Milano Updates: metti una sera un aperitivo nello studio che fu di Vincenzo Agnetti. Una mostra estemporanea rianima, nei giorni di Miart, l’atelier dell’artista; nell’ottica di diventare quanto prima nuovo spazio da vivere

Milano ha questa cosa che i suoi detrattori, quelli arroccati al cliché della città lorda di smog e di caos, non riescono proprio ad afferrare. È la sua dimensione di regale e divina lentezza, la sua anima profondamente slow: tacitata e ben nascosta, bisogna ammetterlo, ma non per questo marginale. Anzi. Parliamo in fondo della […]

Milano ha questa cosa che i suoi detrattori, quelli arroccati al cliché della città lorda di smog e di caos, non riescono proprio ad afferrare. È la sua dimensione di regale e divina lentezza, la sua anima profondamente slow: tacitata e ben nascosta, bisogna ammetterlo, ma non per questo marginale. Anzi. Parliamo in fondo della non-metropoli che offre, con pacata generosità asburgica, il piccolo ma prezioso giardino liberty del Quadrilatero del Silenzio. E che, proprio nei giorni di Miart, decide di offrire un nuovo scorcio di inesplicabile bellezza.
La soffiata arriva di soppiatto, buttata lì quasi con sufficienza: a una certa ora, in un certo sabato, con la fiera a buttare fuori di tutto e di più e le gallerie che preparano gli opening serali, pare – si dice, qualcuno afferma – che a un passo dall’Arco della Pace si apra in via del tutto eccezionale lo studio che fu di Vincenzo Agnetti. Il perché e il percome non sono in fondo del tutto chiari, condizione necessaria e sufficiente per partire subito alla volta di via Machiavelli: case basse che alternano velleitari intonaci pastello a sobrie tenute da Ventennio, l’orizzonte aperto dal muro di cinta del complesso di caserme che si affaccia su via Pagano. Non un’auto. Appena percepibile, a decine di metri di distanza, la fantasmagorica apparizione dei tram: monatti che trascinano alle caviglie di ferro il proprio doloroso etero sfarfallio metallico. Il portone al civico 30 introduce al più classico antro da casa di ringhiera: il portone del giardino – una corona di piante – carico della inconfondibile smitragliata di caratteri bianchi su sfondo nero.
È un gran bel posto lo studio di Agnetti, spezzato in un openspace articolato su tre livelli incastrati tra loro; gli eredi dell’artista aprono l’album di famiglia e presentano quel tot di opere del caro estinto che profumano l’aroma schivo del genio totale, assoluto, libero dai condizionamenti di un’arte schiava del calcolo e dell’imposizione. Un piccolo e generosissimo regalo alla città, la più classica delle una tantum. Che vorrebbe però presto diventare quotidianità: accogliendo progetti di giovani artisti, diventando piattaforma di scambio aperta al dialogo, libera dal rischio di ritrovarsi mummificato museo. Desiderata scritti nel libro dei sogni, sui quali già si lavora perché diventino realtà…

– Francesco Sala


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Francesco Sala

Francesco Sala

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