Donato Piccolo: l’utopia delle macchine e il progetto umanista

Appunti e riflessioni sul lavoro di Donato Piccolo, artista che unisce da sempre disegno, scultura e ricerca sulle nuove tecnologie, tra robotica, informatica e intelligenza artificiale. Lo spunto è la sua ultima personale, allestita fino alla fine di maggio presso la Fondazione Pomodoro di Milano: per chi l’avesse persa, un video la racconta

Quando l’universo è Imprévisible. Che sta per ‘imprevedibile’ più ‘invisibile’: due attributi complessi, fusi insieme in un neologismo francese, dal suono lieve e dal senso vertiginoso. Quello che non vedi, quello che non puoi conoscere, calcolare, immaginare con certezza. Quello che resta al di là: oltre il piano delle cose concrete, oltre il dato fisico e il controllo pieno.
Donato Piccolo (Roma, 1976) sceglie bene il titolo della sua personale alla Fondazione Pomodoro, conclusasi a fine maggio e presentata come incipit di un mini ciclo curato da Flavio Arensi per lo spazio della Project Room. La stanza di Proust, così si chiama la rassegna, è una riflessione in tre atti sul ruolo della scultura in questo momento storico. “Per il protagonista del primo libro de Alla ricerca del tempo perduto”, ha spiegato Arensi, “il gioco della memoria si attiva durante un risveglio notturno che fa affiorare alla mente il ricordo di tutte le stanze vissute o visitate. D’altro canto lo stesso Proust aveva fatto approntare, nella sua abitazione di Boulevard Haussmann, una stanza da letto rivestita di sughero per isolarsi dai rumori e, probabilmente, per concedersi la possibilità di entrare più in profondità nel suo osservarsi per osservare il mondo”. Bella suggestione, che vedrà in campo dopo Piccolo altri due artisti di media generazione: Roberto Pugliese (Napoli, 1982) e Roberto Fanari (Cagliari, 1984).

Donato Piccolo, Imprévisible, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Foto Carlos Tettamanzi

LA VERTIGINE TECNOLOGICA

Il piano “imprévisible” dell’esistenza, per Piccolo, si articola fra natura e cultura, organico e artificiale, meccanico e biologico. Sangue, ossa, carne e sguardo; circuiti, microchip, algoritmi e silicio. I due mondi convergono, configgono, s’intrecciano. E nella frizione necessaria, che è abbraccio mortale oppure utopia gioiosa, si consuma il destino di una modernità sparata come la luce nel vuoto, coi suoi 300.000 km/s: è l’evoluzione percettiva/cerebrale/antropologica che non tiene il passo con quella della tecnologia, imperiosa.
Donato Piccolo lavora da sempre sulla forma, il ruolo, i codici e il futuro delle macchine. E dunque dell’uomo. Fatalmente, miracolosamente interconnessi. E sono il tema dell’intelligenza artificiale, che studia insieme a un team di ricercatori; l’attrazione per i robot, che lui stesso progetta e realizza; l’innesto tra la vocazione analitica e la pulsione immaginativa; la pratica costante del disegno, spazio raffinato di verifica e occasione generativa; la scultura come sperimentazione ardita, tra spinta umanistica, passione ingegneristica e dialettica fra scienza e arte.

Donato Piccolo, Imprévisible, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Foto Carlos Tettamanzi

Donato Piccolo, Imprévisible, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Foto Carlos Tettamanzi

ARTISTA E SCIENZIATO

In mostra, a Milano, ci sono alcune tavole affascinanti, in cui convivono la precisione grafica e la sensualità del segno, del colore, delle ibridazioni meccanico-botaniche; e poi le sculture semoventi e interattive, dispositivi magici con cui provare a parlare, a costruire un rapporto, aspettandosi un input, una risposta, persino un riflesso umano: desiderio, pazienza, ritmo, volontà, calcolo, errore. In altri termini, linguaggio. È la carcassa di ribaltata di un’automobile, come una testuggine di lamiera dalla lunghe braccia taglienti; sono foreste di fili e circuiti nascosti, oppure scatole di cartone dalle zampe rotanti; e ancora piccoli acquari o box di vetro e alluminio, in cui la nebbia si produce senza motivo apparente: il miracolo atmosferico s’invera, nel perimetro asettico di una macchina celibe.
Per Donato Piccolo il senso delle cose è proprio qua. Nel lavoro di alchimista, inventore, matematico e bricoleur contemporaneo. Un ricercatore inquieto, che alla scienza, all’informatica, ai big data, alla tecnologia digitale e all’intelligenza artificiale vorrebbe assegnare un ruolo diverso rispetto a certe derive in atto: non il mercato, non la disumanizzazione, non il dominio esclusivo del simulacro, la resa al capitale e l’alienazione.

Donato Piccolo, Imprévisible, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Foto Carlos Tettamanzi

Donato Piccolo, Imprévisible, Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Foto Carlos Tettamanzi

L’artista si fa scienziato nel nome della conoscenza, tout court. Attraversando gli spazi contigui della poesia, della filosofia, degli studi sociali, del cinema, delle arti e della letteratura. Come chi era già avanguardia, molti secoli fa, quando il concetto d’avanguardia non c’era ancora: Leonardo, Paolo Uccello, Piero dalla Francesca, Brunelleschi. Ed è la macchina, semmai, a trovare qui una sua promessa di umanizzazione. Non ostile, ma complice. Al centro di una rete di relazioni e di mutamenti che è ancora tutta da decifrare, da orientare, da imparare a nutrire e domare.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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