Memling. Alle Scuderie del Quirinale di Roma il Rinascimento fiammingo

Scuderie del Quirinale, Roma – fino al 18 gennaio 2015. Memling, il Quattrocento fiammingo, gli italiani a Bruges e la pittura italiana. Un'altra grande mostra in uno dei luoghi più affascinanti della Capitale.

Hans Memling (Mainz, 1430-1440 – Bruges, 1494), pittore di origine tedesca attivo a Bruges dal 1465, non visitò mai l’Italia, eppure le opere dei più grandi artisti della penisola, quelli attivi tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, contengono numerose citazioni e caratteri che rimandano proprio a uno dei protagonisti del Quattrocento fiammingo. La produzione di Memling si caratterizza per una riflessione sullo stile naturalistico di Jan van Eyck aggiornato a una visione più elegante e stilizzata, tipica di un Rogier van der Weyden o dei maestri tedeschi.
La mostra monografica alle Scuderie del Quirinale affronta, con una cinquantina di opere, le tappe più importanti dell’opera di Memling. Pale d’altare, pittura di narrazione e molti ritratti, genere nel quale si distinse e del quale ampliò la potenza di espressione grazie all’introduzione del paesaggio di sfondo. Dai primi dipinti, dove è ancora leggibile la sua formazione avvenuta tra Colonia e le Fiandre – con il debito a van der Weyden, suo possibile maestro a Bruxelles prima del definitivo trasferimento a Bruges – fino all’affermazione di uno stile che rese le sue opere celebri e richiestissime, tanto da aprire una vivace bottega per soddisfare le grandi committenze, pubbliche e private, ricevute fino agli ultimi anni della sua vita.
Eccezionali prestiti hanno permesso di ricomporre alcune opere sfortunatamente separate da un diverso destino collezionistico; arrivano infatti da Vicenza (Musei Civici), Bruges (Groeningemuseum) e New York (The Morgan Library and Museum) le differenti parti del Trittico di Jan Crabbe, commissionato intorno al 1470 da Crabbe, fine mecenate e abate della ricca Notre-Dame des Dunes di Bruges. La maturità del pittore è ben rappresentata da altre celebri pale che gli diedero grande notorietà: in mostra sono infatti presenti molte di quelle realizzate negli anni Ottanta del Quattrocento: il Trittico della Resurrezione, il Trittico di Adriaan Reins, il Trittico Moreel e il Trittico Pagagnotti, ricomposto grazie ai prestiti degli Uffizi e della National Gallery di Londra. Tra le opere devozionali di piccolo formato, molte realizzate per i cittadini abbienti di Bruges, possiamo vedere alcuni notevoli esempi di Madonna con Bambino o del tema, caro ai nordici, del Cristo dolente.

Hans Memling, Passione di Cristo per Tommaso Portinari, 1470, olio su tavola, 54,9 x 90,1 cm, Torino, Galleria Sabauda (in mostra fino al 15 novembre)

Hans Memling, Passione di Cristo per Tommaso Portinari, 1470, olio su tavola, 54,9 x 90,1 cm, Torino, Galleria Sabauda (in mostra fino al 15 novembre)

La nitidezza e l’alta qualità della resa pittorica delle opere di Memling hanno fatto dell’artista un precursore di una visione della rappresentazione più equilibrata e classica, poi tipica del Cinquecento, tanto che non saranno solo i pittori fiamminghi a confrontarsi con la sua produzione. Il pittore servì anche una notabile clientela di dimensione europea, dove un ruolo determinante ebbero gli italiani. Questa esposizione sottolinea proprio il rapporto di Memling con l’Italia, i pittori e soprattutto i suoi committenti, presentandone un numero considerevole di esempi. Le fonti ricordano i legami  del pittore con la colonia di italiani a Bruges: Angelo Tani, fiorentino, o Tommaso Portinari, banchiere al servizio dei Medici, o i suoi nipoti Folco e Benedetto Portinari, del quale si espone un ritratto degli Uffizi facente parte di un trittico che Memling realizzò su sua commissione. E ancora il fiorentino Paolo Pagagnotti, i Loiani, mercanti bolognesi, e Bernardo Bembo, ambasciatore veneziano in Borgogna nei primi Anni Settanta del secolo e padre del noto letterato Pietro.
I raffinati e colti collezionisti italiani del tempo avevano una predilezione per l’arte dei maestri fiamminghi, una passione ben documentata anche dalle fonti scritte. L’arrivo delle opere di Memling a Firenze e a Venezia contribuì ad ampliare e ad approfondire quel rapporto di scambio allora vivo tra la cultura italiana e quella fiamminga. I pittori italiani erano da qualche tempo sempre più interessati al descrittivismo e alla resa luministica della pittura fiamminga, così come a elementi formali come l’impostazione orizzontale dei suoi formati; di fatto, più che i segreti della tecnica a olio, gli italiani scoprirono la drammaticità e i toni più spirituali della narrazione fiamminga.

