Pionieri a Istanbul. Intervista con Beral Madra

Beral Madra racconta la Istanbul figlia di quella biennale d’arte che, alla fine degli Anni Ottanta, era “solo” un festival di periferia. Una intervista che parte dalla prima Biennale di Istanbul per arrivare alla dibattuta questione dei musei privati, sino alla verità sul collezionismo turco.

Era il 1987 quando Beral Madra fu incaricata dalla Fondazione IKSV di organizzare la prima Biennale di Istanbul. Madra, che al tempo dirigeva una piccola galleria d’arte, fu nominata coordinatore generale dell’evento pochi mesi prima della sua inaugurazione, con un carico di responsabilità elevato e poca libertà di manovra. Contemporary Art in Traditional Spaces fu il titolo della rassegna, che vide artisti locali e internazionali – tra cui i nostrani Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio – esporre in edifici storici di Istanbul, come la chiesa di Sant’Irene e l’hammam della Basilica di Santa Sofia. Fu più un festival nazionale, ma da allora Istanbul non si è più fermata.
Oggi, dopo ventisei anni e dodici edizioni della biennale, ritroviamo Beral Madra nelle vesti di curatrice della mostra dell’artista greca Kalliopi Lemos, I am I, Between Worlds and Between Shadows, uno dei tanti eventi paralleli della 13esima biennale turca. Abbiamo incontrato la curatrice per parlare della mostra, ma anche per ripercorrere assieme l’evoluzione della biennale e della scena dell’arte locale, dal suo punto di vista privilegiato di protagonista e osservatrice diretta dell’ultimo ventennio.

Come nasce il progetto I am I, Between Worlds and Between Shadows?
Lavoro con Kalliopi Lemos dal 2007, quando il suo impegno come artista era rivolto alla questione del traffico umano illegale che esiste fra Turchia e Grecia e che usa il Mar Egeo come passaggio tra Asia ed Europa. Lemos lavorò a tre grandi installazioni, a Eleusi, Istanbul e Berlino, con i barconi abbandonati dai migranti, monumenti al destino infelice dei suoi passeggeri. Il suo interesse per la condizione umana si è poi indirizzato verso i bambini e le donne, vittime di abusi e violenze. Sul tema ha realizzato sette sculture in bronzo. Abbiamo così iniziato a cercare un luogo idoneo dove esporle, qui a Istanbul. In un white cube non avrebbero avuto l’impatto voluto; così abbiamo scelto la scuola femminile greca nel quartiere storico di Fener, abbandonata dal 1988: quando abbiamo aperto le sue porte, tutto era ancora intatto e l’artista non ha voluto apportare alcuna modifica agli spazi. Le vecchie aule, perfette per accogliere le sue sculture, hanno poi ispirato un’installazione sonora site specific.


Nel 1987 hai curato la prima Istanbul Biennial…
Al tempo la figura del curatore, così come era stata tracciata da Harald Szeeman tra gli Anni Sessanta e Settanta, non era ancora contemplata in Turchia, dove si affermò solo a partire dagli Anni Novanta. Perciò la mia carica era ufficialmente quella di coordinatore generale, anche se le mie mansioni furono nei fatti di carattere curatoriale: fui io a invitare gli artisti e a decidere di allestire le opere in luoghi storici della città, instaurando un dialogo tra memoria e contemporaneità. Dopodiché ho iniziato la mia carriera di curatore a livello internazionale, esportando artisti turchi e contemporaneamente invitando molto artisti stranieri a esporre a Istanbul. Nel mio sito ho stilato una lista degli artisti con cui ho lavorato ed è una lista bella lunga…

Come leggi l’evoluzione della Biennale, dal 1987 a oggi?
La Biennale di Istanbul è senza dubbio il più importante evento artistico, critico e teorico del nostro Paese. È stata capace di mettere in contatto il mondo internazionale dell’arte con una realtà periferica. Ha dato energia, dinamismo, speranza alle nuove generazione di artisti; ha aperto loro le porte per comunicare con artisti internazionali. Negli ultimi quindici anni si sono visti gli effetti anche nel sistema educativo universitario, con il fiorire di numerosi dipartimenti di studi curatoriali e di art management. Oggi abbiamo una generazione interessante di curatori, operatori culturali e manager per l’arte. È un sistema che ancora si sta sviluppando e sicuramente la Biennale è stata un laboratorio per molti anni.
Ma ora c’è in corso un dibattito molto sentito: il mercato dell’arte e gli investitori stanno interferendo sulla produzione di arte contemporanea perché mancano infrastrutture forti. Abbiamo diversi musei d’arte, che però appartengono tutti al settore privato, e non ci sono soldi pubblici che supportino la produzione artistica. È un deficit il fatto che non esista una struttura per l’arte contemporanea preposta alla tutela e alla conservazione del nostro patrimonio artistico più recente. Negli Anni Settanta c’era l’arte concettuale in Turchia, mentre negli Anni Ottanta si facevano interessanti installazioni. Ma dove possiamo vedere questi lavori? Non certo all’Istanbul Modern, che è un museo privato, un museo di collezionisti. Va bene, lo amiamo. Ma un museo dovrebbe essere indipendente. È una questione ideologica, dovrebbe mostrare la verità, non il gusto personale dei suoi fondatori.

Kalliopi Lemos, I am I, Between Worlds and Between Shadows_2

Kalliopi Lemos, I am I, Between Worlds and Between Shadows_2

Qual è la tua posizione rispetto alla situazione politica della Turchia del “dopo Gezi”? Pensi che la Biennale possa effettivamente avere un ruolo nel dibattito sociopolitico in corso?
Sono una di quelle persone che ha vissuto i tre colpi di stato del Paese: nel 1960, nel 1971 e nel 1980. Durante quest’ultimo, siamo davvero entrati in un’era buia: la Costituzione fu completamente modificata in senso antidemocratico e stiamo ancora vivendo sotto questa costituzione. L’AKP era salito al potere promettendo di rendere la Turchia un Paese più democratico e di favorire l’integrazione nell’Unione Europea. Per cinque anni hanno promosso diverse riforme, ma nel momento in cui hanno acquisito un potere maggiore hanno cambiato direzione, verso il mondo islamico e non più verso l’Unione Europea. Questa situazione è diventata molto pericolosa, perché ha spaccato il Paese in due: la metà laica e che guarda all’UE, e l’altra metà che auspica l’islamizzazione della Turchia.
La Biennale è sicuramente un mezzo per rendere le persone consapevoli dei problemi esistenti e della necessità di un pensiero libero.

Galleristi e operatori del sistema locali sembrano essere al momento impauriti dalla situazione sociopolitica e dalle sue possibili conseguenze sulla loro attività. Hai avuto la stessa percezione?
Il problema di fondo è che il corpus di collezionisti a Istanbul non è così forte e solido come si è sempre fatto credere a livello internazionale. È solo una vetrina. Dietro ci sono collezionisti molto indecisi, poco coerenti e che comprano random. Una favola confezionata e diffusa attraverso le massicce operazioni di branding a cui la città è stata sottoposta negli ultimi tempi.

Marta Pettinau

http://www.beralmadra.net/

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Marta Pettinau

Marta Pettinau

Marta Pettinau nasce ad Alghero nel 1984, dove al momento vive e lavora. Ma con la valigia in mano. Laureata a Sassari in Scienze dei Beni Culturali, ha conseguito nel 2011 la laurea specialistica in Progettazione e Produzione delle Arti…

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