulenti, senza comunicazione se non quella dei social network. Quasi venti anni di attività con uno staff ridotto ai minimi termini. L’unico obiettivo è sempre stato quello di coniugare la qualità tenendo conto del budget”.
Se è così, siamo ancora una volta di fronte all’immancabile suicidio culturale italiano: ancora una volta tutto è consumato in nome della sovranità (del culto religioso) del mercato, dei numeri, dei grandi eventi? Non c’è posto per quei valori immateriali che non generano redditi ma civilizzazione, umanità, coesione sociale? Ma stavolta una inattesa protesta parte dalla base, dall’apertura di una pagina web: “Vogliamo difendere la cultura fotografica nella nostra città” è il messaggio lanciato dall’Associazione Verona Fotografia, con l’invito a “metterci la faccia” con l’eloquente hasthag #scaviaperti. In pochi giorni, migliaia le visite e i like e centinaia le immagini postate su Facebook, Twitter, Instagram, tanto simili alle foto di Gilliam Wearing in cui la gente comune svelava su cartelli i propri segreti e i propri desideri. Non si può chiudere uno spazio che non è al servizio del denaro o della classe politica, ma delle società e del suo sviluppo, uno spazio che costruisce nessi segreti, corrispondenze celate, confronti invisibili.

Scavi Scaligeri - oblò

Scavi Scaligeri – oblò

LA MOSTRA DI TINA MODOTTI
Così la mostra di Tina Modotti ora esposta negli Scavi Scaligeri assume una valenza tutta particolare: è la ricostruzione di una vicenda artistica e umana di una rivoluzione permanente. Nata a Udine nel 1896, Modotti muore nel 1942 sotto il cielo minerale del Messico, tornando una sera in taxi. Un’esistenza romanzesca, la sua: prima attrice del muto a Hollywood, poi in fuga in Messico, dove conosce i pittori muralisti (Rivera, Siqueiros, Orozco), quindi il grande incontro con il fotografo Weston che le insegna quell’arte unica dell’astrazione della natura (calle, gigli, cactus) e che scrive del suo “volto di donna che ha vissuto intensamente, profondamente e senza paura”.
Certo, si sente nella sua fotografia tutta la retorica spoglia dell’arte impegnata, sintetizzata in quella Donna con bandiera, che cammina superba in una manifestazione operaia. Certo, le mani che ella ritrae sono sempre mani-allegoria, mani usate e stanche per il lavoro. E non importa che siano di contadini, domestiche, soldati della resistenza o quelle bellissime di un burattinaio con le dita imprigionate dai fili fatali del proprio mestiere. Anche quando con una vera falce e una pannocchia ricostruisce il simbolo della sua incrollabile fede politica, su tutto vince questa sua arte casta dell’immagine pura, astratta, geometrica, assorbita dal magistero di Weston. Eppure lei in una lettera rileva: “Io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni e manipolazioni”.

Tina Modotti, Falce, martello e sombrero, Messico, 1927, ca.

Tina Modotti, Falce, martello e sombrero, Messico, 1927, ca.

E sono parole che trovano conferma in altre immagini che sembrano mosse o sporche: quelle dei Funerali dei lavoratori, delle Donne che lavano i panni nel fiume vicino a Tehuantepec, della Marcia di Campesinos.
Per la Modotti la fotografia non coglie la vita in posa, ma nel suo essere in movimento, nel suo inesorabile passare. Perfino quando abbandona la fotocamera e si dedica all’attività politica, entrando nel Soccorso Rosso Internazionale, lei continua a fotografare con gli occhi, con il cuore. Il suo stile è unico e molteplice, calibrato e animato. Probabilmente non ancora svelato in tutte le sue pieghe. Ancora aperto, un po’ come gli Scavi Scaligeri: uno spazio diffuso, profondo, multiforme. Come si può chiuderlo, prima di averlo scoperto nella sua interezza?

Luigi Meneghelli

Verona // fino all’8 marzo 2015
Tina Modotti – Retrospettiva
a cura di Dario Cimorelli e Riccardo Costantini
SCAVI SCALIGERI
Piazza Francesco Viviani
045 8007490
[email protected]
www.comune.verona.it/scaviscaligeri

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/40468/tina-modotti-retrospettiva/

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Luigi Meneghelli

Luigi Meneghelli

Laureato in lettere contemporanee, come critico d'arte ha collaborato e/o collabora a quotidiani (Paese Sera, L'Arena, L'Alto Adige, ecc.) e a riviste di settore (Flash Art, Le Arti News, Work Art in progress, Exibart, ecc.). Ha diretto e/o dirige testate…

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