Se l’arte indossa rifiuti industriali

Metti una passeggiata fra paraurti che non sono più, metalli nati e morti come pezzi di auto, poi risorti in espressive astrazioni artistiche. Per merito di uno yankee di nome John Chamberlain. Al Guggenheim di New York, fino al 13 maggio.

Il Guggenheim celebra John Angus Chamberlain (Rochester, Indiana, 1927 – New York, 2011) ad appena tre mesi dalla sua scomparsa con una retrospettiva intitolata: Scelte. L’artista americano e le proprie carcasse artistiche avevano già messo piede all’interno del museo più di quarant’anni fa, nel 1971. Per questo suo ritorno, la curatrice Susan Davidson ha scelto di valorizzare il concetto di choice, mettendo in risalto il tempo speso da Chamberlain per selezionare le enormi quantità di rottami che l’artista teneva a disposizione nel proprio atelier; il gesto di frugare tra anonimi prodotti industriali nati in serie strappati di solito a cimiteri d’auto e assemblati assieme in uniche sculture astratte ora da appendere, ora da lasciare a terra. L’idea di scegliere è presente insieme all’ego che interviene nei titoli delle opere, per dare un nome originale a ogni ripetuta trasformazione di ordinari oggetti prefabbricati in qualcosa di artigianalmente reso astratto, riconfigurato fino all’irriconoscibile.

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John Chamberlain - courtesy Gagosian Gallery - photo Robert McKeever

Ironico e sfrontato, John Chamberlain chiama Marylin Monroe e Dolores James due dei propri crash post-post-industriali; per aggiungere narrativa e nonsense battezza The hot Lady from Bristol e Penthouse un paio di esempi del proprio astrattismo.
John Chamberlain, eccellente figlio del Black Montain College, la migliore risposta americana alla nostrana Bauhaus, ha passato praticamente tutta la propria vita artistica a investigare sulle armonie e le violenze dell’incontro fra industria e arte, intervenendo con vigore su avanzi della società utilitaristica.
Se la motivazione originale dei materiali impiegati scompare, quello che resta è lo spirito dell’artista che si è intromesso con energia nel processo eterno di distruzione e rinnovamento, per offrire al mondo vitalità accartocciata, la perdita di una realtà fatta di consumati manufatti umani, dal lavorio anarchico di un uomo intervenuto sul lavoro organizzato di altri uomini.
Fra le armoniche spirali del Guggenheim, si installano frattali disarmonie e frammenti di vita meccanica, frutti amari di rottami e rimandate resurrezioni. Come un arcobaleno che nasce da un cimitero e muore dentro un museo, il risultato è stridente.

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John Chamberlain - Choices - veduta della mostra presso il Solomon R. Guggenheim Museum, New York 2012 - photo David Heald

In generale, l’aura di fallimento morale di una società che condanna l’arte a frugare tra la spazzatura è sempre presente durante la mostra. Dispiace la scelta di aggiungere piedistalli ad alcune sculture, che sembrano tutte nate per essere prese e buttate lì. Le opere attraggono e respingono per una passeggiata irreale quanto ammaliante, per un’esposizione che restando algida, offre spunti di romanticismo.
In particolare, la retrospettiva convalida il vigore, mai la ragione del senso di abbandono che le opere di John Chamberlain contengono; conferma che l’artista era qualcuno che si sentiva a casa nell’astratto e che lo ha abitato fino alla fine dei suoi giorni con fare sempre più caotico e convito, ribelle e divertito.

Alessandro Berni

New York // fino al 13 maggio 2012
John Chamberlain – Choices
a cura di Susan Davidson
Catalogo D.A.P.-Thames & Hudson
GUGGENHEIM MUSEUM
1071 Fifth Avenue at 89th Street
+1 212 423 3500
www.guggenheim.org

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Alessandro Berni

Alessandro Berni

Alessandro Berni, scrittore. Vive la critica d’arte come un genere letterario dentro il quale l’emozione anticipa e determina il senso dell’informare.

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