“Non scappo da New York solo perché sto morendo”. A tu per tu con Gary Indiana

Manhattan è morta, chi ha ucciso Manhattan? Siamo andati a chiederlo allo scrittore noir Gary Indiana nel suo salotto del Lower East Side. E la diagnosi non è affatto tranquillizzante.

Gary, come sta New York?
Manhattan vuoi dire? Da queste parti l’arte è morta. Ormai nessun artista abita più qui. Tutto è troppo costoso. La gente di questa città non sa vivere. Si accontenta di passare il proprio tempo a comprare roba e a lavorare per pagarsela a rate. I giovani artisti oggi casomai vanno a vivere a Brooklyn, ma sinceramente non ne capisco le ragioni. Anche tu, cosa diavolo ci sei venuto a fare a NYC?

Stai pensando di andartene?
No, e dove potrei andarmene? Ormai sono vecchio. Sto morendo. Avessi vent’anni di meno, penso che partirei.

E dove andresti?
A Rio, oppure l’Havana. In una città davvero in crescita, mentre qua è tutto saturo. Se sono a Cuba esco tutte le sere, in Europa è lo stesso. Solo qua non esco mai.

Qual è il problema?
La gente e il proprio rifiuto della normalità, di un orizzonte ordinario. Questa città, l’America, ama il sociopatico di successo e pensa sia normale sognare di diventare come lui. New York è diventata una città di repressi emotivi. E questa è una vera tragedia.

Solo New York? Questo male non sembra essere condivisibile con le altre metropoli contemporanee?
Forse. Non conosco tutto il mondo, ma emotivamente gli europei sono più furbi degli americani. In generale, cos’è diventata la cultura oggi? Donnine nude che sculettano in tv e nei giornali. Però non tutte, per favore scrivilo, perché fra loro c’è anche la figlia di qualche mio amico.

Quando è cominciato questo crollo culturale della tua città e perché?
Diciamo dieci anni. Sono spariti tutti i teatri, i locali dove artisti e intellettuali potevano incontrarsi. Ricordo il Mudd Club, il Club 57, i vari performing garage a Soho… Ieri il Lower East Side era il posto migliore dove vivere. Oggi tutto è scomparso.

Gary Indiana

Gary Indiana

Hai sempre vissuto nel Lower East?
Sempre. Quando sono arrivato qui, questo appartamento costava solo cento dollari al mese, che erano molto facili da guadagnare, bastava andare nel parco qua sotto e fare un pompino a qualcuno. Ormai niente sta succedendo e niente potrà mai più accadere. I soldi si sono portati via tutto.

Ci racconti del tuo arrivo a New York?
Era il 1978. Venivo da Los Angeles. Allora, culturalmente, era importante essere qui.

Oggi, culturalmente dove è importante essere? Su Internet?
Internet sta spazzando via tutto. Mi piace il fatto che i giornali cartacei stiano scomparendo. Inoltre sono molto contento che il New York Times rischi di chiudere.

Come mai ce l’hai con il New York Times?
Trovo che sia un giornale retrogrado e ridicolo. Roba da middle class. Pieno di opinioni e scarso di fatti.

Guardi mai la tv?
La televisione è orribile. Penso che non dovrebbe esistere.

Cosa succederà ai libri?
La gente legge quello che scrivo, credo continuerà a farlo. Magari su formati diversi.

E dei new media cosa pensi?
La tecnologia induce a patologiche dipendenze molto in fretta. Soprattutto gli schermi. Quasi peggio del desiderio di diventare ricchi e famosi.

Gary Indiana

Gary Indiana

Agli inizi della tua carriera hai scritto anche di arte contemporanea. Vorresti parlarne?
No. L’arte contemporanea non mi interessava allora come oggi. Scrivevo articoli perché mi pagavano e ho smesso il prima possibile, quando ho potuto cominciare a fare solo il romanziere.

Nient’altro da dire?
Nient’altro.

Oggi sei uno scrittore di fama internazionale. In Italia, il tuo libro più letto è Tre mesi di febbre. Storia del killer di Versace.
Avevo cominciato a scrivere un libro su Andrew Cunanan già prima che commettesse l’omicidio di Gianni Versace. Si spostava da una città all’altra, uccidendo persone. Non so. Lo trovavo interessante.

La mente di un serial killer non è posto comodo dove far abitare la propria immaginazione…
La vita e la morte di Andrew Cunanan spiegano bene quello che siamo. Nato in una famiglia borghese piccola piccola, ha usato il proprio corpo e la propria intelligenza per arrampicarsi sulle più alte classi sociali, quindi qualcosa gli si è rotto dentro. Come ha detto una volta Gore Vidal, per vedere la faccia di un killer basta guardare in un qualsiasi specchio.

Progetti per il futuro?
In questo momento ho bisogno di pensare. Non ho le idee chiare su quello che scriverò nei prossimi tre mesi.

Scriverai da New York?
E da dov’altro, altrimenti? In questa città o sei ricco oppure è una trappola.

Alessandro Berni

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Alessandro Berni

Alessandro Berni

Alessandro Berni, scrittore. Vive la critica d’arte come un genere letterario dentro il quale l’emozione anticipa e determina il senso dell’informare.

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