Hans Memling, Trittico di Adriaan Reins, 1480, olio su tavola, 43,8 x 35,8 cm (pannello centrale senza cornice); 44,5 x 13,5 cm (scomparti senza cornice), Bruges, Stedelijke Musea Brugge, Hospitaalmuseum

Hans Memling, Trittico di Adriaan Reins, 1480, olio su tavola, 43,8 x 35,8 cm (pannello centrale senza cornice); 44,5 x 13,5 cm (scomparti senza cornice), Bruges, Stedelijke Musea Brugge, Hospitaalmuseum

Nel percorso della mostra questo incontro è ben delineato da opere di artisti italiani che presentano precisi riferimenti alle opere “italiane” di Memling: Domenico Ghirlandaio copia una suo Cristo Benedicente, Botticelli riflette sull’iconografia della sua Trasfigurazione in un piccolo trittico, o prende a prestito l’iconografia di un suo ritratto, e ancora i dipinti di Bernardino Luini, Gaspare Sacchi o la tavola di un Maestro Napoletano (che raffigura, tra i vari astanti, un San Michele Arcangelo di dichiarata ispirazione fiamminga) realizzata con una tecnica mista di tempera e olio. Un dialogo che non fu certo a senso unico, se è vero che a Bruges, presso i suoi committenti, Memling riuscì a vedere opere di maestri italiani dei quali poté ammirare un diverso senso spaziale della composizione (rispetto a quello dei fiamminghi), magari stimolato da una clientela della quale voleva incontrare il gusto. A rammentarci ciò è presente un piccolo scomparto, oggi ai Musei Vaticani, della predella della Pala di Perugia di Fra’ Angelico, un emblema della visione razionale e prospettica del Quattrocento italiano.
Quando si parla di ritratti, il dialogo tra gli artisti italiani e Memling si fa ancora più serrato. La mostra ne espone una decina di quell’ottima qualità che lo rese un maestro del genere, oltre a quelli dei suoi numerosi committenti (i “donatori” presenti nelle pale) e a un paio realizzati da un artista che a lui s’ispirò. I personaggi rappresentati da Memling, anziché guardare lo spettatore, ne sfiorano appena lo sguardo, sembrano assorti in una dimensione psicologica senza tempo. La luce, che accentua alcuni particolari del volto, e la forza della descrizione dei particolari fisionomici, trasmettono l’essenza di un’anima, il persistere di una presenza, quasi come nel coevo lavoro di Antonello da Messina, che tanto amò la pittura fiamminga. Gli artisti italiani scoprirono tramite Memling una nuova dimensione del ritratto, non più statico come il profilo di una medaglia, ma presentato quasi di tre quarti, con un nuovo e forte senso di movimento. Il raffinato paesaggio di Memling sostituì gli sfondi neutri o poco caratterizzati dei ritratti italiani, inserendo il personaggio in una spazialità nuova, finalmente più realistica e meno idealizzata. Espedienti compositivi come la mano del ritrattato appoggiata al finto parapetto, il limite della parte inferiore della raffigurazione, suggeriscono all’osservatore la continuità tra lo spazio dipinto e quello reale.

Rogier van der Weyden (e aiuti), Compianto sul Cristo morto, 1460-1465, olio su tavola, 111 x 95 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

Rogier van der Weyden (e aiuti), Compianto sul Cristo morto, 1460-1465, olio su tavola, 111 x 95 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi

Questo stile compositivo divenne quasi una moda e a Firenze ebbe un’eco nei ritratti di artisti come Botticelli, Leonardo, Perugino e Raffaello, solo per citare quelli più noti. Anche la grande scuola pittorica di un altro centro italiano, quella di Venezia, ebbe un particolare interesse per Memling. Giovanni Bellini e Giorgione, che probabilmente videro i suoi ritratti nella collezione del cardinale Domenico Grimani, diedero sicuramente uno sguardo più approfondito al particolare dei paesaggi. Non si può dire che sia solo un caso, ma quei veneti ne produssero di straordinariamente poetici all’interno delle loro opere.
Fino a qualche ora prima dell’inaugurazione della mostra, a Roma era atteso il Trittico di Danzica, uno dei capolavori dell’artista custodito oggi nel Muzeum Narodowe della città polacca. Sfortunatamente le parti non si sono accordate, e forse i restauratori consulenti del museo non hanno dato la loro approvazione allo spostamento dell’opera, ma pare che tutto sia stato deciso all’ultimo minuto. Sta di fatto che il trittico ha come una maledizione, non può raggiungere l’Italia. La sua avventurosa storia ci rammenta la sorte dei capolavori spesso ingiustamente sottratti al nostro patrimonio. Era stata commissionato dal ricordato Tani, direttore di filiale del Banco Medici a Bruges, e destinato alla Badia Fiesolana vicino Firenze. Durante il trasporto il trittico fu preda di un saccheggio da parte del corsaro di Danzica Paul Benecke, e dopo qualche tempo fu destinato alla cattedrale di quella città. A nulla portò il tentativo di mediazione della corte papale chiesto da Tani…

Calogero Pirrera

Roma // fino al 18 gennaio 2015
Memling. Rinascimento Fiammingo
a cura di Till-Holger Borchert
Catalogo Skira
Scuderie del Quirinale
Via XXIV Maggio 16
06 39967500
[email protected]
www.scuderiequirinale.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/37257/hans-memling/

 

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Calogero Pirrera

Calogero Pirrera

Calogero Pirrera (1979) è uno storico dell’arte specializzato in arte moderna e contemporanea, videoarte, didattica museale e progettazione culturale. Vive attualmente a Roma. Ha collaborato con la cattedra di Istituzioni di Storia dell’Arte della Facoltà di Architettura di Valle Giulia,…

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