Viaggio a Napoli tra architettura e sottosuolo

Napoli è tante cose in una e di certo è una città che non si dimentica. L’abbiamo scoperta attraverso le fotografie di Fabrizio Vatieri e il racconto di chi la conosce bene

Napoli è un sentimento. Lo scrivo mentre un treno mi allontana dalla città e la nostalgia (perfettamente descritta da Martone nel suo ultimo, magistrale lungometraggio) mi coglie preparata. Non passerà fino a quando, rientrando in stazione, non ordinerò un caffè a Lello, il miglior barista di piazza Garibaldi; lui mi chiederà se è andato tutto bene e alla mia solita lamentazione sulla mancanza di questo luogo mi risponderà che sono tornata a casa e questo mi rende più bella. Lello è un uomo distinto sulla cinquantina che ha ormai perso il conto degli anni passati dietro al bancone di un bar e che affronta il tempo con un beffardo sorriso marcato sulle labbra dal profilo greco. Ci conosciamo da anni senza sapere quasi nulla l’una dell’altro, ma questo basta per confidarci piccoli aneddoti personali durante il tempo di un caffè e riconoscerci in un affetto lieve, eppure resistente. Ma tornando alla battuta d’apertura, Napoli è un sentimento così come Leopardi descriveva “la pura vita, cioè a dire il semplice sentimento dell’esser proprio”. E Partenope questa consapevolezza ce l’ha tutta, incarnata in ogni pietra, greca o romana che sia, proprio perché nei secoli lei stessa ha lavorato nel solco della preservazione di ogni passaggio, nel mantenere viva la memoria di ogni dominazione, facendosi contaminare e mai prevalere, accogliendo la diversità e agendo il cambiamento. I passaggi storici, documentati in città attraverso opere pubbliche come l’Acquedotto Romano o il Teatro di San Carlo, hanno segnato momenti di grande splendore, affastellandosi nei secoli in una specie di continuum temporale in cui è incerta, alle volte, una separazione netta, sia essa architettonica o estetica. Palazzi borbonici costruiti su elementi quattrocenteschi, torri aragonesi ampliate con superfetazioni realizzate negli Anni Ottanta, edicole votive che dal Settecento vengono ancora oggi curate e illuminate con neon stroboscopici o ante in alluminio anodizzato. Tutto questo accade con una naturalezza sconcertante che viene nutrita da un senso di appartenenza che è viscerale al popolo napoletano, il quale vive la città in maniera dilagante. “Tutti sono sulla strada, tutti seggono al sole finché finisce di brillare. Il napoletano crede veramente d’essere in possesso del paradiso, e dei paesi settentrionali ha un concetto molto triste” (Goethe, Viaggio in Italia).

Fabrizio Vatieri, La morte è la vostra religione, 2021–in corso, courtesy l'autore

Fabrizio Vatieri, La morte è la vostra religione, 2021–in corso, courtesy l’autore

NAPOLI E I SUOI ABITANTI

Come nell’Ottocento, il napoletano non ha mutato l’atteggiamento con il quale vive lo spazio pubblico – basti ammirare l’esperienza dei Beni Comuni che riabita edifici passati dal degrado a essere espressione culturale e sociale della città – e l’importanza della comunità resta ancora oggi essenziale artefice di quel mutuo soccorso che permea soprattutto (se non solo) i quartieri popolari. Ma l’aiuto nelle divergenze dell’esistenza qui non viene chiesto soltanto ai vivi. I morti a Napoli sono presenti in una dimensione atemporale quanto i vivi e con familiarità genuina ricevono richieste e pretese. Perché il napoletano è certamente devoto, ma anche schietto e con i morti e i santi ha un rapporto di prossimità che nulla ha a che vedere con l’ossequio. San Gennaro, che abita il Duomo di Napoli, è chiamato fraternamente Faccia Gialla, le reliquie anonime che si trovano nel cimitero delle Fontanelle sono apostrofate affettuosamente capuzzelle e alcune di loro, negli anni, sono state elette ad anime amiche, capaci di intercedere nella richiesta di particolari favori. La relazione con l’oltretomba e le divinità – siano esse cristiane o pagane – si è sviluppata assieme al rapporto con il sottosuolo, l’ipogeo complesso che esiste sin dall’epoca dei cumani e che si compone di cunicoli e grandi vasche che fanno da contraltare al brulichio della superfice. In questo rapporto tra pieno e vuoto, sacro e profano, prende sembianze umane una Napoli femminea che nella silhouette del Vesuvio è indistinguibile se sia più ammaliatrice o sorella. Probabilmente entrambe, sicuramente traditrice.

Lucrezia Longobardi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71

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Lucrezia Longobardi

Lucrezia Longobardi è nata nella provincia di Napoli nel 1991. Laureata presso il corso di Grafica d’Arte all’Accademia di Belle Arti di Napoli con una tesi sul concetto di spazio esistenziale e una ricerca storico-artistica su Gregor Schneider, Renata Lucas,…

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