L’estate 2023, l’Italia e il turismo di massa. La storia del Salento secondo Marco Petroni

Il dramma del Salento, segnato dalla Xylella, vede come attori principali i residenti e i viaggiatori, e l’idea del turismo come monocultura. L’opinione di Marco Petroni

Houston abbiamo un problema. L’imprevisto, l’imprevedibile fa parte del gioco dell’attrattività. È la base della volatilità, della voracità dell’industria turistica. Un sistema produttivo basato su fattori che, per loro natura si compongono di elementi materiali e immateriali. Territorio diventa sinonimo di tradizioni, saperi, culture, cartoline, immagini, messaggi. Tutte componenti che rendono peculiare il prodotto turistico. Un oggetto complesso che non deve avere spigoli ma solo rotondità, morbidezza, accoglienza la chiamano. Tanti fattori che si scontrano o spesso non dialogano con un elemento imprevisto. Il vento cambia. A volte, in maniera più o meno durevole avvolge, agita, consuma un territorio ma prima o poi passa, lascia tracce del suo passaggio ma soffia altrove. Alla ricerca di nuovi territori più o meno esotici.

Faraglioni di Torre Sant'Andrea, Salento. Photo Massimo Virgilio
Faraglioni di Torre Sant’Andrea, Salento. Photo Massimo Virgilio

La dimensione del turismo in Salento

Se guardiamo al Salento, questo lembo di terra che dà forma al tacco d’Italia, un territorio baciato dal sole, dal mare e dal vento e una volta segnato da milioni di ulivi possiamo notare come l’industria turistica sia un meccanismo perverso e per certi versi attraversato da una conflittualità strisciante che vede come attori del dramma o della partita se preferite, da una parte, il turista alla ricerca di esotismo, di tipicità e dall’altra chi vi abita, vive quotidianamente quel territorio che rappresenta un luogo, un’appartenenza, la propria radice culturale, geografica, umana. Desideri, aspirazioni, bisogni collidono, richiedono uno sguardo capace di mixare il rumore del mare e quello dei trolley che segnano, spazi, luoghi, comunità, il sibilo del vento con bocche voraci alla ricerca di tipicità, il calore del sole con i portafogli di operatori, prenditori che fiutano pepite d’oro, luccicanti e facili da cogliere. Insomma, un patrimonio da curare che nell’immediatezza del trend che tira sceglie il turismo come monocultura imprenditoriale con tutto quello che ciò comporta. Una monocultura. Ma per chi? Con quali logiche? Quali scelte? Occorre essere pronti all’imprevedibile, allo scacco matto. In Salento il trauma, l’evento che sconvolge e riassume la politica, l’idea che governa la monocultura colpisce in maniera drammatica la precedente monocoltura sul quale il territorio aveva scommesso. La Xylella, un batterio che colpisce in particolare gli alberi d’ulivo ha contagiato oltre 21 milioni di piante, una strage di ulivi che ha lasciato un panorama spettrale, con oltre 8mila chilometri quadrati di territorio infettato pari al 40% della regione Puglia. Una vera e propria tempesta perfetta sugli agricoltori, sul paesaggio, milioni di ulivi secchi, frantoi svenduti a pezzi in Grecia, Marocco e Tunisia e migliaia di posti di lavoro persi.

Edward Burtynsky, Xylella Studies, Lecce, 2021
Edward Burtynsky, Xylella Studies, Lecce, 2021

Cosa resta del Salento dopo la Xylella

La politica gestisce con il gioco dei rimandi di responsabilità silenziando il dramma, si naviga a vista in un territorio devastato e abbandonato. Incuria, passività dominano la scena, ma il prodotto Salento continua a vendersi. Fino a quando? Perso il paesaggio, smarrita la cartolina da instagrammare. Cosa resta? Cortocircuiti, segnali che chiedono capacità di risposta, di governo ma che invece vengono fagocitati dal prodotto che tira si vende. L’improvvisazione, l’impreparazione prende la forma di cittadinanze onorarie a fashion designer che scelgono il Salento come vetrina. Il provincialismo di amministratori che nascondono il dramma, l’urgenza. Il Salento brucia ma sui social c’è la sister Maria Grazia Chiuri, la panacea da vendere. Se torniamo all’industria turistica vediamo come questa in Salento sia relativamente giovane. Nata sull’onda di un fenomeno iniziato a metà anni Novanta grazie alle dancehall in spiaggia o in uliveti remoti del Salento, party, feste con migliaia di persone che ballano libere. È lu fuecu, il fuoco che accende la miccia.

La Notte della Taranta
La Notte della Taranta

Il Salento nell’immaginario culturale

I Sud Sound System creano un immaginario che mixa reggae internazionale con l’idioma locale, la pizzica con i suoni giamaicani. Nasce il Tarantamuffin, i media parlano di Giamaica salentina, la politica di Salento d’amare. Una narrazione che incuriosisce un pubblico, una massa di persone sempre più ampia. La Notte della Taranta da evento di nicchia diventa mega evento per centinaia di migliaia di persone. Ma intanto il paesaggio brucia, è devastato. Silenzio. Sono i numeri che parlano di un calo di appeal, di macchina inceppata. Ora è giunto, forse il momento di far lievitare un nuovo immaginario, una nuova immaginazione politica, economica e sociale in grado di rompere la monocultura turistica, le monocolture e i loro effetti devastanti su un territorio in apnea ma ancora vivo. Viva il Salento, la mia terra.

Marco Petroni

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Marco Petroni

Marco Petroni

Marco Petroni, teorico e critico del design. Ha collaborato con La Repubblica Bari, ha diretto le riviste Design Plaza, Casamiadecor, ha curato la rubrica Sud su Abitare.it, è stato redattore di FlashArt. Collabora con l'edizione online di Domus. Curatore senior…

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