Quando la fotografia è concettuale. Una mostra a Milano

Osart Gallery, Milano – fino al 10 aprile 2016. C'è bisogno di studiare la fotografia concettuale dei primi Anni Settanta? La collettiva ospitata dalla galleria milanese fornisce un’ottima risposta, raccogliendo alcuni grandi nomi del settore e una significativa selezione di opere realizzate fra il 1965 e il 1977.

DAL FARE ALL’IMMAGINE
Un’idea minimalista della fotografia concettuale riguarda la volontà di creare opere che mettano in discussione l’immagine raccolta, non tanto dal punto di vista verista, quanto nella capacità stessa di rappresentazione. Kenneth Josephson riflette sull’atto del fare fotografico: ecco allora il ritratto al bimbo che, nella stessa posizione di un precedente scatto, si nasconde il viso con la foto capovolta di se stesso. Giorgio Ciam, studiando le tecniche teatrali e performative, si dedica a una ricerca antropologica: attraverso i ritratti, sonda la personalità, accettando anche movimenti e distorsioni all’interno dell’immagine. Gordon Matta-Clark, dopo aver iniziato a usare la fotografia come documentazione per le sue perforazioni di edifici, si è accorto della potenza surreale delle proprie immagini, che da allora sono diventate parte integrante della sua produzione artistica.

NARRAZIONE E REALTÀ
Altri autori hanno scelto di usare la fotografia come mezzo narrativo, immaginando un dispiegarsi temporale dei loro scatti fino a produrre un racconto. Duane Michals, smarrito nel constatare la difficoltà della fotografia di registrare qualcosa oltre la mera apparenza, ne forza il linguaggio mettendo in campo piccole sequenze per narrare i drammi surreali dell’umanità. Michele Zaza, invece, rappresentandosi in ambienti dall’atmosfera insolita, spesso magica, con la faccia dipinta in modi diversi lascia supporre che un tempo a noi sconosciuto sia intercorso fra gli scatti. Aldo Tagliaferro, nel percorrere un’analisi instancabile sulla fotografia, giunge a fotografare, con il progetto Sovrapposizione della realtà, alcuni dettagli della galleria per poi sovrapporre le foto alla realtà durante l’esposizione.

Claudio Parmiggiani, Yin Yang, 1973

Claudio Parmiggiani, Yin Yang, 1973

FRA TESTO E IMMAGINE
Un ultimo filone è quello che si concentra sulla commistione libera di testi e immagini, dove entrambi concorrono alla rappresentazione dell’idea. Claudio Parmiggiani nel lavoro sullo Yin e Yang raffronta i ritratti dei Montefeltro, ai quali ha esattamente invertito i profili del naso. Vito Acconci usa carte su cui sono incollate fotografie e testi per riprodurre uno storyboard dei suoi progetti, dove però l’equilibrio stesso della narrazione è un’opera a se stante. Franco Vaccari ha interpretato la fotografia come luogo di comunione tra l’artista e lo spettatore, esemplificato dal progetto Esposizione in tempo reale durante il quale al pubblico veniva chiesto di lasciare un segno del proprio passaggio nelle cabine Photomatic. Ketty la Rocca ha sviluppato una tecnica particolare di verifica dell’immagine, nella quale, a partire da una fotografia, essa viene ridisegnata sulla carta diverse volte, semplificandone i segni fino a individuarne la sintesi.
Il rapporto di Vincenzo Agnetti con l’immagine è sempre sul filo della relazione tra ciò che si legge e ciò che si vede. Nel Progetto Panteistico, nonostante il reiterarsi sempre identico della parola, l’immagine dimostra una variazione a prescindere dalle aspettative.

Matteo Zarbo

Milano // fino al 10 aprile 2016
Conceptual Photography
a cura di Andrea Sirio Ortolani
OSART GALLERY
Via Lamarmora 24
02 5513826
[email protected]

www.osartgallery.com

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/51786/conceptual-photography/

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Matteo Zarbo

Matteo Zarbo

Matteo Zarbo (Milano, 1975) si è laureato nel 2004 in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università Statale di Milano. Dopo un primo approccio all'attività curatoriale, si è dedicato con sempre maggior interesse alla produzione di contenuti didattici in collaborazione con la…

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